di Cristiana dalla Zonca
Giunti, 2013
pp. 160
cartaceo € 12
ebook € 6,99
Vittoria, la protagonista del bel romanzo d’esordio di Cristiana dalla Zonca Amore chiama amore risponde, è una quarantenne prossima ventura, tre volte madre, sposata con un uomo che l’ama, svolge un lavoro che le dà soddisfazione economica e sociale, abita con tutta la nutrita famiglia una casa che hanno arredato a loro gusto, dove gironzola anche un cane un po’ pasticcione ma adorabile. Con l’avvicinarsi, però, dell’età dei bilanci, quando si fa il confronto tra i sogni e le promesse di gioventù e un quotidiano talmente pieno di cose e impegni da sembrare vuoto, Vittoria, moglie, madre, amica e professionista irreprensibile, fin troppo dedita all’organizzazione e al disciplinamento del suo mondo, comincia a domandarsi «è scritto forse nel libro del buon genitore che sia io a dovermi alzare per prima, correre in cucina, preparare un vassoio con Actimel e cereali per il risveglio, spremuta e snack per l’intervallo e, con un sorriso stampato, un bacio e tutta la dolcezza che il mio ruolo di madre mi impone, svegliarli ogni mattina alle sette in punto? No. Non c’è scritto.» Nella quasi totalità dei milioni di casi simili, Vittoria, Mario, suo marito, e i ragazzi avrebbero passato un periodo di crisi, di litigi più frequenti del solito o di progressiva indifferenza reciproca, fino al ristabilimento di un nuovo equilibrio o alla rottura definitiva. In questo caso, però, un incidente automobilistico, in parte provocato dallo stato di eccitazione nervosa della donna, costringe Vittoria ad una radicale ricostruzione della sua stessa vita e, soprattutto, delle sue relazioni con gli altri, a cominciare dal marito e dai figli. Vittoria ha perso la memoria e il romanzo, scorrevole e avvincente, quasi mai banale o prevedibile, ci racconta il periodo di convalescenza e di progressiva riappropriazione dei ricordi.
Vittoria, smemorata e convalescente, è sotto il duplice impulso del rassicurante ritorno alla normalità e lo sgomento della completa solitudine, di non trovare in se stessa i motivi per riprendere le relazioni affettive che l’incidente aveva interrotto. Da un lato, gradatamente, la donna prende coscienza e memoria delle sue relazioni familiari e amicali che, però, a seguito del trauma, le appaiono insulse e prive di senso; dall’altro la rottura completa di quelle relazioni la fa tremare sul bordo del baratro della perdita di sé, dell’impossibilità di dare una sostanza ontologica e non solo relazionale alla propria vita.
Possiamo dire, perché la bandella pubblicitaria non lo nasconde, che il romanzo si risolve in un lieto fine, che, comunque, non ha nulla di melenso o dell’apologia degli stereotipati valori familiari. Il percorso di Vittoria è tutt’altro che lineare, la riconquista dell’equilibrio psichico e delle relazioni, ora gratificanti, con la famiglia e le amiche non hanno più quell’aspetto astratto che va sotto il nome di famiglia e amicizia, ma ritrova, dietro le definizioni concettuali, le persone in carne e ossa, pregi e difetti, forze e debolezze. Ed è un percorso sempre a rischio (e il sapiente taglio dei capitoli accompagna la segmentazione del percorso con rara maestria). L’attenzione ai dettagli e la naturalezza comunicativa fanno pensare ad un romanzo che nasce da una precisa esperienza biografica perché tra quell’esperienza e la scrittura non sembra frapporsi un eccessivo peso speculativo e una smodata ricerca espressiva.
Se il romanzo di Cristiana dalla Zonca è una favola, non finisce con l’atteso “e vissero tutti felici e contenti”, ma con un più stimolante “e vissero”.