di Antonio Moresco
Mondadori, 2013
pp. 167
cartaceo € 10
Certe volte penso che non ci siano più dei vivi, nel resto del mondo. Ma ce ne sono. Perché oggi pomeriggio, mentre c'era ancora luce, alzando all'improvviso gli occhi, ho visto che l'azzurro terso era attraversato da parte a parte da una striscia bianca perfettamente diritta che si allungava nel cielo, tracciata da un aereo così lontano che non se ne sentiva nemmeno il rombo nella vastità dello spazio.
All'inizio ti sembra una favola, La lucina di Moresco, una favola di un uomo arrivato in un bosco per scomparire. Poi inizi a insospettirti che Moresco possa scrivere di "stradine", "casina", "lucina": non è autore che prenderebbe il diminutivo alla leggera. E allora aspetti: aspetti in silenzio come il protagonista, un io-narrante senza nome in un borgo deserto tra valli e monti senza nomi. Per un po' sembra un Drogo in attesa nella sua fortezza Bastiani, lì ad osservare la natura che parla dei cambiamenti stagionali. Un Drogo che diventa Godot, quando la lucina in fondo, dall'altra parte della valle, si fa ossessione e attesa spasmodica al tempo stesso. Di che cosa, non si sa. Finché un giorno annaspare alla ricerca della soluzione e nella fantasticheria di storie improbabili, forse aliene, porta il protagonista ad avventurarsi per quelle stradine fuorimano. A dispetto delle fantasie aliene, trova un bambino, dal capo rasato e i pantaloni corti, indipendente all'inverosimile e inizialmente sospettoso. I pantaloni corti così non usano più, né la cartella per andare a scuola. E cosa ci fa solo in mezzo a un bosco?
Le domande del protagonista sono anche le nostre di lettori: bisogna seguire la narrazione, rifranta tra pensieri dell'autore ed eventi, organizzati in un'altalena meditativa e narrativa che non è tanto finalizzata alla suspense (comunque alta), ma ad armonizzare la narrazione, tra vene liriche e riflessioni su questo mondo che sta cambiando rapidamente. Un tema usurato, direte: ma, come sempre, dipende da chi lo tratta. La penna di Moresco gorgheggia sulla pagina, quanto i suoi personaggi. E che ne è della favola? Racchiude una morale?
Potremo pensare a una favola post-postmoderna: pur essendo atemporale, astorica, non è disimpegnata e non si bea del suo semplice piacere letterario. Racchiude un sottobosco inquietante e luttuoso, che si nutre di immaginazione, emozioni e paure ataviche al tempo stesso.
Il racconto lungo o breve romanzo, brevissimo se confrontato alla produzione di Moresco, è stato una "irruzione incalcolata e improvvisa" durante la stesura di Canti del caos, come racconta l'autore nella breve lettera ad Antonio Franchini che anticipa il romanzo. "Una piccola scatola nera" da "una zona molto profonda" della vita di Moresco: dalle poche righe dell'ispirazione iniziale, è andata via via crescendo fino a conquistarsi un'identità autonoma, che ha tutta la dignità di un racconto lungo per lettori che amano farsi stupire dalla bella scrittura e, perché no, da un finale inatteso.
Gloria M. Ghioni
Social Network