Malascesa
di Erminio Alberti
Samuele Editore, 2013
Il poeta «ha bisogno di terra, di cosmo delimitato da rendere infinito con mezzi poveri, ferri del mestiere, di verità geografica inanzitutto». Parole profetiche di Guido Ceronetti (da Luogo negato, poesia, in Cara incertezza, Adelphi, Milano, 2008). Parole che annunciano un bisogno viscerale, naturale, che sta alla base dell'ispirazione poetica. Una sete – potremmo dire – che, quando non viene soddisfatta, porta alla decadenza e alla putrefazione immediate dell'organismo.
In questo caso l'organismo è la poesia
contemporanea, o meglio «quelli detti “i poeti”» che secondo
Ceronetti si sono ridotti a dei «poveri vermi senza luce».
In un quadro più o meno oscuro che
circoscrive la poesia contemporanea,
qualche bagliore di luce, di tanto in tanto, appare. È il caso di
Malascesa, di Erminio
Alberti (Samuele Editore, 2013, prefazione di Maria Grazia
Calandrone).
La
poetica di Alberti sembra ribaltare le istanze di quel Luogo
negato – espressione di
Ceronetti, ma che potremmo applicare a tutta la letteratura
post-moderna, lì dove per post-moderno s'intende soprattutto la
negazione della nozione di verità, di realtà, e l'esaltazione della
dimensione meta-letteraria.
Alberti,
invece, fa della
poesia un luogo affermato,
uno spazio/tempo in cui in ogni momento possiamo dire «Ora
era luce» e in cui l'oscurità vive una dimensione “abusiva”,
latitante, strisciante, infima: «Un guizzo di luce lontano /
segnalava intanto a prua / la presenza d'un temporale / così
impetuoso! – quasi degno / del Vivaldi, tanti, i rombi, / cupi, ma
soffocati quasi / dal velluto dolce di sera). // Silente. La sera si
levò / da levante, portando con sé / punti lucenti, macchie bianche
s – / La luna mise in rilievo / tra le piante d'una foresta /
abusiva, la triste guglia / d'un campanile in art nouveau». Recupera
appieno questo bisogno
di terra, che fu del primo Zanzotto – per fare un esempio – e uno
slancio di neolirismo che richiama certamente Luzi, ma anche
Quasimodo e Pavese.
La
geografia
immaginifica
dell'Aberti, però, non è paesologia,
non è descrizione di andirivieni, mutazioni e aneddoti – anzi,
racchiude una dimensione esoterica molto profonda, densa di
significati celati che rendono grazia per forme e furbizie
all'ermetismo di Ungaretti.
Dispiace,
a un siciliano doc
e d'orgoglio antico, rileggere la prefazione di Maria Grazia
Calandrone – dove «il nostro Sud» è un po' ridotto a «psicologia
collettiva», a «zone dei pupi»; come se il sentimento
barocco, nelle sue alternanze «alto e basso, luce e buio», che la
Calandrone individua, sia soltanto una questione formale, etnica, un
aneddoto antropologico alla maniera di Pitré.
C'è
invece nell'Alberti uno scavo
nel sacro della vita, nel mistero delle parole, nel mistero delle
cose. Allora, proporrei ancora altre istanze per
leggere la poesia
dell'Alberti, e proprio traendo spunto da dei bellissimi versi
della Calandrone: «Dirai
allora che il nulla non esiste, / che il vuoto è un'invenzione di
chi ha una sconfitta da giustificare».
Dunque,
le alternanze pieno/vuoto, dentro/fuori, descrivono bene questa
poesia: «Sordo e vibrante, come un mulino che / pesca e sciaborda
l'acqua nella gora, / esso pesca e sciaborda in me, cauto ad un non
so che». Ecco, lì in quel confine, dove inizia la vita e finisce il
verso, si uniscono anche il mondo
esterno
al poeta e il mondo interno
in un percorso di ricostruzione ecologica
fra individuo e ambiente, natura e cultura, e analogicamente fra
anima e corpo («Fu
che quand'era bambino, / anche allora era solo. / Solo, anima e
corpo: / vera solitudine fatta carne»).
Questo
dialogo accesissimo fra microcosmo e macrocosmo non è un episodio
isolato nell'arte e nella letteratura siciliane. Potrei citare le
geografie mortifere di Viola di Grado in Cuore
cavo,
o i dipinti d'immagini “scarnificate” e dissolte nel paesaggio di
Fabio Romano, piuttosto che la fotografia psichedelica e vertiginosa
di Davide Bramante. Forse, questa isolanità,
per troppo tempo relegata a fenomeno etnico-antropologico nelle
brochure delle agenzie turistiche, reclama uno spazio più vasto e
più profondo per esprimere la sua identità:
«Chronos
ci istruì / insieme ai suoi eventi di microstoria, che più della
grande insegnaci vita. / Maturi ricordi ormai sbiaditi / tornano con
voci diverse, miti».
“Sicilia”dunque
noi la invochiamo come spirito eterno, che trascende ogni siciliano,
e lo insegue – come ricorda Tomasi di Lampedusa – anche quando si
allontana per anni. Sicilia, creatura metafisica che «ci mette
l'anima», «horror
vacui
di vita», «sublimazione», «ideale irrealtà» – a volte,
rileggendo Alberti, non si capisce se certi epiteti siano rivolti a
una donna, o alla sua terra.
Ma
Alberti non è un poeta d'illusione, non è illuso. Coltiva uno
sguardo vorace, attento: quella stessa attenzione “magica” che fu
il dono di D'Annunzio, quello sguardo fisso sulle cose che era stata
la dote di Nerval prima di degenerare definitivamente nella follia.
Alberti si lancia infatti, senza riserve, anche nella futilità della
vita, ma con una certa sagacia, con una nobile ironia e una punta di
disprezzo reazionario: lui sa bene che, in un mondo di “straccioni
del sentimento” portare l'aureola della poesia può essere
considerato grottesco: «Profumi inodori / riempiono l'aria, e un
flex / che musica forte la scena – – // Frattanto che il mare /
invoca attenzioni elettive»; «Davanti a un Raphaèl
/in Trafalgar
Squer
/ dentro la Nescional
Gallerì
/ io ti vidi bella e sperduta / dentro un quadro del bronzino,
indiano-germanico-thailandese / donna del mondo!».
Questi
versi hanno di certo una dimensione aeriforme,
sia per temi, per stile, per disposizione grafica di versi e parole;
ma questo non impedisce ad Alberti di aprirsi a certi guizzi
d'ispirazione ctonia: «un [bus] che sbuffa e scatarra di fronte ad
un camion / per i traslochi che suona e risuona»; «la donna, di
rosa svestita, / d'un piglio un po' kitsch, / baccante stremata, di
gusto noir; / erotica bestia! Volgare attrazione».
Per
concludere, una riflessione è doverosa sulla concezione dell'amore
romantico che trapela da questa raccolta. Alberti, il poeta,
l'amante, sono romantici Don
Giovanni in Sicilia;
sembrano saltati fuori da un'altra dimensione, e stonano fortemente con la volgarità dei costumi contemporanei e dalla maniera di vivere
i sentimenti “liberi”, liquidi
(per usare un'espressione di Bauman), prêt-à-porter.
Ne emerge l'imago di una virilità ormai rarissima, mascolina e
femminile allo stesso tempo, potente e sensibile: «[Don Giovanni] ad
ogni donna ha dato un segreto, qualche ricordo / un vuoto a perdere».
Recentemente
a Malascesa
è stato conferito il prestigioso premio Camaiore 2013, sezione
“Proposta”.