Parole in
corsa è il titolo di
un’interessante e corposa raccolta poetica di Laura Tonelli, scrittrice romana,
ma veneta d’adozione. Lasciato il suo luogo natio, nel 1965 si è trasferita a Mestre dove si è sposata e vive tuttora
assieme alla sua famiglia, il marito e i quattro figli. Da sempre vicina agli
ambienti giovanili parrocchiali e appassionata di letture bibliche e di scienze delle religioni, è stata
catechista per molti anni.
Ha conseguito nel 2003 il diploma all’Istituto di
Scienze religiose presso la pontificia Università Santa Croce di Roma.
La
silloge Parole in corsa racchiude più
di un centinaio di poesie che fotografano le sensazioni e le emozioni che la
scrittrice e poetessa narra in prima persona. Una focalizzazione che parte
quindi dall’interiorità della protagonista per fissare le stagioni della sua
vita, passata, presente e futura.
Un
calendario poetico assolutamente autobiografico che possiamo sfogliare
individuando attimi che rinviano al passato felice, ma a tratti connotato da
fasi malinconiche e meditative alterne;
intense liriche dedicate alla propria famiglia e che esprimono tutta la
gioia dell’essere madre ma anche del suo essere donna. Ne risulta un profilo di
persona generosa, ricca d’animo, credente e riconoscente alla vita. L’attenzione
e la cura che la scrittrice pone in ogni poesia è rilevante già dall’incipit iniziale di molte sue liriche:
Sospingo, sospirando…
Mi rincresce…
Rotola accartocciato…
Volare, volare volare…
Strascino i piedi delicati…
Brancolare fra minuzie disperse…
Violenta ti coglie la tempesta…
Mutevole nell’umore l’acqua…
Mi muoverò barcollando…
Rinnovi l’anima…
Fuggire lontano..
Melanconia della vita…
Rimpicciolisco…
Liquida mi sciolgo nella nube…
Muta l’ora la luna cambia…
Note d’amore mormora il respiro…
Raggomitolata nel vento…m’abbandono
Dentro mi guardo e scopro…
Liriche
intrise d’emozione, in cui la scrittrice appare all’inizio quasi “nascosta” e
che invece in un climax di emozioni
crescenti, proiettano il lettore quasi sempre verso un futuro che lei intravede
positivo e soprattutto rassicurante, come si evince dalla poesia seguente:
Come in una sera calda
d’estate, là sulla collina
ascolti delle cicale il frinire,
la luna guardi, radiosa,
t’impallidisce lattiscente
così t’abbandoni, quieto,
fra i suoi raggi.
Sull’erba disteso, profondamente
aspiri fiorite fragranze.
S’apre a quella pace l’anima
l’incerto scaccia e la pace vivere
assapora, già seminata
Dolce è rotolarsi nella luna,
un po’ fredda, dopo un
giorno rovente.
È bello sognare nella luna
silenziosa che l’irreale
trasmuta in un
mondo di tranquillità
di solidarietà
di comprensione.
Non ci sono lacrime,
anzi un sorriso pallido,
come la luna,
disegna un futuro quieto,
come quella sera,
indimenticabile.[1]
In
questo quadro paesaggistico collinare, in una sera estiva calda la similitudine iniziale tende a mettere in relazione quasi
ossimoricamente la luna luminosa, immobile e “tranquilla” con il frinire delle
cicale in perenne movimento. La vista della radiosa
luce lunare non riesce a illuminare il viso, ma lo fa impallidire, rendendolo
biancastro, opaco, lattescente. È
rassicurante abbandonarsi tra i raggi
lunari; qui la luna sembra avere un potere antidolorifico: in questi attimi si
ferma l’inquietudine e si percepiscono profondamente gli intensi e gradevoli
profumi che solo la notte può emanare, le fragranze
notturne: tutto intorno è natura, pace e piacevole astensione dalle gravità
terrene.
La
simbiosi tra la luna e l’essere umano appare come una conoscenza interiore a
due. La luna infatti è inizialmente fredda,
ma poi diventa l’artefice di un mutamento universale: il mondo può diventare,
secondo le aspirazioni e i sogni umani, un luogo ideale in cui possono
coesistere tra gli uomini, la solidarietà e la comprensione verso una
sostanziale convergenza di idee e di sentimenti.
Senza lacrime, in una intensa immagine metaforica che chiude la
lirica, la luna sembra rispondere però con verità oggettiva ai desideri
dell’uomo con un ricambiato sorriso pallido, prospettando più un futuro
tranquillo che un domani troppo idealistico e forse mai raggiungibile
totalmente.
La
magia di quella serata estiva è un unicum
rappresentativo per la scrittrice, per lei indimenticabile. Da sottolineare l’attenzione stilistica e la cura
nella disposizione dei versi, come nella lirica seguente:
Brancolare fra minuzie disperse
della vita negli ampi spazi.
La realtà del tempo si distorce
tra gli innumerevoli formicai
operosi che si sono susseguiti.
Uno fra tanti,
si smarrisce l’uomo,
una fra tante la sua vita.
Sulle infime cose dell’uomo
il cielo s’alza e d’un pulviscolo
divino le ricopre e una vita,
più una vita, più una vita
sono ora i viventi nel tempo
e sono Storia.
Il tempo si perpetua monotono
sempre diverso di età in età.
Il sole s’alza e tramonta,
segna la luna i
mesi e
la sua luce lattiginosa
i movimenti regola.
Non fermarsi all’apparire,
guardare il cielo
il sole è di
oggi
la
luna è di oggi
gli astri di ieri raccontavano
una diversa storia.[2]
La poesia
contrappone la miseria dell’uomo propria della sua individualità con la visione
universale dell’Umanità: una vita, più
una vita, più una vita, non il singolo uomo rappresentano la nostra Storia. Qui l'immagine iniziale di ampia vita contrasta
con il procedere lentamente dell’uomo osservato individualmente e talmente preso dalle minuzie disperse della vita che invece spesso potrebbero essere trascurabili
perché risultano essere motivo di troppa puntuale e scrupolosa attenzione. La
realtà temporale muta, si deforma a seconda delle singolarità individuali
umane. Ogni uomo, uno fra tanti, da
solo, può perdersi nel dedalo dei
vicoli della vita; ma è lo stesso “cielo” che rappresenta l’universale, in bel
quadro lirico, a trasfondersi e a intervenire ricoprendo con una polvere
finissima, il pulviscolo divino, le brutture della vita, gli accadimenti
privi di qualsiasi pregio e a far in modo che il ciclo vitale continui: vita
dopo vita, secoli dopo secoli viene tracciata la Storia. Il trascorrere del
tempo è inesorabile e la natura si ripete ciclicamente: dai mesi alle stagioni
tutto si ripete uguale. Non è necessario fermarsi
all’apparire a ciò che sembra e che
risulta evidente; qui la celestialità divina in una correlazione diretta tra
astri e temperamento umano, è da sempre
testimone oculare della storia e narrerà
un domani in un’immagine letteraria che rinvia a Thomas Mann, (Tonio Kröger) una nuova epoca, in cui
cambieranno i volti dei protagonisti e in cui sebbene il sole appartenga all’oggi,
per il futuro illuminerà altre ere abitate da altri uomini.
Poesie
riflessive ricche anche di un delicato lirismo che coniuga i dati sensoriali con
elementi interiori profondamente onirici e ricchi di una sensibilità
particolare come nella lirica seguente:
Liquida mi sciolgo nella nube
e vago nell’azzurro dei sogni.
Allontanata la giovinezza
il sapere ho conquistato
di volatilizzarmi per non soffrire.
Alleggerisco il cuore quasi a fermarlo,
mi lascio cadere nell’aria,
mi confondo nelle lacrime del cielo:
ascolto e vedo, segreta e misteriosa.
La frescura il dolore solleva,
ferite e passioni lenisce,
preziosa conquista,
duramente pagata
col sangue.
Ora l’anima tranquilla
Mai assopita, il mondo guarda,
soprusi e angherie riconosce,
ma anche infaticabili mani,
che ferite curano
sofferenze sollevano,
il pane condividono
Età favolosa la vecchiaia
pagata coi sogni infranti
Con mete irraggiunte,
ma in cambio tutto
rende superfluo e
stringe,
forte, e dona: amore.
Si
tratta di una poesia che intende celebrare l’età più matura, più consapevole ed
essenziale per ogni persona. Con l’incipit
liquida che è anche un epiteto poetico,
la scrittrice designa la sua aggregazione ma anche la sua appartenenza alla
“materia celeste”, il suo antidoto alla
sofferenza; in un’età matura la donna conquista il nirvana dell’anima entrando nell’azzurro dei sogni. L’azzurro è il colore intermedio, quello del
cielo terso e luminoso ed è proprio questa intermediazione della situazione
interiore a creare un’immagine suggestiva di sospensione temporanea: per non soffrire alleggerisco il cuore quasi
a fermarlo, una condizione sospesa
ed estatica in cui si assiste all’annullamento di ogni concreta realtà.
In un quadro metaforico arricchito dalla
sinestesia ritorna la tendenza della
scrittrice romana a nascondersi da qualcosa, di sottrarsi alla vista di
qualcuno, confondendosi e proiettando
la propria anima dietro ai nembi (lacrime) minacciosi del cielo. Lì in
attesa della pioggia in un quadro fiabesco in cui l’uomo condivide lo spazio
celeste accanto alle nubi del cielo, la frescura allieva il dolore, lenisce le ferite della giovinezza
trascorsa. E quello diventa anche il luogo da cui ascoltare, osservare e conservare
il proprio io, precluso gelosamente alla
conoscenza altrui.
Non
è un cammino scevro da difficoltà, la quietezza dell’anima rappresenta una
conquista, è un’anima ancora viva che riconosce
le prevaricazioni, lo strapotere e le crudeltà umane, ma è anche un’anima che sa mettere in
risalto la laboriosità umana, la generosità, le fatiche dell’uomo dispensatore di
bene. L’ultima strofa è un inno alla vecchiaia, alla conquista della
consapevolezza che non tutte le mete si possono conseguire senza difficoltà;
ciò che rende forti le persone è la dedizione appassionata, istintiva ed totale
all’altro: l’amore, sì ancora una volta l’amore, è il sentimento che può
salvare dalla solitudine interiore.
Uno
stile denso di immagini metaforiche e simboliche, quello utilizzato da Laura
Tonelli, un linguaggio corposo e assai efficace. Tra le altre pubblicazioni della
scrittrice segnaliamo il suo primo lavoro intitolato Medito speranza, per l’editore Il Filo che
risale al 2007. Nell’agosto del 2008 è uscita la seconda raccolta di
poesie: Balbett'...io, per Maremmi Editore- Firenze.
Nel dicembre del 2009 segnaliamo anche l’uscita di un testo didascalico
intitolato Eventi, Ed. Ibiskos-Ulivieri. È del giugno
2010 il corposo volume di liriche Dal profondo intimo, per le edizioni
Gruppo Albatros Il Filo, e infine la recente silloge Parole
dell’anima uscita nel maggio 2013 per la casa editrice Elegia, Helicon edizioni.
Tutti i proventi dei libri sono destinati alla Caritas.