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Umorismo amaro a stelle e strisce

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Spooner
di Pete Dexter
Einaudi, 2010

Traduzione di N. Gobetti
pp. 508


Propongo spesso letteratura statunitense decantandone virtù, enormi, e rilevandone vizi, pochissimi. Non è che sono ruffiano, adotto semplicemente una strategia: parlo di libri che mi sono piaciuti. Per ogni recensione scritta, ce n’è dunque una implicita che destina all’oblio un testo non apprezzato. Torniamo agli americani: Roth, Mc Carthy, Ford, restando ai viventi… con questi il gioco è facile. Ma quando le capacità di scrittura degli anglosassoni mi vengono confermate dalla scoperta di un autore che non conoscevo, che devo fare se non ritessere le lodi di quanto si produce in quella parte di pianeta?
Dexter riempie 500 pagine di amaro umorismo che compongono la storia di Warren Spooner. Dall’infanzia in poi. Questo Warren Spooner, fin da piccolo, dimostra un innato talento per il crimine e la straordinaria capacità di cacciarsi nel guai. Orfano di padre e bambino sessualmente precoce, introverso, poi studente svogliato ma con un braccio fatato che gli consente di arrivare alle soglie di un contratto professionistico nel baseball come lanciatore. Infine giornalista in vari quotidiani di provincia prima di arrivare a un prestigioso giornale di Filadelfia.

Parallelamente si snodano le vicende di fratelli e genitori. La madre Lily, proveniente da una famiglia che era stata benestante, «viveva con la certezza assoluta che l’intera vita – dalla culla alla tomba – fosse un’imboscata». Rimasta vedova, sposa Calmer Ottosson, ex ufficiale di marina e insegnante sfortunato, generoso e paziente farà da padre a Spooner e alla sorella Margaret. Calmer sa misurare le sue pretese: consapevole che gli è interdetto il ruolo di educatore di Spooner, si limita a fargli da angelo custode. Spooner fanciullo è in effetti la parte più divertente del libro. Siamo a Vincent Heights, in Georgia, nell’America non tanto profonda quanto già sprofondata. E ogni malefatta del piccolo, tipo pisciare nelle case dei vicini e nelle scarpe dei razzisti proprietari, viene puntualmente attribuita a un nero. Più in generale, non è facile crescere in Georgia per chi è o si sente umile. Bianco o di colore che sia. Non appaiono nelle pagine i cappucci del Ku Klux Klan ma la violenza è miscelata nel vocabolario, lo slang ne è carico. «Stronzo» è talmente diffuso che perfino un cane risponde se lo si chiama così.

Il rapporto tra Spooner e Calmer, da difficile tenderà a consolidarsi divenendo addirittura di complicità quando il primo si prenderà cura del patrigno, colpito da malattia, stravagante e in preda all’intemperanza. Tenero e divertente è il finale che vede fratelli e fratellastri riuniti per disperdere certe ceneri nelle fredde acque di Whitbey Island, di fronte a Seattle. Tentativo maldestro e grottesco come tutta la storia.

Dirà il tempo se “Spooner” si trasformerà in un grande romanzo. Ma come affresco di 50 anni di storia degli Stati Uniti mi sembra sulla buona strada.