Einaudi 2009
p. 420
Ecco una recensione “stramba”, una sorta di due al prezzo di uno. In tempo di saldi estivi però può essere ammessa. Con i dovuti distinguo.
Dunque partiamo dal primo libro, il meraviglioso “Q” che squarcia un velo su una parte della storia italiana completamente, e volutamente, dimenticata da chi poi la storia l’ha scritta effettivamente. Come noto, questa piacevole incombenza spetta ai vincitori.
Alla metà del Cinquecento, nell’Italia nord-orientale proliferavano gruppi che s’ispiravano alle dottrine anabattiste professate da un oscuro personaggio di nome Tiziano. Il predicatore si muoveva, con un certo seguito, fra i possedimenti della Serenissima e le terre degli Estensi; nel 1551 riuscì perfino a riunire un concilio a Venezia. Vi parteciparono più di 100 delegati. Pare che Tiziano fosse stato sul punto di “convertire” Giulio III come si evince da un’ambigua e purtroppo monca testimonianza di uno dei suoi seguaci che poi lo abbandonò per consegnarsi all’Inquisizione. Ebbene, questo Tiziano è stato cancellato dalla storia, analogo il destino degli anabattisti, eliminati come altre fazioni protestanti che cercarono di emergere dove la chiesa romana era onnipotente.
Ispirandosi alla vicenda dell’oscuro predicatore il collettivo bolognese Luther Blisset costruì una storia di grande fascino e le diede come titolo una lettera. Tiziano assume questo nome solo nell’ultima parte dopo essere stato un anonimo studente tedesco di Wittenberg, un discepolo di Muentzer, Gert dal Pozzo protagonista dell’epopea anabattista, membro di una setta di Anversa capace di ordire una colossale truffa ai danni dei padroni d’Europa, i banchieri Fugger, e il tenutario di un bordello di Venezia, in stretto contatto con librai, editori e finanzieri sefarditi che diffondevano in segreto “Il Beneficio di Cristo”, opera che all’epoca del Concilio di Trento prospettava una conciliazione con i protestanti. Chi è allora Q? È Qoelet, la spia del cardinale Carafa che provoca, attraverso sotterfugi e tradimenti, tutte le sconfitte del riformatore religioso. Il fine di Q consiste infatti nell’imporre al mondo attraverso «un messaggio semplice: il timore di Dio», dell’assoluto e di indiscutibili verità. Oggi potremmo tradurle con: “principi non negoziabili”. Non può finire così, dice il lettore appena chiude il libro, dopo che Q e Tiziano sono stati finalmente faccia a faccia specchiandosi in un raffinato duello di parole e suggestioni scevro da ogni violenza, dove si colgono lampi di ravvedimento e pensieri più… liquidi.
A distanza di un decennio, mentre Luther Blisset si è trasformato in Wu Ming, che vuol dire senza nome in cinese mandarino, il collettivo ha proposto un altro romanzo ambientato tra Venezia e Costantinopoli, tra l’esplosione dell’arsenale di Venezia del 1569, un 11 settembre dell’epoca, e Lepanto. Gli autori hanno più volte precisato che non di sequel si tratta, rivendicando anzi per “Altai” vita totalmente autonoma. Per cui sento di forzare la situazione ma ho letto i romanzi uno dietro l’altro e sono minato da questa “deformazione”. Che un po’ ci sta.
Tiziano si è rifugiato nello Yemen, e si fa chiamare Ismail, ma affiancherà stavolta un giovane ebreo che proprio a seguito dell’esplosione dell’arsenale viene coinvolto in un’ondata anti-ebraica che coinvolge la Serenissima fino ai più alti livelli. Il giovane ebreo, di nome Emanuele de Zante alias Manuel Cardoso, costretto a fuggire verso oriente, verso l’impero ottomano, coltiva la visionarietà di Juan Micas, o Joao Miquez, l’israelita che vuole fare di Cipro la nuova Sion, la terra promessa non solo per gli ebrei ma per tutti i perseguitati e gli spiriti liberi del mondo. Pure stavolta ogni sogno è destinato a crollare miseramente: Lepanto è alle porte ma, prima, proprio a Cipro si è consumato l’assedio di Famagosta e il massacro della guarnigione veneziana e del Bragadin che la comandava da parte dei turchi. L’utopia libertaria e pacifica deve arrendersi allo scontro di civiltà, locuzione validissima quando crociati e musulmani si contendevano Mediterraneo e terraferma e che rimanda agli spettri odierni. Ci sarà un erede capace di raccogliere il lascito spirituale di una nuova speranza? Ismail, accompagnato dai fedeli amici, trae in salvo un bambino dall’ultimo eccidio e fa con lui ritorno nello Yemen. In teoria, quel bambino potremmo esserlo tutti noi.
Tra i due libri ci sono differenze, certo, la portata di “Q” è vicina alla dimensione dell’epos, “Q” si ama visceralmente. Ma entrate nelle pieghe di “Altai”, assaporate l’umidità delle calli veneziane che si riversa nelle righe. E leggeteli entrambi nel giusto ordine. Se poi li vedrete come un continuum o due parallele che s’incontrano all’infinito lo sceglierete in piena libertà.