Due Vietnam, due Yemen, due Coree, perfino due Gorizia si è inventata la guerra fredda. Avete mai fatto caso che ci sono anche due Georgia? Una nell’impero americano, campi di cotone di un sud ingrato, e una nell’impero russo, giù giù nel Caucaso. Ma quest’ultima coincidenza è davvero un incidente geografico.
Ci sono le pagine finali de “Le Benevole” di Jonathan Littell, un caso letterario alcuni anni fa, a raccontare come Berlino bruciava. Strada per strada, palazzo per palazzo, perfino gli animali dello zoo erano coinvolti nel finimondo. Littell narrò in mille pagine la tragedia della seconda guerra mondiale dal punto di vista ripugnante dei carnefici. Orrore su orrore dal fronte orientale, descrizioni minuziose di un perfetto ingranaggio di sterminio. Con coerenza e freddezza. Un libro revisionista, ci fu chi gridò. Diciamo, è il quadro del nazismo senza moralismi, magari un po’ morboso, visto che Littel è di ascendenze ebraiche, ma letterariamente notevole. A mio non insindacabile giudizio.
Torniamo a Berlino, dove il protagonista Maximilian Aue vive da eroe nazionale per una ferita alla testa rimediata a Stalingrado e dove si dedica alla scherma, al nuoto e assiste ai concerti diretti da Karajan e Furtwängler. In principio fu Bärlein: vuol dire orsetto. Carino, no? Il peluche in questione, seppur di pietra, svetta in cima a una colonna a Nikolaiviertel, la più antica zona residenziale dove nel Medioevo passava una via commerciale. Ci sono vissuti Kleist, Hauptmann, Ibsen, Casanova, Strindberg e Lessing. Nel 1944 era un quartiere distrutto, poi invece di Speer ci pensarono Günter Stahn e gli architetti sovietici a rimetterlo in piedi riproducendo case e strade nel modo più esatto possibile. Indubbiamente hanno fatto un bel lavoro. Lo spillone che si materializza dietro i tetti del quartiere e i due campanili della Nikolaikirche non è un fantasma post-moderno, ma la torre della televisione di Alexanderplatz. La chiamano tele-spargel, tele-asparago, in effetti ci sta. Il suo più grande peccato è sovrastare in modo opprimente Marienkirche un grazioso edificio gotico a tre navate.
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Il traffico scorre regolare di fronte ai palazzi con i quali i sovietici seppellirono il bunker di Hitler, siamo presso Potsdamer Platzt, alla sua riedificazione ha tanto contribuito Renzo Piano. Ecco, se c’è un simbolo di rinascita dalle ceneri è proprio questo progetto urbanistico che accelera verso il futuro per lasciare il 1961, l’anno di edificazione del muro, all’album sbiadito di un secolo su cui ancora dobbiamo accordarci se è stato troppo lungo o troppo breve. Le autorità della DDR lo chiamarono “barriera di protezione antifascista”. Oggi ne rimangono frammenti sbertucciati dove fai a fatica a leggere e interpretare gli antichi messaggi di libertà a pace. Gli americani almeno furono più schietti e al Checkpoint Charlie misero un cartello secco: You are leaving the american sector, tradotto in russo, francese e tedesco. Stop. Il pragmatismo d’oltreoceano. Che resta di quell’epoca: materialmente mostre fotografiche, colbacchi e cappelli militareschi che i turchi provano a smerciare in improvvisati mercatini, poche Trabant ancora non grippate. Non dite i quartieri della ex Berlino est: Prenzlauer Berg è tutto bar, locali e attrazioni culturali per giovani e artisti. Se volete magari ancora il punk di quello incazzato andate a Kreuzberg. Ma è all’Ovest.
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M. Caneschi
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