Scritti e pubblicati in due puntate sulla rivista “Epoca” nella prima metà
del 1864, I ricordi dal sottosuolo di Fëdor Dostoevskij ci
introducono in uno spazio peculiare e destinato ad assumere, nel corso degli
anni, un ruolo di primo piano in ambito sociale, quindi, letterario.
Condividendo in modo estemporaneo, e forse inconsapevole, l’esperienza del
protagonista, nel libro si arriva a riconoscere il sottosuolo come
habitat naturale dell’essere umano adibito all'espressione e alla
rivendicazione autonoma e individuale della propria libertà e del proprio
istinto naturale ad essere altro rispetto a ciò che il mondo vorrebbe.
Il libro è diviso in due parti: la prima è
un monologo del protagonista, la seconda è un racconto in prima persona
intitolato A proposito della neve fradicia. Non si tratta di una
suddivisione rigorosa ma, piuttosto, di un’interruzione volontaria attraverso
cui l’autore ci accompagna ad esplorare sempre più da vicino una dimensione
che, pagina dopo pagina, ci risulterà sempre più familiare.
L’aspra critica al razionalismo
positivista, riassunto dalla classica formula del «due più due fa quattro», domina
imperterrita in ogni pagina nel contrastare lo schiavismo della logica, e della
sistematicità matematica, che tiene in gabbia l’essere umano alle
estremità di un mondo che sente non appartenergli.
Nel sottosuolo,
infatti, egli arriva a scoprirsi e a viversi perché nella solitudine
e nell'allontanamento dall'altro riesce ad esprimere la sua vera
natura, anche la più cruda, anche la più scomoda.
Lontano dalla convenzione sociale di chi
agisce, l’uomo del sottosuolo pensa, forse troppo, a quanto la ricerca di una
propria affermazione risponda all'imperativo categorico, ma omesso,
che quotidianamente ci guida nella ricerca di una affermazione e di un
apprezzamento da parte degli altri.
La società del benessere, e di quella che
oggi chiamiamo l’American way of life, incastra i nostri
istinti più crudi in una bolla pronta ad esplodere alla prima tentazione, al
primo sussurro di sofferenza travestito da piacere che ci si palesa davanti.
Se, di contro, l’uomo decide di rispondere primariamente a se stesso e poi agli
altri, opponendosi a quanto viene definito impossibile dal muro della
normalità, incappa nella sofferenza drastica di chi è solo,
nell'inettitudine e nell'incapacità di vivere le relazioni inter
personali.
Questa la testimonianza che il
protagonista della seconda parte ci lascia; un uomo tormentato dalla sua
incapacità di agire che si trova a fare i conti con sé stesso nel momento in
cui, guardando da lontano le sue azioni passate, si rende conto di quanto anche
lui abbia contribuito a fornire testimonianza palpabile della viltà e
dell’obbedienza al piacere, da parte dell’uomo.
La ricerca della vendetta, il tentativo di
emergere nella società e infine, la caduta di stile nella lussuria sfrenata e
irrispettosa, sottoposte a bilancio
critico dall'animo irragionevolmente cosciente, sono immagine di una
volontà di riscatto, l’immagine di una confessione che racconta come anche la
più candida e la più pura delle manifestazioni naturali riesca a mostrarsi
“fradicia” sporca e macchiata di un irrimediabile verità: quella che ci spinge
ad essere sempre qualcos'altro e che, in mancanza di punti di riferimento
saldi, di valori e di sentimenti profondi, non può che condurre al peccato,
alla solitudine e ad una sofferenza che, per quanto possa essere vissuta in
senso intellettuale, non smetterà di colpire, di far male e di abbassare le
nostre difese e la nostra fiducia nel mondo.