(Forged. Writing in the Name of God – Why the Bible’s Authors are not who we think they are)
di Bart D. Ehrman
Carocci, 2012 (2011)
pp. 262
Bart Ehrman è un’autorità indiscussa sul Nuovo Testamento e la vita di Gesù. Insegna all’università della North Carolina e in gioventù era un cristiano fondamentalista, uno di quelli che credono che la fine dei tempi sia imminente e che il diluvio universale abbia creato il Grand Canyon. Comunque studiava la Bibbia alla ricerca della verità. Anzi: Verità. Poi approdò al master di teologia a Princeton e si accorse che questa Bibbia era piena di contraddizioni, errori. Menzogne. Così si allontanò dalla Bible Belt per passare la vita a scovare i casi in cui emergono dei plagi. Questo libro è la sintesi dei suoi studi.
Ora, dobbiamo partire da un aspetto di metodo prima di entrare nei contenuti del saggio. O almeno in alcuni, perché il lavoro è articolato. Secondo alcuni studiosi nell’antichità le regole, il sentire acquisito, era diverso rispetto a quanto noi moderni abbiamo elaborato e scrivere sotto falso nome, appunto, era sostanzialmente accettato. Niente affatto, replica Ehrman, che sente forte, quasi con ossessione, l’esigenza di sbugiardare questa tesi. La contraffazione è sempre stata considerata una frode e la prima parte del libro si preoccupa di accumulare esempi di autori antichi che si scandalizzavano quanto lui per la spudoratezza dei falsari.
Poi, Ehrman fa un passo avanti: «ci stiamo occupando di scritti prodotti dai seguaci di Gesù. Di sicuro sapevano che mentire era sbagliato. Per quale ragione lo facevano se sapevano che era sbagliato?». Per quale motivo nel cristianesimo delle origini l’insegnamento della verità è passato attraverso opera di falsari disposti «a mentire e ingannare gli altri»? Insomma: se la contraffazione era condannata dal sentimento comune, quella messa in opera da chi si proclamava cristiano sarebbe dovuta incorrere anche nelle forche caudine di una coscienza individuale che a parole la rifuggiva.
Ma c’erano buoni motivi per certi autori di falsificare testi o attribuzioni: i primi secoli della cristianità, almeno quattro, quindi 400 anni, un arco di tempo su cui non riflettiamo abbastanza ma che è lungo e che passa attraverso vicende di portata planetaria come la disgregazione dell’impero romano, sono stati un’autentica disfida. Teologica innanzitutto, ma non solo. Il credo che noi oggi conosciamo e che fondamentalmente esce dai concili di Nicea (325), Efeso (431) e Calcedonia (451), ha dovuto lottare contro nemici esterni e interni. I primi: ebrei e pagani. I secondi, ancora più insidiosi, poterono essere bollati come eretici una volta sconfitti a suon di false lettere, false apocalissi, falsi vangeli, false attribuzioni, correzioni, aggiunte, mezze verità: armi che servirono al credo vincente di calibrarsi continuamente e affinarsi attraverso quei 400 anni nei quali si combatté la “battaglia per le Sacre Scritture”. E a proposito di scritture, per quelle delle correnti cristiane sconfitte non restò che la distruzione. Molto venne fatto ed è un miracolo che siano riemersi nel 1945 dalle sabbia del deserto egiziano la biblioteca gnostica di Nag Hammadi e nel 1947 dalle rive del Mar Morto i rotoli di Qumran.
È inoltre paradossale che tale battaglia, ma questa è una mia aggiunta, sia stata vinta soprattutto grazie a intellettuali, che sono passata alla storia sotto il nome di apologeti o perfino padri della chiesa, tutti africani. Neri. Mulatti al più. Berberi: Tertulliano, Origene, Cirillo, Agostino, cartaginesi, alessandrini, algerini! Ireneo, conosciuto come di Lione solo perché divenne vescovo di Lugdunum, era di Smirne: un turco. Dunque se un tipo di cristianesimo ha vinto contro i docetisti, Marcione e soprattutto contro la galassia gnostica, lo deve a gente che oggi i più ferventi “cristiani” rimpatrierebbe a suon di respingimenti.
Ma torniamo al libro: un libro da leggere attenti, per scoprire che i testi che pretendono di essere scritti da Pietro non sono assolutamente suoi, se non altro perché Pietro, o Simone, era un pescatore di un polveroso villaggio della Galilea che a scrivere non aveva mai imparato; che delle lettere passate alla storia come di Paolo, solo 7 su 13 sono sue; mentre a ciascuno dei quattro vangeli canonici hanno accoppiato un nome soltanto un secolo dopo che erano stati scritti. E tanto altro. Sconvolgente? Per il pragmatismo americano può darsi, per il carattere latino e levantino pare di no, visto che la liturgia domenicale continua a propinare Paolo apostolo con convinzione, facendo passare ogni lettera per buona. Autentica. Inutile angosciarsi troppo: le gerarchie romane non faranno operazioni di pulizia teologica, la scuola pubblica perché mai dovrebbe visto che c’è l’ora di religione. O catechismo (cattolico). E poi, se qualche sconosciuto nei secoli ha scritto una cosa firmandosi Tommaso, Nicodemo, Clemente, Pilato (sì, perfino Pilato), ma soprattutto Pietro e Paolo, rimescolando il loro pensiero, avrà compiuto peccato ma in fondo non poteva che essere, è il caso di dire, in buona… fede.