di Ian McEwan
Einaudi, 2010
pp. 346
Michael Beard ha conquistato, non si capisce come sia stato possibile, addirittura il Premio Nobel per la fisica. Da giovane era stato un genio della fisica teorica, allievo di Durac, aveva ammirato la «pura bellezza» di alcune equazioni ed evidentemente le aveva sviluppate nel modo giusto. Ha campato di rendita per il resto della vita ed è oramai un bolso brontosauro, nel ruolo e nel corpo: da un lato è un potentissimo burocrate, dall’altro è un almanacco ambulante dei sette peccati capitali. La sua predilezione va alla gola e alla lussuria visto che inanella cinque mogli infarcendo i rispettivi matrimoni di tradimenti e relazioni parallele. Ora però c’è un’ex moglie decisa a fargli vedere i sorci verdi per cui la sua parabola sembrerebbe concludersi inesorabilmente in una decadenza da contemplare con malinconia.
Almeno fin quando non gli viene affidato un incarico davvero prestigioso e fra i suoi sottoposti nota un allievo tanto brillante quanto ingenuo: Tom Aldous. Tom vuole ovviamente “salvare il mondo”, l’ingenuità sta tutta qui, ma, incredibile a dirsi, il suo sogno pretenzioso sembra poggiare su basi solide. La soluzione ai problemi energetici del pianeta potrebbe essere a portata di mano. L’incontro tra Michael e Tom avrà sviluppi inaspettati, sarà un confronto con un epilogo tanto banale quanto drammatico.
A Beard viene allora in mente di plagiare le ricerche di Aldous e comincia a pontificare sulla schiavitù da carbone e petrolio da cui l’umanità dovrebbe liberarsi se non vuole aprire la strada a una catastrofe pronta ad abbattersi sui nostri nipoti. È necessario guardare in alto, verso il sole e la sua pioggia di fotoni e questo che riecheggia il mito di Promoteo, Beard prova a realizzarlo in una cittadina americana.
L’esperimento si trasforma in un disastro ridicolo, qualcuno frantuma i pannelli installati, gli avvocati fanno causa per plagio, passato e presente si ritorcono inesorabili contro, incarnati nella compagna londinese e nell’amante americana, donne che un minuto prima si strappavano i capelli e che un minuto dopo si ritrovano coalizzate. Non resta che un’esile speranza, la figlia Catriona che Beard aveva a lungo rifiutato e che ora gli corre incontro per abbracciarlo farfugliando qualcosa di incomprensibile. Beard ha un groppo al petto, «probabilmente nessuno gli avrebbe creduto se avesse cercato di spacciare questo turbamento per amore».
Il comico invade, insomma, il territorio della scienza. Un comico effimero, casuale, grottesco. A volte incomprensibile. Comunque coraggioso visto che affronta sul proprio terreno la disciplina che, in fondo, avrebbe dovuto sconfiggerlo. “Solar” lo potremmo vedere come un saggio sull’industria culturale o la futile ebbrezza con la quale gli scienziati parlano della fine del mondo e fanno previsioni millenaristiche. Ma se vogliamo dare un tono di risalita alla produzione letteraria di McEwan, che dopo “Espiazione” non ha fornito prove entusiasmanti, questa intrusione comica nel terreno accademico e paludato della comunità scientifica non suona affatto sgradevole. Almeno a noi lettori. I coinvolti in prima persona sono liberi di pensarla diversamente.
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