di Sergio Mangiameli
Puntoacapo, 2013
Ci troviamo in un sabato qualunque di qualche anno fa, in ospedale. Il sole sta per tramontare debolmente, scuotendo le nuvole che hanno appena pianto sulla città. Un pediatra, Giovanni Caliò, osserva dalla finestra gli eucalipti e i pini che nascondono i padiglioni; e i suoi pensieri che, come formiche, si disperdono sulla scrivania. Pare che tutta questa scenografia stia sul bordo di se stessa. In più, c’è soltanto il tempo: che non trova posto, o aggancio.
Al “Giornaletto”, l’unità di terapia intensiva neonatale, i bambini prematuri sono affidati a una termoculla, che porta un nome fisso, tratto da un personaggio dei fumetti. Perché ognuno di loro, seppure si trovi sul bordo della vita, è un racconto. Ma questi quadri malinconici vengono inseriti, successivamente, in una cornice struggente: Davide, il figlio adolescente del dottor Caliò.
Puntoacapo, 2013
Ci troviamo in un sabato qualunque di qualche anno fa, in ospedale. Il sole sta per tramontare debolmente, scuotendo le nuvole che hanno appena pianto sulla città. Un pediatra, Giovanni Caliò, osserva dalla finestra gli eucalipti e i pini che nascondono i padiglioni; e i suoi pensieri che, come formiche, si disperdono sulla scrivania. Pare che tutta questa scenografia stia sul bordo di se stessa. In più, c’è soltanto il tempo: che non trova posto, o aggancio.
Al “Giornaletto”, l’unità di terapia intensiva neonatale, i bambini prematuri sono affidati a una termoculla, che porta un nome fisso, tratto da un personaggio dei fumetti. Perché ognuno di loro, seppure si trovi sul bordo della vita, è un racconto. Ma questi quadri malinconici vengono inseriti, successivamente, in una cornice struggente: Davide, il figlio adolescente del dottor Caliò.
In Sul bordo, il nuovo romanzo di Sergio Mangiameli, l’autore catanese ritorna a fare
analisi, soprattutto su di sé e la sua vita professionale. Ritroviamo, in una
città di mare del sud Italia, gli intrecci di una famiglia, presentata così intimamente
da risultare reale: «Ho ritenuto necessario», afferma Mangiameli, «cucire tutto
con molta cura, non lasciando culla al caso. Per far questo, dovevo evidenziare
i dettagli, anche il più piccolo. Dunque, del protagonista Giovanni, racconto,
per correttezza nei confronti del lettore, le sue pieghe: egli scava a fondo in
se stesso, per trovare la soluzione al suo problema, cioè arrivare a suo
figlio; la trova nella sua nuova posizione, nella vita, nel tennis».
Sergio Mangiameli |
In parallelo,
corrono eleganti descrizioni: da quelle paesaggistiche islandesi, a quelle
musicali di Ludovico Einaudi, con la dolcezza della lava che fuoriesce da una
fenditura, e si raffredda appena le acque gelide dell’oceano la abbracciano; o
di un violoncello che accompagna un pianoforte, mentre uno stormo di pettirossi
svolazza per la stanza. A legare tutto il romanzo, raccontato ritmicamente come
se ci stesse accadendo di fronte gli occhi, tra intermezzi composti sotto il
chiaro influsso musicale e intime riflessioni, l’eleganza di alcuni episodi
che, dall’aspetto domestico, si evolvono fino alla filosofia più genuina. Ed
ecco un esempio. I figli del dottor Caliò fanno un gioco: su un foglio piegato
a fisarmonica, vengono scritte a turno delle frasi, senza guardare ciò che è
stato scritto precedentemente e finché ci sia spazio. Infine, si apre il foglio
e si legge, a voce alta. Spesso, si tratta di frasi sconclusionate,
[…] ma a volte
per assurdo c’è un senso. Come la vita. […] (pag. 81).
La vita ha un
senso per assurdo? «Certo che la vita ha un senso», risponde Mangiameli. «Se ci
troviamo nella posizione esatta, riusciamo pure a vederlo. Il punto è proprio
questo: trovare la nostra posizione».
Tra me,
domando: che sia il bordo una posizione?
Dario Orphée
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