Edoardo Esposito, docente universitario a Milano e critico letterario, è oggi il maggior esperto italiano di Elio Vittorini: allo scrittore siciliano ha dedicato negli ultimi trent'anni numerosi saggi e commenti che ora vengono raccolti, insieme ad altri studi inediti, in un importante volume pubblicato da Donzelli. Già nel capitolo introduttivo Esposito difende vigorosamente Vittorini da una serie di accuse che gli sono state mosse in ambito letterario sin dai suoi esordi di narratore: tra queste, quella di aver voluto “essere troppe altre cose che scrittore” (s'intende traduttore, critico, polemista, giornalista, politico...), senza volergli riconoscere “l'ampiezza dell'orizzonte con cui ha cercato di misurarsi, e la generosità con cui ha saputo spendersi.” Altra riserva che molti letterati hanno espresso riguardo alla prosa di questo tanto discusso e frainteso autore, è stata quella sul suo stile, “apparso via via... povero, ripetitivo, scialbo e monotono, oppure innaturale, artificioso, manieristico.” Esposito riporta numerosi esempi di altissima prosa vittoriniana, riconoscendole “una sicurezza e un'agilità espressiva indiscutibile”, ma soprattutto la capacità “di comunicare al lettore la propria carica emotiva.” Una prosa, quindi, che seppe far tesoro sia degli insegnamenti del realismo psicologico di tradizione ottocentesca (specificamente verghiana), sia del classicismo rondesco, sia dell'atmosfera della poesia ermetica e, prima ancora, simbolista.
Da subito la narrativa di Vittorini si caratterizzò per una sua consapevole opzione per la letteratura europea del Novecento, in una direzione assolutamente contraria al carattere “nazional-popolare” verso cui spingeva la cultura fascista dell'epoca. Quindi i tedeschi e i russi, ma soprattutto i francesi con Proust e gli inglesi con Joyce e Lawrence. Solo in seguito la lettura entusiastica e la traduzione degli americani divenne per lui fonte primaria di ispirazione e invito a “riscuotere il romanzo dall'intellettualismo e ricondurlo a sottovento della poesia.” Gli autori che diventarono ben presto suoi maestri furono ovviamente Hemingway, Faulkner, Steinbeck, Saroyan, Caldwell, che lo spinsero ad adottare uno stile e una sintassi completamente diverse da quello assunte fino ad allora: “oggetto di una decostruzione i cui materiali verranno collegati attraverso un principio di tutt'altro tipo: il ritmo.”
Esposito segue minutamente non solo l'evolversi della narrativa vittoriniana, ma anche i suoi conseguenti nuovi approdi lavorativi, con la collaborazione professionale che passò da Mondadori a Bompiani, e poi, nel dopoguerra, a Einaudi, e con l'attività pubblicistica che si specializzò appunto sugli autori americani. Il romanzo che gli dette la fama, decretandone successo di pubblico e di critica, anche in ambito internazionale, fu ovviamente Conversazione in Sicilia, pubblicato nel 1941, di cui Esposito ricostruisce sapientemente genesi e composizione, sottolineandone l'originalità stilistica (“un nuovo narrare”) e la portata politica, con la coraggiosa denuncia contro “un regime sempre più illiberalmente offensivo”. Altrettanta partecipe attenzione il critico destina a un altro capolavoro vittoriniano, Uomini e no, del 1945, alla “dimensione ritmica del suo discorso”, nel suo “procedere paratattico tributario della tecnica cinematografica”, e soprattutto alla sua componente sentimentale, con la commossa rivisitazione della storia d'amore tra Berta e Enne 2. Un romanzo, quest'ultimo, “non sulla Resistenza ma della Resistenza”, a cui lo scrittore siciliano partecipò “non come combattente, ma collaborando essenzialmente alla stampa clandestina”, in nome di un'utopia mai rinnegata.
Altro capitolo importante nella biografia di Vittorini fu il suo ruolo di operatore culturale, di traduttore e scopritore di talenti letterari, di instancabile organizzatore e polemista, come è testimoniato dal suo ricchissimo epistolario, dalla produzione di numerosissimi articoli e saggi, e dalla pubblicazione della più importante antologia di narratori statunitensi mai apparsa in precedenza: “Americana”. Questo fondamentale volume, di più di mille pagine, introdusse per la prima volta in Italia 33 autori d'oltre oceano, più che tradotti letteralmente “riscritti” dalle penne più importanti dell'epoca (Montale, Moravia, Piovene tra gli altri). Esposito segue le vicissitudini anche politiche (dovute a fraintendimenti e censure, a polemiche e ripicche) di tali iniziative, che sempre mostrarono il carattere indipendente e coraggioso dell'autore:
La vera scienza di Vittorini non si affidava a un'analitica realtà di studi; erano letture onnivore e appassionate a fondare la visione prospettica nella quale trovavano giustificazione le sue scelte, e il valore della sua critica, per quanto riguarda in particolare la letteratura americana, resta nell'innovatività della proposta e nella suggestione delle metafore con cui egli seppe sostenerla.
Gli ultimi capitoli del saggio di Esposito sono dedicati ad almeno tre avvenimenti importanti dell'ultimo ventennio di vita di Vittorini: l'avventura de “Il Politecnico”, mensile di cui fu direttore e animatore dal 45 al 47, la cui pubblicazione venne sospesa in seguito alla dura polemica con i vertici del Partito Comunista. Quindi, la pubblicazione de “Il garofano rosso”, dopo una revisione durata molti anni: con una importante prefazione che si presentava come “la sua dichiarazione di poetica più articolata e argomentata”, in cui “il linguaggio poetico cui aspira lo scrittore appare caratterizzato da due dimensioni, quella ritmica (l'esigenza della “musica”) e quella simbolica (“dire senza dichiarare”). Infine, l'amaro episodio che vide Vittorini bocciare, con evidente miopia editoriale, la pubblicazione del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. Ma la grandezza dello scrittore e dell'intellettuale non ne viene scalfita, e il bel libro di Esposito la sottolinea con evidente ammirazione, riportando le parole inequivocabili di chi orgogliosamente si definiva “militante comunista”:
Ho un vecchio parere da dire: riguardo ad arte e cultura, compiti sociali di chi scrive, suo dovere di prender parte alla rigenerazione della società italiana...
Parole che, tanto più oggi, commuovono nella loro ingenua e feroce utopia.
Alida Airaghi