Da sinistra: Jacopo Cirillo, Eraldo Affinati, Patrizia La Daga, Claudia Consoli |
Mantova, 8 settembre: ultima giornata di Festivaletteratura. A mezzogiorno io e altri blogger incontriamo Eraldo Affinati per parlare con lui di Elogio del ripetente, il suo ultimo libro che abbiamo letto e apprezzato e del quale pochi giorni fa abbiamo pubblicato una recensione.
Un incontro informale, una chiacchierata per conoscersi meglio, e infatti Affinati decide di cominciare raccontandosi. Insegnante e scrittore, da subito dichiara che questi sono i due poli della sua attività, le due anime dei suoi libri. La vocazione pedagogico-letteraria emerge subito quando si guarda alla produzione: ci sono testi di impronta storica e letteraria come Campo del sangue (1997) e Peregrin d’amore (2010), altri che più direttamente riflettono l’esperienza da insegnante come Secoli di gioventù (2004), La Città dei ragazzi (2008) e l'ultimo Elogio del ripetente (2013), altri ancora basati su riflessioni, divagazioni, viaggi come Berlin (2009), Uomini pericolosi (1998), Bandiera bianca (1995).
“Sono insegnante e romanziere, due ruoli che sono accomunati dalla responsabilità della parola”.
Affinati continua raccontandoci lo spirito della scuola Penny Wirton, fondata insieme alla moglie Anna Luce Lenzi con l’obiettivo di insegnare l’italiano agli stranieri senza burocrazia, senza classi, puntando a un’integrazione completa e al coinvolgimento attivo di ragazzi italiani ripetenti che vi lavorano come volontari.
Poi cominciano le domande. In Elogio del ripetente si insiste molto sul contesto familiare come dato di partenza per comprendere i ragazzi, i loro sentimenti.
“Nel libro scrivo che anche il peggiore degli studenti compie un passo in avanti rispetto alla sua situazione familiare di partenza”, dichiara l’autore, che più volte –uscendo fuori dalle aule scolastiche – si è trovato a chiedersi: “A chi devo mettere il voto? Allo studente o al genitore?”
Oltre al confronto con situazioni familiari particolarmente difficili, l’insegnante oggi deve vincere un’altra impresa: conquistare l’attenzione dei ragazzi, distratti tra telefonini, web, videogiochi. E quanto è difficile avvicinarli alla lettura, almeno a quella classica, “antica”! Come stimolare il loro interesse? Si può provare a coinvolgerli in prima persona portandoli in giro per Roma ad acquistare insieme le copie di Se questo è un uomo per poi leggerlo insieme in aula.
Affinati non ha paura di mettere in discussione e svecchiare il proprio modo di insegnare e dichiara che le prime cose che in materia scolastica farebbe se fosse un politico sarebbero dare un tablet a ogni studente, riprogettare gli spazi scolastici in modo più dinamico, modificare la struttura didattica attraverso moduli, puntare sui percorsi individualizzati.
Critico nei confronti della burocrazia che paralizza il sistema scolastico (come tanti altri aspetti della vita italiana), ci ha detto di considerare del tutto insufficienti metodi di valutazione come le prove INVALSI che, con le loro pretese di oggettività, non tengono conto dei percorsi di studio, così diversi da un istituto all'altro, da uno studente all'altro.
Ci vuole coraggio per insegnare all’interno di un sistema in cui l’insegnante è lasciato solo, un po' come lo studente. E ci vuole coraggio soprattutto per scegliere di insegnare negli istituti meno blasonati, quelli che spesso sorgono alle periferie delle città, dove è facile trovare ragazzi con situazioni familiari disastrose alle spalle, studenti che vengono abbandonati, poco compresi e destinati a diventare ripetenti rinunciatari.
“Io non voglio insegnare al liceo. Preferisco un professionale perché lì sono più utile”, ci ha rivelato, forte della sua esperienza di docente che ha trovato molte volte nei ragazzi meno bravi un’eccellenza umana assente invece nei migliori.
Tra i problemi di cui abbiamo discusso c’è anche quello del rapporto tra didattica e narrativa, ancora purtroppo considerate dagli editori come mondi separati. “I manuali spesso scoraggiano i ragazzi e non invitano alla lettura. Per questo farei leggere i testi e tralascerei quell’armamentario di interpretazioni che li circondano”.
Ma non abbiamo parlato solo di scuola. Tanto amore per la scrittura nei discorsi di Affinati che ci ha parlato di alcuni libri in cui dialoga con altri scrittori: Veglia d’armi. L’uomo di Tolstoj (1992) è un breviario interiore ispirato all’opera del grande scrittore russo, Patto giurato (1996) uno studio monografico sull’opera poetica di Milo De Angelis.
“Nasco come lettore. Tolstoj, Heamingway, Flaubert sono stati i miei compagni segreti, mi hanno insegnato a vivere.”
Lo scrittore ci ha anche illustrato la sua concezione della letteratura come struttura che interviene sulla realtà: “Il romanzo inteso come finzione assoluta non mi interessa.”
Ma la scrittura ha anche una dimensione etica, di responsabilità. Tolstoj, nei diari, parlava di “responsabilità dello sguardo altrui”. Questo è il cuore dell’esperienza dello scrittore anche secondo Affinati che, citando Camus, ha detto: “Scrivo per coloro che non possono farlo”.
Scrittura, infine, vuol dire anche viaggio: “Ogni mio libro nasce da un viaggio”.
Peregrin d’amore, Campo di sangue, Berlin, Secoli di gioventù, La Città dei ragazzi, nascono tutti dal desiderio di raccontare un percorso che, solo con la scrittura, ha acquisito significato. “Senza la stazione finale della scrittura i miei viaggi non avrebbero senso”.
Il viaggio e il racconto di esso diventano comprensione, produzione di significato: “Per questo motivo ho voluto vedere i luoghi della guerra come sono oggi e raccontarli”.
Il tempo a disposizione era quasi finito quando, un po’ come nel gioco del “Chi butti giù dalla torre”, è stato chiesto all’autore che cosa sceglierebbe di fare se dovesse per forza rinunciare alla scrittura o all’insegnamento.
Ridendo Affinati ci ha detto che sarebbe impossibile decidere, sarebbe come tagliarsi un braccio.
In Elogio del ripetente ritroverete tutta la sensibilità, l’attenzione per gli altri, la forza comunicativa che Eraldo ha trasmesso anche a noi durante l’incontro e quel profondo senso di responsabilità del quale ogni bravo insegnante dovrebbe fare la propria missione.
Claudia Consoli
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