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Joyland: la terra dell’ovvietà di Stephen King

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Joyland
di Stephen King
Sperling&Kupfer, 2013

352 pp.
19,90 €


L’ultimo libro del re dell’horror statunitense Stephen King è apparso nelle librerie italiane all’inizio dell’estate 2013: Joyland, pubblicato in Italia dalla Sperling&Kupfer.
La storia è ambientata in un luogo tanto inconsueto per le storie del terrore quanto lo può essere la londinese Baker Street per un romanzo giallo: un parco giochi. Come se non bastasse, le vicende del fantasma di turno - che ovviamente è rimasto prigioniero del Castello del Brivido - si intrecciano con i tormenti sentimentali post-sessantottini di un giovane universitario americano e con il lacrimevole destino di un ragazzo disabile. Nessuna ironia metaletteraria, nessuna ricerca sul genere: una puntata della Signora in giallo ha più colpi di scena. E come nel celebre telefilm, che almeno ha il merito di essere interpretato da Angela Lansbury, il primo su cui ricadono i sospetti del nostro giovane che ficca il naso dove non dovrebbe è il cattivo della situazione, quello brutto e scorbutico.  Non sveleremo qui ai nostri lettori chi sarà poi l’insospettabilissmo killer psicopatico, ma vi mettiamo in guardia: in questo tripudio di banalità non si arriva neanche a creare un po’ di suspence che renda la lettura intrigante. Che la renda veloce sì: come ogni successo commerciale che si rispetti, Joyland è un testo che si legge senza problemi, ma questo perché non solleva nessun tipo di questione. La narrazione in prima persona è farcita da un’abbondanza di descrizioni che ostacola la riflessione e l’immaginazione: è tutto sulla pagina, il lettore deve limitarsi a seguire le vicende di personaggi che non hanno spessore e che se non fossero legati a un misterioso delitto avrebbero annoiato molto prima di arrivare alla fine del libro. 
Le ultime pagine sono dense di un malcelato patetismo con cui il narratore cerca di mettere fine alla sua storia:                          
La mia storia si conclude in un giorno di sole dell’aprile del 1974 [...]. Si conclude con una donna bellissima in un paio di jeans scoloriti e un ragazzo ormai cresciuto con una felpa dell’Università del New Hampshire [...]. Accucciato alla fine della passerella con il muso appoggiato sopra una zampa, un Jack Russel terrier che sembra avere perso la vivacità di un tempo.
Ecco il quadretto finale raccontato dal protagonista che forse si crede Holden Caulfield: la donna, il cane e il ragazzo che dice di essere cresciuto, ma il cui processo di formazione manca totalmente dal romanzo. E attorno a lui si dipana un grottesco circo di manovali, attrezzisti, “professionisti del divertimento” che sembrano usciti fuori da una brutta imitazione di un romanzo di Bukowski. Hanno pure un gergo tutto loro, così come nella realtà dei parchi giochi: la “Parlata” di Joyland, secondo la quale i clienti sono “i frollocconi”, il ritrovo dei dipendenti è “il pulciaio”, eccetera.
Il nostro caposquadra era un ometto arzillo di nome Gary Allen, il responsabile settantenne del Tirassegno di Buffalo Bill. Dopo il primo giorno, nessuno di noi lo chiamò più così. Secondo la Parlata, un tirassegno era uno sparaspara e Gary il cecchino. [...] “I bifolchi mi sfagiolano”, dichiarò. “Soprattutto i bignè, le tipe carine, e le migliori sono quelle con le masgiette scollate ce si sporgono tutte in avanti per sparare”.
Unica particolarità del libro degna di riflessione è proprio la presenza del ricco codice linguistico dei luna park, che avrà creato non pochi problemi di traduzione. Giovanni Arduino, uno dei traduttori italiani di King, ha dato prova di grande creatività nel rendere in italiano gli slogan rimati degli imbonitori di Joyland (“Venite su, dove il cielo è pulito e il panorama garantito”) e gli altri critici momenti linguistici presenti nel testo, come quando i personaggi giocano a Scarabeo.
Per il resto il libro resta quello che appare fin dalle prime pagine: un noioso romanzo giallo, più che horror, con elementi di paranormale, dove tra fantasmi e sensitivi il giovane protagonista ascolta i The Doors e legge Il signore degli anelli, ostentando con evidenti forzature la cultura statunitense anni Settanta alla quale pensa di appartenere. A ricordarci che vive anche dolorose ma formative storie d’amore accorre l’irritante espediente grafico dei cuoricini che separano i capitoli, come se per gli occhi dei lettori non fosse già sufficiente posarsi sulle numerose storpiature vocaliche che intendono imitare il parlato (“sbarre di sicurezzaaa”, “scrutare a luuungo”) o su un inspiegabile uso dei corsivi.

Le sfide sembrano non fare paura a Mr. King: non solo non si accontenta del successo del suo pagliaccio It e scomoda incautamente un intero parco giochi per cercare di far paura ai suoi lettori, ma decide addirittura di azzardare con un sequel. Oggi, infatti, esce negli Stati Uniti Dr. Sleep, che ci svelerà cosa ne è stato di Danny Torrance, il figlio di quel Jack protagonista del celebre e fortunatissimo Shining. La traduzione italiana, sempre a cura di Giovanni Arduino per la Sperling&Kupfer, uscirà ad inizio 2014. 
Tanta prolificità creativa (almeno una pubblicazione l’anno nell’ultimo decennio) è come minimo un po’ sospetta: se dietro tali evidenti operazioni commerciali ci fosse almeno un po’ di sano e godibile intrattenimento potremmo chiudere un occhio, ma c’è qualcosa che non torna. O King è quell’ “acclamato genio della letteratura internazionale” che il risvolto di copertina di Joyland celebra, o le pagine che precedono quel risvolto sono  noiose e banali. Delle due l’una.