La natura umana ospita e cova nella sua parte più intima tante presenze oscure, che travagliano l’esistenza esponendola all’insicurezza, alle ansie, alle manie, alla paura della vita stessa che induce a fuggire dalla realtà, a sensi di colpa che, sebbene sommersi sotto l’acqua densa dell’oblio, prima o poi riaffiorano inesorabilmente. Presenze oscure inevitabili proprio in quanto connaturate all’uomo, ma di cui è bene attenuare gli effetti più rovinosi, spuntandone la lama più affilata per evitare di farsi infliggere ferite mortali[1].
Andrea Bardi è il giovane protagonista del romanzo Le oscure presenze di Luca Rachetta. Il
titolo rinvierebbe a fantomatiche atmosfere cupe e vicine al romanzo gotico: quanto
di più errato.
Si tratta invece di una narrazione assai piacevole e
costruita, dallo scrittore marchigiano, con l’innesto di sapienti tratti ironici:
il protagonista, dopo il diploma liceale ed un’ottima laurea in Lettere, per
assecondare il desiderio del padre a capo di un’azienda di bevande zuccherine,
è stato indirizzato verso una carriera più sicura nell’azienda del genitore.
Alla perdita del padre segue, per Andrea, un’inaspettata
fortuna lavorativa nata grazie ad un’idea geniale confluita nella produzione di una specifica bevanda, il
chinotto, che risulta essere assai gradita alla clientela. La moglie, Donatella
Angelini, rivela, nel corso del romanzo, una personalità assai differente
rispetto a quella manifestata dal marito e da un po’ di tempo la donna,
sentendosi “artista nell’anima e filosofa da salotto”, frequenta
settimanalmente un circolo teosofico denominato Santi capeggiato da una
seguitissima guida spirituale. La vita dei due coniugi corre su binari che
appaiono sempre più insistentemente non solo paralleli, ma anche assai distanti
tra loro. Attorno ai due personaggi chiave del romanzo ruotano altre persone.
Sarà la madre, in particolare, a dare un risvolto paranormale-ironico al
racconto perché è colei che avverte la presenza, nella sua vita onirica notturna,
di misteriosi e strani esseri.
La narrazione è
arricchita dagli innumerevoli risvolti psicologici che connotano la vita dei
due coniugi ed è arricchita da un abile utilizzo del flusso di coscienza da
parte del narratore interno. Tutto il racconto infatti è giocato sul passaggio
e sulle possibilità del monologo interiore e sulla forte capacità del narratore
interno di muoversi liberamente tra il flusso delle coscienze dei personaggi: i
pensieri di Andrea, ad esempio, sono caratterizzati dal dubbio continuo che la
propria vita sia solo foriera di disinganni e illusioni e che debba pure pagare
un ipotetico prezzo davanti ad un giudice inquisitore; un connubio di
misticismo e ironia, un’analisi che a tratti rinvia alla narrativa di Svevo e che rende la vicenda paradossale e divertente
allo stesso tempo.
Tornando a casa Andrea rifletté su come sarebbe stato bello essere un eremita, al riparo dalla necessità di prendere decisioni o di non prenderle, col rischio, nell’uno e nell’altro caso, di andare incontro a delusioni e a rimpianti. Il suo pensiero doveva essersi focalizzato a tal punto sulla figura dell’asceta infervorato da mistici pensieri che, una volta entrato con l’automobile nel cortile della propria villetta, gli parve di scorgere Gesù Cristo che varcava la porta di casa sua, chiudendosi i battenti dietro le spalle. Con una certa apprensione cominciò a temere che si trattasse dell’annuncio di una vocazione ormai in gestazione, grazie alla quale sarebbe uscito con onore dal suo mondo, simile a una reggia labirintica, per entrare nel vestibolo dritto e unidirezionale che porta al rassicurante domicilio della fede.[2]
Donatella invece sembra aver trovato il proprio habitat ideale all’interno del gruppo
“mistico” e la sua partecipazione alle sedute che la società teosofica
organizza di frequente è costante. La donna considera il marito troppo egoista
e legato a valori che lei considera assai distanti dai propri.
Un universo parallelo e sconosciuto da rivelare, un gruppo
che aveva deciso di dare una svolta alla propria esistenza isolandosi dalla
civiltà dei consumi, da tutto ciò che poteva portare ad una spersonalizzazione
dell’individuo, un gruppo di
persone, giovani per lo più, che avevano detto basta alla superficialità della vita sociale e ai falsi idoli che obnubilavano le deboli menti degli uomini contemporanei: consumismo, massificazione, culto dell’apparenza, ossia tutto quello che mortificava lo spirito e rendeva inautentica la vita, svuotando di significato le relazioni umane e negando qualsiasi finalità ultima a quel formicaio di corpi indaffarati, stressati e nevrotici cui si era ormai ridotto il globo terrestre.[3]
Nel corso della
narrazione, Andrea sembra trovare conforto nei ricordi del passato, nella
rievocazione del periodo universitario: in particolare, l’amicizia con il
professore e relatore della sua tesi, rinvia a quelli che erano stati i sogni
della propria giovinezza ai quali è necessario ancora prestar fede perché
rappresentavano allora, e lo sono tuttora per Andrea, dei punti di riferimento
imprescindibili:
Ricordi, vi avevo
detto… ti avevo detto che era questo
il primo insegnamento della letteratura: valorizzare tutto ciò che sia
espressione della più alta dimensione spirituale dell’uomo. Rinnova sempre la
fiamma dell’entusiasmo e coltiva ancora i sogni che nutrivi da studente! Sì,
perché questi non devono per forza passare attraverso una poesia o un romanzo:
essi percorrono i mille sentieri della vita di tutti i giorni e diventano
tutt’uno con la dignità, l’integrità e la generosa disponibilità verso gli
altri dell’uomo vero. Andrea, non mancare mai alla promessa che il tuo
entusiasmo e i tuoi sogni fecero alla tua vita negli anni in cui ti conobbi: la
promessa di essere un uomo vero.
Un
racconto breve, ben costruito e arricchito da una scrittura forbita e ricca di descrizioni
impreziosite da metafore.
La vita con le sue crollabili certezze ci mette spesso di
fronte a situazioni che debbono necessariamente fare i conti con il proprio
passato e con le proprie esperienze familiari: la risoluzione delle oscure presenze nella vita della madre di Andrea e soprattutto la sorpresa
finale del romanzo che non è un epilogo vero e proprio, invitano il protagonista e il lettore a rivedere i canoni e le priorità sulle quali si basa
fondamentalmente la vita; infine lo scrittore ci offre un finale fiabesco riconducibile ad un’esperienza
incantata in cui il surreale chiude questa narrazione con un lieto fine.