L'amore e altre forme d'odio, un volume di racconti taglienti, asciutti e implacabili sulla vita di coppia e la prossimità tra esseri umani che inchioda il lettore alle imperfezioni sottili della propria quotidianità. Scritto da Luca Ricci e pubblicato nel 2006, il libro è riemerso dai magazzini della casa editrice Einaudi quando ormai le copie si credevano esaurite.
Con una penna che si fa bisturi di emozioni, sguardi e relazioni, Ricci racconta il rapporto tra uomo e donna in quel secondo tempo spesso sciatto e lento del matrimonio, quando è trascorsa la foga dei primi tempi e l'abitudine inizia a corrodere le relazioni. Ma non è la classica narrazione di tradimenti e rotture. Tutto è molto più sottile, asettico, ridotto al minimo del dramma, il palcoscenico è lo sguardo dello scrittore che si mantiene a distanza ma descrive, racconta e coglie in modo quasi scientifico il momento in cui il presente diventa passato e il futuro con le sue ipotesi infrange il quotidiano: basta un gesto, un'esclamazione, un diniego stizzito e prima impensabile. La narrazione si ferma a quest'unico passaggio: il primo scricchiolìo di una slavina che appena s'intuisce ma di cui si avverte già il rombo lontano, la futura violenza.
Composto da 21 racconti, ciascuno di una manciata di pagine, L'Amore e altre forme d'odio è fatto di frasi che paiono scelte in modo tanto certosino da essere quasi essenziali: le aggettivazioni ridotte al minimo, i gesti veicolati da parole che bastano a se stesse, l'emozione sezionata e imprigionata nel fluire monotono di una normalità sempre in bilico. "Certe coppie parlavano - scrive Ricci in uno dei racconti - altre stavano zitte. Dal numero di parole scambiate si poteva dedurre da quanto stavano insieme. A che punto era la loro speranza". Lo scrittore si fa studioso della relazione, osserva, annota, fa di conto sul reale che si svolge. Come si osservano le cavie in laboratorio, così i racconti catturano le ossessioni, le assenze, le irruzioni che sventano il tranquillo fluire della vita. Tanto frequenti da divenire il concreto quotidiano di ciascuno.
E caratterista peculiare del volume non è solo la scelta dei temi ma anche la forma che Luca Ricci ha scelto per narrare le sue storie: il racconto, un genere ormai troppo spesso mandato in soffitta da case editrici e lettori. Con questi che non chiedono quasi più di leggerne e quelle che - per troppa "temenza" - ne pubblicano sempre meno. Insieme a Luca Ricci abbiamo quindi cercato di fare il punto sullo stato di salute del racconto nel nostro Paese, partendo dal "ritrovamento" della sua raccolta. Seduti al tavolino di un Caffé romano poco dietro piazza Cavour, in una desertica domenica agostana, ecco cosa ci ha spiegato.
E caratterista peculiare del volume non è solo la scelta dei temi ma anche la forma che Luca Ricci ha scelto per narrare le sue storie: il racconto, un genere ormai troppo spesso mandato in soffitta da case editrici e lettori. Con questi che non chiedono quasi più di leggerne e quelle che - per troppa "temenza" - ne pubblicano sempre meno. Insieme a Luca Ricci abbiamo quindi cercato di fare il punto sullo stato di salute del racconto nel nostro Paese, partendo dal "ritrovamento" della sua raccolta. Seduti al tavolino di un Caffé romano poco dietro piazza Cavour, in una desertica domenica agostana, ecco cosa ci ha spiegato.
Partiamo dalle 649 copie di L'Amore e altre forme d'odio: come è avvenuta la scoperta di questa "giacenza"?
Già da qualche anno il rendiconto annuale della casa editrice indicava come giacenza attiva 649 copie de L’amore e altre forme d’odio, eppure il libro era introvabile e neppure ordinabile. Alla fine ho preso il telefono e mi sono voluto informare di persona, ed ecco che nei meandri dei magazzini Einaudi sono spuntate le copie di cui parlava il rendiconto, finalmente di nuovo reperibili, cioè acquistabili e soprattutto leggibili. 649 copie non sono niente, né per i bilanci di una casa editrice né per le tasche di un autore, però possono essere una cifra emblematica, una cabala editoriale che suggerisca un modo di pensare ai libri - produzione e fruizione - in termini più slow.
I social hanno influito nella diffusione della notizia del ritrovamento?
I social hanno svolto e stanno svolgendo un ruolo fondamentale. Viviamo nel culto della novità, certi libri sono già vecchi prima di uscire, perché ne vengono date faraoniche anticipazioni sui giornali, quindi figuriamoci che impatto poteva avere sui media tradizionali la notizia che era tornata disponibile una manciata di copie di un vecchio libro del 2006. Sui social invece gli scrittori possono confrontarsi direttamente coi loro lettori potenziali e non si tratta solo di un mero aggiornamento della classica vendita porta a porta.
Le 649 copie pongono un dilemma la cui soluzione sempre più sta portando verso la versione elettronica del libro: si farà l'eBook de L'Amore e altre forme d'odio?
Si farà perché gli editori stanno digitalizzando i cataloghi nella loro interezza. E’ una grande risorsa. Prima, ancora adesso in realtà, il catalogo di una casa editrice coincideva con il comparto tascabili, ma venivano tascabilizzati solo i titoli commercialmente più forti. Il cosiddetto catalogo cioè non era una tutela della qualità, ma solo una chance di vendita ulteriore.
Il tuo rapporto con gli eBook.
Sono realista, quindi tengo il piede in due scarpe. L’eBook è cheap, la carta invece è un lusso. Non potrei mai rinunciare a certe edizioni cartacee, non necessariamente pregiate (mentre ne parlo mi vengono in mente i volumetti della collana Contromano Laterza), eppure riconosco l’impagabile comodità - che è anche un vantaggio cognitivo - di trasportare sul palmo della mano un’intera biblioteca.
Il racconto in Italia: se ne pubblicano pochi oppure tutto parte da un progressivo disinteresse del pubblico al genere?
Riguardo alle colpe della sfortuna del racconto in Italia non so stabilire gerarchie. C’è un dato di fatto: in Italia la forma breve antagonista al romanzo è sempre stata la poesia. Nel secolo aureo del racconto, l’ottocento, in Italia spopolarono Manzoni e Leopardi. I nostri scapigliati con i loro racconti spaventosi arrivarono quando il primo ciclo del fantastico europeo era quasi esaurito. Questo ritardo, per così dire, ha avuto gravi ripercussioni anche nel Novecento, sebbene gli scrittori di racconti italiani siano stati grandissimi: Pirandello, Savinio, Buzzati, Landolfi, Parise. Oggi gli editori hanno paura, e i lettori non sono abituati.
Ne L'Amore e altre forme d'odio i personaggi si costringono a vivere una vita sola. A tatto - se così si può dire della lettura - racconti l'incapacità di sostenere la molteplicità.
La famiglia occidentale non patisce altra infelicità se non questa. Il libro è basato proprio sullo scontro tra convenzione sociale e desiderio individuale. I nomi propri dei personaggi sono stati sostituiti dalle funzioni familiari, per cui ci sono solo Mariti, Mogli e Figli. Proporre un libro di racconti modulare, che nelle sue intenzioni voleva far sentire proprio fisicamente il peso dei ruoli, della routine, era più che un azzardo. All’epoca dell’uscita il libro fu deliberatamente frainteso da un sacco di giornali, trattato quasi alla stregua di un chick-lit. Questi racconti sono stati salvati da un gruppo di critici agguerriti, è giusto dirlo. Davico Bonino, Giovanni Tesio, Andrea Cortellessa e Goffredo Fofi, tra gli altri, hanno permesso che non cadessero nel dimenticatoio.
Diversi sono i racconti in cui la prossimità e "il vicinato", intesi nelle forme più varie, mettono in crisi la coppia. In che modo il diverso incrina queste gigantesche convenzioni familiari?
Ne L’amore e altre forme d’odio in realtà il vicinato mette in crisi in quanto ripetizione, calco identico della famiglia di volta in volta protagonista. E’ disturbante proprio perché non offre la possibilità di un confronto con qualcosa di realmente differente, con un’alterità credibile. Zona nevralgica è la soglia di casa - questi sono racconti che si svolgono al chiuso (e in questo senso sprigionano anche la tipica angoscia del genere Fantastico) - oltre la quale si aprono appartamenti in tutto e per tutto identici a quello dove si appena svolta la narrazione. Quando i personaggi si affacciano alla finestra vedono finestre uguali alle loro, oppure lo sguardo va a cadere su una corte, una terrazza, un giardino, insomma su una porzione di una proprietà privata: non sappiamo mai cosa succeda là fuori, nel mondo. In questo senso è centrale il tema del doppio (del triplo, del quadruplo e così via, a seconda degli specchi riflettenti in gioco), tema non a caso molto caro al Fantastico.
Ultima domanda: una carrellata degli autori che ritieni più significativi sul versante dei racconti.
Per rispondere a una domanda del genere mi piace pensare proprio agli specialisti, a quegli autori che sono ricordati proprio per i racconti, e che in qualche caso non hanno mai scritto un romanzo. Di Edgar Allan Poe, che è l’inventore dei generi letterari moderni, chi preferirebbe la Storia di Arthur Gordon Pym rispetto alle sue short stories? E.T.A. Hoffmann con la raccolta dei Racconti notturni inventa il Fantastico in un colpo solo. Guy de Maupassant scrive in dieci anni circa trecento novelle, un capolavoro di cui ancora oggi non si è riconosciuto l’esatto valore. Dino Buzzati si dedicò più al racconto che al romanzo, per non parlare di Silvio D’Arzo il quale fu praticamente l’autore di un solo racconto, però indimenticabile: Casa d’altri. Per finire, Raymond Carver non scrisse mai un romanzo in vita sua.
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Intervista a cura di Emilio Fabio Torsello