di Ugo Riccarelli
Mondadori, 2012
€ 19 (cartaceo); € 9,99 (ebook)
pp. 228
Il grande autore del Dolore perfetto si congeda dai suoi lettori e dalla vita con una saga familiare delicatissima, in grado di spostarsi dal lirismo stilistico alla semplicità dei dialoghi, dal racconto corale allo scavo psicologico dei personaggi. La vicenda muove dalla ferrovia, con lo stantuffare dei suoi treni che accompagna la vita della famiglia di Signorina: il
padre, burbero capostazione; la madre acquisita, pragmatica e sempre pronta a sacrificarsi per la famiglia; e i tanti fratelli, diversissimi tra loro ma ugualmente vitali e inquieti. Una frase racchiude il senso profondo del romanzo:Quindi si mosse verso la banchina e alzò la paletta da capostazione per arrestare la bellezza ai suoi piedi. (p. 12).
E di bellezza si tratta: bellezza delle forme di un passato semplice, primonovecentesco, alle prese con il fascismo prima e la guerra poi; bellezza dell'arrangiarsi e del rimboccarsi le maniche per ricominciare daccapo la propria vita, gli amori e riparare le crisi economiche; bellezza dell'innamorarsi davanti a un fiore, anche se a consegnarlo è un tipo segaligno, quasi invisibile prima di quel gesto; bellezza dell'amore per un figlio problematico, con problemi respiratori che lasciano in apnea tutta la famiglia; bellezza dei modelli che Signorina ritaglia e che danno forma a un'eleganza sconosciuta in Italia. Soprattutto, bellezza del non arrendersi mai. Sia chiaro, Riccarelli non scrive un romanzo a tesi, né ha mai avuto intenzione di farlo nella sua vasta produzione: porta però con sé la saggezza dell'esperienza degli anziani, e lo fa muovendosi in punta di penna su realtà spesso gravi e spiazzanti.
Poi ci sono le immagini: icastiche, quadri che non possiamo dimenticare, come Signorina da bambina, che cammina lungo la ferrovia accanto alla sua migliore amica, l'oca Armida; la stessa Armida che Signorina immagina volare via, nel cielo squarciato dalle bombe.
Sono personaggi concreti, tutti così caratterizzati che alla fine il Delmo, la Maria, Signorina, Severo, Beppe,..., sembreranno nostri dirimpettai. Ma sono anche personaggi che, senza strapparsi dalla contingenza, sognano, «che tanto a mettere legna sul fuoco dei sogni non costa niente e rende leggero il tempo» (p. 29).
A vincere il Premio Campiello, questo primo premio assegnato postumo, è dunque un romanzo che parla del passato con uno stile lirico lontano dal Duemila, e che tuttavia si avvale di strategie fortemente contemporanee: il tempo non è mai linea retta, ma continua spezzatura, inversione per flashback e salti prolettici. Ne deriva una storia avvincente, una storia di paese come ce ne sono state tante, ma anche una storia di piccoli eroi del quotidiano, che hanno avuto la loro epopea e la resistenza epica all'assalto del tempo.
Gloria M. Ghioni