Sull’ingiustizia
di Amartya Sen
a cura di Yong-June Park
traduzione di Riccardo Mazzeo
Trento, Erickson, Saggi sociali
di Amartya Sen
a cura di Yong-June Park
traduzione di Riccardo Mazzeo
Trento, Erickson, Saggi sociali
Sen è figlio e nipote di intellettuali indiani molto vicini al poeta e filosofo Rabindranath Tagore. Scelse di vivere e di operare nella più prestigiosa università occidentale sicuramente perché questo era il modo migliore per ottenere un riconoscimento sociale e scientifico, ma continua a includere nei suoi scritti riferimenti alla sua cultura e nell’ultimo periodo ha anche parlato espressamente della sua esperienza indiana[1].
Il titolo di questo saggio appare, oggi più che mai, invitare i lettori alla lettura e alla riflessione in
un momento storico in cui tutti ci sentiamo coinvolti o trascinati a vario
titolo nel grande “pozzo” dell’ingiustizia.” Non credo possa esistere un
individuo che non abbia toccato con mano il senso di iniquità, di
prevaricazione o addirittura di sopraffazione che si respira in molti ambienti
durante tutto il grande ciclo vitale. Questo saggio penetra all’interno di ciò
a cui aspiriamo tutti, ovvero una piena «giustizia nel mondo globale».
L’autore, Amartya Sen rettore di
una prestigiosa facoltà di economia al Trinity College a Cambridge e Premio
Nobel per l’economia nel 1998, molto legato alla propria appartenenza etnica e
ad una tradizione ereditata dal passato, scava all’interno del significato di
idea di giustizia, ciò che per ognuno rappresenta la volontà di vedersi
riconoscere diritti fondamentali secondo
la ragione e secondo ciò che ci indica la legge.
La prima parte del volume, La giustizia e il mondo globale presenta
un quadro di riferimento diacronico
della storia economica, sociale, liberale mondiale, che rinvia ad alcuni
caposaldi della critica sociale come Thomas Hobbes, John Locke, Jean Jacques Rousseau
e Immanuel Kant assieme ad altri teorici quali Adam Smith, Karl Marx, John
Stuart Mill, ammirati e ai quali si ispira Sen, per le teorie enunciate in
questo volume; qui i dibattiti, le grandi battaglie e le conquiste sociali sono
osservati sinteticamente nella loro evoluzione attraverso il tempo, un chiaro
sfondo critico ideologico, intellettuale, ma anche concreto assai rilevante che
ha dato il via ad una rivoluzione e radicale trasformazione delle società nel
mondo.
Un aspetto che rende piacevole la
lettura e che consente di sentirsi maggiormente coinvolti è il passaggio
frequente al presente, in un’alternanza diacronia/sincronia estremamente
interessante.
Nella seconda parte del saggio, dedicata
agli approfondimenti in L’approccio
situato di Amartya Sen, la curatrice Muriel Gilardone, parte da un altro caposaldo della produzione saggistica intitolato
Teoria della giustizia di John Rawls:
si tratta di un volume che affronta il problema della giustizia sociale in ambito
economico: si rilevano i concetti di
capacità e potenzialità di vita individuali a discapito dell’interesse
esclusivo centrato solamente sui redditi o sulle risorse:
«L’idea è quella di stimare che cosa gli individui possano fare o essere in società invece di quel che essi possiedono. […] L’utilità veniva considerata un criterio troppo soggettivo per il proprio benessere, e i beni primari troppo centrati sui vantaggi».[2]
La globalizzazione dell’economia
ha determinato in passato una continua
evoluzione del modo di investire, di lavorare e di percepirsi come parte attiva
all’interno dell’attività produttiva. Attualmente però si sente maggiormente il
bisogno, per l’economista, di una giustizia sempre più comparativa e non
astratta che non si concentra su un modello di isolamento, ma analizza le
istituzioni concrete e i comportamenti concreti».[3] Una
giustizia che si basa sulla possibilità
di stabilire, per ogni individuo a seconda della propria attività produttiva,
un rapporto di ordine e qualità in relazione alle situazioni di maggioranza o minoranza che si vivono nei vari
ambienti di vita, un confronto diretto e leale perché ciò garantisce per Sen
una procedura idonea e democratica per
tutti. Sen sostiene un «approccio
comparativo alla giustizia che si allontana radicalmente da una teoria della
giustizia nel suo significato condiviso».
Nel capitolo intitolato Chi è giusto Chi è ingiusto il curatore Jay Drydyk afferma come sia
più auspicabile, nella società odierna, chiedersi se sia mai possibile il
raggiungimento di un grado alto di giustizia più che preoccuparsi di chi sia e
operi nel giusto:
Un’azione giusta si situa tra l’agire ingiustamente e l’essere trattati ingiustamente. L’uomo giusto distribuirà i beni o fra se stesso e un altro o fra due altri in modo tale da non dare più di quanto sia desiderabile a se stesso e meno al suo vicino. […] Ma possiamo ritenere ingiusto che alcune persone siano meno libere di vivere bene di altre, e questa riflessione è centrale nell’approccio delle capacità alla giustizia.[4]
L’agire con giustizia presuppone una
dimensione ideale ambientale: l’efficienza dello Stato, la rete di sicurezza
sociale, le priorità per i meno abbienti, la cosiddetta “agentività empowerment”
e i processi legittimi. Lottare per la giustizia significa non solamente
combattere per le disuguaglianze, ma lottare anche «per l’innalzamento delle
capacità di tutti, ponendo soglie per sottoscrivere la partecipazione
sociale e prevenire l’esclusione sociale
attraverso procedure legittime che diano empowerment».[5]
Infine, l’ultima sezione del saggio a
cura di Christopher Lowry ripercorre i tratti rilevanti del volume di Amartya
Sen L’idea di giustizia, che
ha avuto ripercussioni positive nell’ambito di altre discipline (la filosofia):
per comprendere l’idea di giustizia Sen la associa all’imparzialità sostenendo
l’idea di una «giustizia come prassi: la discussione pubblica. Egli presenta e
difende un modo comparativo di teorizzare sull’imparzialità e sulla discussione pubblica».[6]
Una diagnosi sull’ingiustizia è
possibile quindi per Sen, solamente con una promozione del dibattito pubblico,
un’imparzialità discussa che, partendo da assunti teorici di scelta sociale che
vanno al di là di inclinazioni e atteggiamenti personalistici, non ci esime da
azioni concrete da attuare insieme e su cui riflettere per adottare misure atte
se non ad eliminare ma almeno a ridurre il senso di prevaricazione diffuso.