Bling Ring
un film di Sofia Coppola
nelle sale dal 25 settembre 2013
Credo fermamente nel karma, tutto questo mi è successo perché potessi avere un’enorme opportunità di crescere come essere umano. Mi vedo come un’Angelina Jolie, ma più forte, mentre mi do da fare persino di più per l’universo e la pace e la salute del nostro pianeta. Dio non mi ha dato questi talenti e questo aspetto solo per posare qua e là come modella o diventare famosa. Voglio essere a capo di un’enorme organizzazione di beneficenza. Voglio guidare un paese.
Sono le parole pronunciate realmente da Alexis Neiers – e riportate da Nancy Jo Sales la giornalista di Vanity Fair USA che la intervistò-, uno dei membri della banda di Los Angeles soprannominata “Bling Ring” che a partire dall’ottobre 2008 imperversò per quasi un anno compiendo furti sempre più audaci nelle case dei vip, accumulando più di tre milioni di dollari in gioielli e vestiti rubati nelle case delle celebrità nelle quali i ragazzi riuscivano ad introdursi. La storia ha avuto una certa eco negli Stati Uniti, dove l’ossessione dei giovani per la vita dei ricchi e famosi è da tempo considerata un fenomeno allarmante, ma soprattutto tale vicenda è stata resa nota grazie all’inchiesta sviluppata dalla Sales, che per prima raccontò su Vanity Fair in modo dettagliato la storia di questi sei ragazzi, intervistandoli e cercando di ricostruire non soltanto i fatti che hanno condotto al loro arresto ma anche le motivazioni più profonde che li hanno spinti a compierli.
Quattro anni dopo le condanne (e la scarcerazione per buona condotta ben prima dei termini stabiliti in aula) dei membri della banda, Sofia Coppola riprende la storia raccontata dalla Sales e la riadatta sul grande schermo costruendo un film che ha suscitato non poche polemiche ma che soprattutto lascia aperti molti spunti di riflessione. Tra i giovani protagonisti spicca senza dubbio Emma Watson, in un ruolo completamente inedito rispetto ai panni nel quale il pubblico è stato abituato a vederla, ma che dimostra di essersi affrancata una volta per tutte da Hermione Granger, la secchiona migliore amica di Harry Potter; non è la sua prima prova fuori dal magico mondo di Hogwarts (va segnalata soprattutto la sua splendida interpretazione in “Noi siamo infinito” di Stephen Chbosky, qui la recensione di libro e film), ma con buone probabilità sarà proprio questo film a segnare il suo passaggio come attrice all’età adulta, grazie alla regia di Sofia Coppola che ha avuto la lungimiranza di offrirle un ruolo tanto lontano dalle sue precedenti interpretazioni e forse dal carattere stesso dell’attrice. Coppola al suo quinto lungometraggio è una regista affermata, che ha incantato critica e –non sempre allo stesso modo- pubblico con piccoli capolavori come “Il giardino delle vergini suicide” (dal romanzo di Jeffrey Eugenides qui la recensione), “Lost in translation”, “Marie Antoinette” (un tripudio di costumi, musica pop rock e cupcakes) e Somewhere; dimostra con Bling Ring un indiscutibile talento nell’indagare falsi miti, capricci, tormenti e solitudini dell’adolescenza, specie di quella gioventù dorata cresciuta all’ombra dello star system.
D’altra parte chi meglio della figlia del grandissimo Francis Ford Coppola, cresciuta su set cinematografici di alcuni tra i maggiori capolavori della settima arte, in una grande famiglia satura di talento e fama, poteva raccontare con il caratteristico disincanto l’ossessione per le celebrità di questi ragazzi perduti? Il film, uscito in Italia il 26 settembre, rielabora la vicenda e vi apporta alcune modifiche per quel che riguarda i protagonisti, ma la storia è opportuno sottolineare ancora una volta si basa su fatti realmente accaduti, per quanto incredibili possano apparire. Annoiati dalla quotidianità e ossessionati dalla vita eccitante delle star, quattro ragazzi – nella finzione Rebecca, Marc, Nicki e Chloe- passano le giornate tra spinelli, alcol, discoteca e sogni di fama e ricchezza, documentando ogni eccesso con foto da postare sui social network, bramando di entrare anche solo per un attimo nel mondo luccicante dello star system. Dai furti di contanti e carte di credito nelle auto dimenticate aperte davanti casa dei legittimi proprietari, passano presto ad introdursi nelle ville vuote, prima quella di un compagno di scuola che sanno essere fuori città, poi in quelle di celebrity impegnate in tour promozionali, feste e appuntamenti mondani, prendendo “souvenir” quali soldi, abiti firmati e gioielli, attenti soltanto a prelevare poche cose alla volta per non correre il rischio di essere scoperti. Sono Rebecca e Marc i primi ad inventarsi questo gioco eccitante, nel quale presto coinvolgono altri amici, facendosi sempre più sfacciati e incauti.
Le volevo bene, davvero tanto. È stata la mia prima vera amica, l’amavo quasi quanto una sorella. Per questo la situazione era così difficile
dice Marc a proposito di Rebecca, l’ideatrice di questo eccitante “passatempo”.
Paris Hilton, Orlando Bloom e Miranda Kerr, Megan Fox e il compagno Brian Austin Green, Rachel Bilson, Linsday Lohan, Audrina Patridge, sono alcuni dei vip presi di mira dalla banda, che cerca online notizie ed indirizzi privati, per poi entrare indisturbati nelle dimore, rubare e fotografarsi. Per quasi un anno vivono alla grande, tra soldi, droghe sempre più pesanti e serate esagerate; la voce come si è detto si sparge, il “gioco” diventa una sorta di rito di iniziazione per benestanti ragazzini annoiati, finchè come è ovvio la situazione implode. Alcune delle vittime iniziano a mettere online i video di sorveglianza nei quali si intravedono i ragazzi introdottisi illegalmente nelle dimore private, intenti al loro gioco preferito rubare e postare, e immediatamente le immagini fanno il giro della rete e dei notiziari, dando il via alla caccia al Bling Ring, la banda dei gioielli esagerati. I furti continuano anche dopo la circolazione di questi video nei quali non sono immediatamente identificati, come stimolati invece a continuare certi di poterla fare franca, spingendosi sempre più in là, vantandosi con amici e conoscenti delle imprese. La fine dei giochi è inevitabile, e la storia che Coppola riprende piuttosto fedelmente è nota: una volta identificato e arrestato Marc, i nomi dei complici sono presto confessati e tutti chiamati a rispondere delle proprie azioni in tribunale. I quattro sono condannati per furto aggravato di primo grado, quattro anni per Rebecca (considerata la mente della banda) e Marc, un anno per Nicki e Chloe, più relativi risarcimenti.
Una storia che ha dell’incredibile e che, come si accennava, lascia aperti non pochi spunti di riflessione. Innanzitutto, la cosa sconcertante è la facilità con cui questi ragazzi si sono introdotti in dimore prive a quanto sembra di allarmi, sorveglianza e personale domestico, ma anche la semplice accessibilità ad informazioni private sui vip presi di mira, indirizzi e appuntamenti mondani, grazie ai quali la banda è in grado di trovare le ville ed entrarvi indisturbati.
Ora, se questo può sembrare assurdo (e poco realistico, anche se stando a quanto compare nell’articolo della Sales è la pura e semplice verità e viene da chiedersi se Paris Hilton abbia abbandonato l’abitudine di tenere le chiavi di casa sotto lo zerbino) ancora di più è la vita di questi ragazzi, figli di famiglie benestanti di Calabasas, quartiere agiato di Los Angeles, impegnati a combattere la noia delle loro anonime vite giocando agli adulti, esagerando sempre più con droghe ed alcol, fino al “capriccio” che gli costerà la prigione. Famiglie privilegiate dunque, dove quindi viene meno anche l’attenuante della povertà, della condizione disagiata che può portare a commettere qualcosa di stupido pur di possedere cose da ricchi; ma non è questo il caso, sono ragazzi difficili ma ai quali in fondo non manca niente eppure annoiati e in cerca di qualcosa di più eccitante di spinelli e cocaina, che come tanti (ma non tutti per fortuna arrivano agli eccessi) identificano in quella vita fatta di paparazzi, tappeti rossi, oggetti preziosi e lusso, sfoggiata dai loro idoli. Idoli che spesso non sono nemmeno tanto diversi da loro, tra furti, rehab e arresti per guida in stato di ebbrezza, fama ottenuta più per queste imprese che per reali talenti; quale modello possono essere per dei ragazzi ossessionati dal successo?
Le immagini del film si mescolano a quelle reali di Linsday Lohan dentro e fuori dalla prigione, una giovane donna non tanto più grande di loro che non ha saputo gestire la pressione di quella gabbia dorata nella quale vive fin da bambina. Ciò non giustifica le azioni compiute dal gruppo, così come il comportamento autodistruttivo di tanti ragazzi come loro, ma è bene interrogarsi su cosa spinga a lasciarsi abbagliare da soldi e fama, eccessi che spesso restano impuniti: di chi è la colpa, di questa nostra società sempre più concentrata sull’apparenza, il possesso di cose che definiscono uno status, i divertimenti sempre più distruttivi e precoci; o la famiglia, spesso disfunzionale, incapace di vedere il disagio, ammettere la colpa dei propri figli, essenzialmente ossessionata come loro dal lusso e dalle cose?
Sofia Coppola non dà risposte né chiare interpretazioni, non fornisce giustificazioni di alcuna sorta per quei quattro ragazzi, disagi familiari o psicologici, mette semplicemente in scena le loro colpe, quelle della società nella quale sono cresciuti, le famiglie assenti e un po’ folli, ma in fondo lasciando allo spettatore la possibilità di trovare risposte e chiavi di interpretazione. Francamente il quadro che ne emerge è davvero inquietante, tutto il film in questo senso lo è: non solo nelle azioni di quei giovani ma anche nelle convinzioni deliranti che pronunciano davanti alle telecamere in quei loro 15 minuti di celebrità (quanto aveva ragione Andy Wharol, siamo davvero disposti a tutto per quella manciata di fama?), sono le vuote parole di Nicki, l’incapacità di ognuno di loro di assumersi responsabilità per quanto commesso, ma anche l’ossessione dei media per questi figli dell’America più superficiale, incapace di riconoscere modelli positivi da seguire, abbagliata dalle luci dei riflettori e dai vestiti firmati, che finisce col rendere quattro criminali celebrità per il breve spazio di un passaggio in tv.
Sono proprio le parole di Marc in fondo a spiegare nel modo migliore l’attrazione che questo genere di cose suscita nel pubblico:
È un po’ imbarazzante che tante persone mi apprezzino per qualcosa di così negativo per la società. Se fosse stato per qualcosa di buono o cose del genere mi sarebbe piaciuto. Ma è evidente che l’America abbia un’attrazione malata per queste cose alla Bonnie e Clyde.
La realtà ancora una volta supera la fantasia cinematografica e racconta di colpe che grazie alla buona condotta sono state scontate solo parzialmente, momenti di fama immeritata e un ulteriore messaggio negativo che popola i desideri di giovani insoddisfatti. E per questo non facciamone una colpa a Sofia Coppola che dopotutto né glorifica né perdona, o tanto meno alla giornalista che per prima ha raccontato la storia (e che sta lavorando sul libro): è solo la narrazione, mediante parole o immagini, di uno dei mali della nostra società, un disagio globale su cui vale la pena riflettere per agire di conseguenza.
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