Stranamente i sogni si realizzano



Stranamente i sogni si realizzano
di Cesario Milo
Aletti Editore



Tutto accadde una sera, ai bordi di un dirupo. Un poeta, alto, con gli occhi chiari e con i capelli lunghi, osservava il vuoto. Con una melodia in testa, fatta di parole che si baciano, cercava di tagliare il buio di fronte sé. Sospettava, il poeta di cui parliamo, che tutte le domande del mondo avessero un’unica risposta; e che essa fosse a un passo dal segreto, accanto al roteare della vita, nell’anima. E dunque, sempre lui, il poeta, o meglio, Cesario Milo, alimentato da tale sospetto entrò nel buio con la chiave dell’arte, annotando i turbamenti di ciò che sentiva, per fare delle sue note su carta filastrocche ridenti, ricche di immagini. Ma avvenne un omicidio:

[…] Il poeta fu rapito dagli sguardi della vita […] (pag. 14).

E dall’amore. Ma essendo egli come gocce provenute da uno spray, si ricompose, pochi attimo dopo, in lettere luminose, diventando una canzone, perdendosi: «Cosa non è oscurità?», afferma Milo, «Ritengo che anche l’amore più sublime, o il giorno in cui conoscemmo la poesia, abbiano un lato oscuro. L’uomo che realizza i suoi sogni ha delle cicatrici orrende: questa è l’economia del mondo».
Ne “Stranamente i sogni si realizzano”, nuova raccolta del pugliese Cesario Milo, tutto gira intorno alla figura romantica del poeta. In una settantina di pagine, i dolori abissali e gli aneliti infiniti di chi vuole musicare i pensieri tra versi e assonanze, vengono spiattellati come un trancio di manzo insanguinato sul bancone di un macellaio, adagiato, però, tra bianchissimi guanciali ricamati. Un mondo, il suo, dove danzano burattinai, dove la poesia «parla con un linguaggio non comune -aggiunge-, perché si trova su un piano più alto rispetto al semplice parlare; tra i versi, cioè in una unità, si comunicano millenni imitando la verità. Essa svela l’infinito, mentre versifica su un insetto o una notte fantasmagorica».

Dario Orphée