Eugenio Scalfari. L'intellettuale dilettante
di Francesco Bucci
Società Editrice Dante Alighieri, 2013
Si inserisce bene nel contesto della recente pubblicazione del libro di Eugenio Scalfari L’amore, la sfida e il destino (Einaudi 2013) la ricostruzione critica che Francesco Bucci ha operato nei confronti del fondatore di Repubblica e, in particolare, nei confronti della sua attività saggistica. In Eugenio Scalfari. L’intellettuale dilettante, pubblicato non senza difficoltà dalla Società Editrice Dante Alighieri, Francesco Bucci ricostruisce in modo capillare il pensiero “filosofeggiante” che Scalfari mira a trasmettere all'interno dei suoi libri. Dopo aver lasciato la direzione di Repubblica verso la metà degli anni Novanta, scrive Bucci riferendosi a ES:
di Francesco Bucci
Società Editrice Dante Alighieri, 2013
Si inserisce bene nel contesto della recente pubblicazione del libro di Eugenio Scalfari L’amore, la sfida e il destino (Einaudi 2013) la ricostruzione critica che Francesco Bucci ha operato nei confronti del fondatore di Repubblica e, in particolare, nei confronti della sua attività saggistica. In Eugenio Scalfari. L’intellettuale dilettante, pubblicato non senza difficoltà dalla Società Editrice Dante Alighieri, Francesco Bucci ricostruisce in modo capillare il pensiero “filosofeggiante” che Scalfari mira a trasmettere all'interno dei suoi libri. Dopo aver lasciato la direzione di Repubblica verso la metà degli anni Novanta, scrive Bucci riferendosi a ES:
Nella sua mente si deve essere accesa una luce che gli ha indicato un percorso nuovo e difficile, che egli ha subito intrapreso con giovanile entusiasmo ed ancora prosegue con instancabile lena.L’idea luminosa deve essere stata quella di lasciare ai posteri un’immagine di sé più alta e nobile di quella del semplice giornalista che, per quanto grande, ha pur sempre a che fare con la banale attualità. E, poiché il suo mestiere è quello di scrivere, il modo più semplice per raggiungere l’immortalità deve essergli sembrato quello di trasformarsi in saggista e di occuparsi in tale veste dei massimi sistemi.
Una volta definito l’oggetto della
trattazione in termini generali e prima di addentrarsi nell’analisi metodica e
lungimirante, oltre che competente, delle opere scalfariane, Bucci correda la
sua introduzione cavalcando sottilmente l’idea che lo stesso Eugenio Scalfari
ha della professione giornalistica. L’assunto di base è che i libri di Scalfari
[…]Sono privi di qualsiasi valore sotto il profilo propriamente culturale. E questo per il semplice motivo che sono opere di un dilettante. ES scrive infatti i suoi libri da giornalista, qual è e quale rimane. E il dilettantismo, lo sostiene ES, è caratteristica tipica di tale professione (8).
Il fatto che, quasi per
“giustificarsi” di tale idea, Bucci riprenda ciò che Scalfari ha scritto in
merito sia nei suoi libri che sul suo giornale, non basta però a togliere dalla
testa l’idea che il suo punto di vista e la sua azione muovono da una volontà apparentemente
generalizzante: l’opera saggistica del giornalista Eugenio Scalfari è e resta
frutto di un giornalista che, in quanto tale, ovvero in quanto dilettante, non sembra
poter essere in grado di scrivere libri e-o saggi dotati di un qualche valore
artistico culturale. Ciò detto, tuttavia, l’atteggiamento
con cui Bucci affronta le molteplici ed evidenti testimonianze della precarietà
e dell’insensatezza che dominano nelle opere di Scalfari, da Per l’alto mare aperto (Einaudi 2010), a
Alla ricerca della morale perduta (Rizzoli,
1995) schematizzandole e ordinandole in relazione ai diversi rami dello scibile
(filosofia, letteratura, psicologia, scienza ecc..), è senza dubbio un
atteggiamento investigativo. L’indagine accurata che egli conduce non si muove
negli spazi della polemica ma nei meandri di un labirinto particolarmente
complesso da cui si esce con difficoltà ma anche con occhi, menti e orecchi più
vigili e attenti nei confronti dell’ apparente oro colato che ci viene
propinato da una cultura mediatica spesso fin troppo pilotata.
Un mirabile lavoro di ricostruzione e
valutazione critica dunque, che non vuole colpire il soggetto Eugenio Scalfari ma piuttosto il principio che
lo porta a scegliere di intraprendere la strada di scrittore a tempo pieno. Si
potrebbe leggere l’opera di Bucci come volontà di testimoniare il proprio
biasimo e la propria disapprovazione nei confronti del mancato trattamento e
della noncuranza che “i malcapitati
lettori” subiscono scorrendo lo
pagine dei volumi di Scalfari, impresse di pensieri che Cesare Garboli (prima
di Bucci) definiva:
Arruffati, disordinati, ancora umidi di emozione, venuti su dai fondi dimenticati e lontani degli anni di liceo, dall’odore delle sale di biliardo, dai lazzi e dagli schiamazzi della gioventù, quando le idee si svegliano trascinate dai sensi e si presentano alla mente facendo ressa (recensione a Incontro con Io, "la Repubblica", 22 aprile 1994).
Una delle parti più
interessanti del libro è nel terzo capitolo, e in particolare quando Bucci affronta
il modo in cui ES si dibatte con la teoria e la storia del romanzo. Vi si legge, infatti
che quel romanzo che in Per l’alto mare
aperto veniva considerato una componente costitutiva della cultura moderna,
nato con il Don Chisciotte di Cervantes,
e che vede i suoi massimi esponenti in Rilke, Kafka, Proust, Joyce, Tolstoj e Dostoevskij, è destinato
ad assumere un nuovo aspetto in Scuote
l’anima mia Eros (Einaudi 2010) e in altri scritti di Scalfari
sull’argomento. La modernità forzatamente individuata
nella pluralità dei personaggi e nel relativismo dei punti di vista che ciò
comporta, osserva Bucci, rivela la sua debolezza quando in Scuote l’anima mia Eros, le risposte date alla domanda in cosa consiste la modernità del romanzo?
diventano molteplici, diverse fra loro e diverse rispetto a quelle fornite,
appunto, in Per l’alto mare aperto.
In particolare ES individua come tratti distintivi del romanzo moderno:
- L’amore libertino prima e romantico poi
(Nella modernità) La rilevanza del privato è stata l’evento essenziale dell’età dei Lumi ed ebbe come fondamento il relativismo di Montaigne, di Montesquieu, di Descartes e poi di Hume, di Diderot e di Voltaire ed è da quel momento che l’amore verso l’altro diventò il fatto centrale della nuova società laicizzata. Un fatto centrale che però assunse due forme molto diverse tra loro: l’amore libertino e l’amore romantico […] La privatezza del sentimento amoroso e la sua duplicità hanno avuto anche un effetto culturale di grandissima importanza: la nascita del romanzo moderno […] Il racconto dell’amore libertino pose le basi del romanzo, il romanticismo lo portò al suo culmine […] (55-56).
- Il conflitto freudiano tra inconscio e super-io
[…] la storia del romanzo altro non è che il racconto del conflitto tra gli istinti e il loro supposto guardiano, la cui funzione di solito non raggiunge alcun risultato poiché la sproporzione tra la potenza degli istinti e la fralezza dei limiti con i quali si cerca di dominarli è enorme (82).
E infine conclude scrivendo:
La storia del romanzo moderno, che ha inizio nella seconda metà del Seicento, acquista spessore nel Settecento illuminista e raggiunge piena maturità nell'Ottocento romantico, coincide con l’interiorità del viaggio dentro il proprio sé, esplora l’inconscio e i comportamenti, le inquietudini, i drammi che essi provocano quando vengono in contatto con le convenzioni consolidate nella società (94)
Teorie
molteplici e diverse quelle di ES che collidono, di fatto, con quella che è
invece la più accreditata delle teorie contemporanee sull'origine e la storia
del romanzo e cioè quella secondo cui
esiste uno stretto legame tra nascita del romanzo modernamente inteso e l’affermarsi della borghesia, protagonista e fruitrice del nuovo genere letterario (F. Bucci, Eugenio Scalfari. L’intellettuale dilettante, 135)
E se ES ritiene che questa sia la
caratteristica del solo romanzo ottocentesco, durato a suo avviso “fino agli
anni quaranta del novecento” (la Repubblica, articolo del 21 gennaio
2002, cit.) Bucci sceglie saggiamente di rispondergli a tono, citando lo studio
condotto in questa direzione da Guido Mazzoni in Teoria del Romanzo (Il Mulino 2011).
Qui infatti, nel
dimostrare l’unità di un genere, il romanzo, capace di raccontare qualsiasi storia in qualsiasi modo (riconducendosi a
forma narrativa e anarchia mimetica come strutture portanti del territorio in
cui il romanzo si muove), Mazzoni individua uno stretto legame fra nascita del
romanzo moderno con tutte le sue caratteristiche e il mutamento di interesse e
di attenzione che tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento è avvenuto
nella cultura occidentale, per tutti gli appartenenti a quel ceto borghese
protagonista nei suoi valori,nei suoi interessi e nel suo stile di vita, della
rappresentazione letteraria e della società europea di quel periodo storico
[…] una forma di vita […] che solo la cultura borghese moderna trasforma in un ideale etico ed esistenziale. Per la prima volta nella storia europea certe esperienze acquistano il diritto ad una mimesi seria, tragica e problematica, occupando il centro della scena letteraria. (G. Mazzoni, Teoria del romanzo, 239)
La valutazione e il bilancio dell’opera
di Bucci dunque, si concludono con una nota positiva in suo favore, oltre che
con una lungimirante segnalazione circa il genere romanzo, posta a conclusione
di un percorso di scrittura, quello di Bucci, paziente e coraggioso, seppur
complesso, in grado di sfondare il muro delle convenzionale e accreditata integrità
e cognizione di causa di un ES che, come un iceberg, risulta in buona percentuale
sommerso.
Martina Fiore
Martina Fiore
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