Meravigliose due giornate a Senigallia dedicate al
selpublishing. Prima edizione di un festival internazionale - 1st InternationalSelfpublishing Festival #ISPF2013 organizzato dalla tribu di SimplicissimusBook Farm, grande casa all’interno della quale nei suoi ormai 7 anni di vita si
sono sviluppate idee e sono nati marchi e funzionalità a servizio degli autori
fai-da-te. Perché, come si sa, un autore difficilmente riuscirà a essere l’unica
mente e braccio del suo lavoro. E se il selfpublishing è una delle realtà
dell’editoria di oggi e di domani, perché maturi è necessaria questa
consapevolezza tra i vari attori.
Sul palco del suggestivo Foro Annonario di Senigallia si sono
alternati selfpublisher e intenditori (come Alberto Forni), esponenti della grande
editoria (come Edoardo Brugnatelli di Mondadori), docenti universitari
(Giuseppe Landolfi Petrone, filosofo dell’Università della Val d’Aosta), autori
ovviamente e chi riesce a lavorare trasversalmente sull’autorialità diffusa
come Matteo Caccia e Tiziano Bonini ideatori di Voi siete qui! programma di storytelling in
onda su Radio24 che vede protagoniste proprio le storie degli ascoltatori,
raccolte poi in e-book. A chiudere il primo pomeriggio, riflettendo su
scrittura e impegno quotidiani (e molte altre cose), è stato Alessandro
Bergonzoni, attore e scrittore, che poco apprezza (giustamente) un
selfpublishing di titoli che si affermano per la sola strategia marketing (più
o meno social), ma piuttosto che apra ulteriori possibilità per la gente di “captare” ciò che
avviene nel mondo e di raccontarlo stupendosi e stupendo.
Ad aprire il festival
e a chiuderlo ovviamente Antonio Tombolini (founder & CEO di Simplicissimus Book Farm), uno dei primi in
Italia a capire cosa stava per accadere nell'editoria e quindi a quale cultura
editoriale (in senso ampio) avremo dovuto costruire.
Il rinascimento
dell’editoria. Si è scritto e detto di tutto sulla mutazione e la crisi del
sistema editoriale degli ultimi anni e incontri come questo servono non solo a
presentare professionalità e a cercare di vendere servizi e libri, ma anche a
comprendere i presupposti della maturazione del selfpublishing secondo diversi
punti di vista, lasciando da parte paura e snobismo. La paura riguarda soprattutto i vari
soggetti professionali coinvolti, dagli editori agli autori, dai tipografi ai
librai, e se mista allo snobismo rischia di ridurre il fenomeno e limitare la
sua comprensione.
A lungo infatti il selfpublishing è stato considerato come
una forma più evoluta ed economica della vanity
press ovvero del voler vedere stampato e venduto il proprio libro anche
pagando. Questa editoria a pagamento lasciava però intatti alcuni processi
produttivi (il libro è di carta e si stampa), e seguiva sistemi di promozione e
commercializzazione secondo approcci diversi rispetto all’editoria
“d’investimento”. Con l’avvento del digitale e degli e-book, e quindi dei vari
dispositivi di lettura come reader dedicati (il primo fu il Kindle di Amazon,
in tutto il mondo dal 2009)e applicazioni che permettono la lettura su
tablet, smartphone e Pc,c'è stata una maggiore
familiarizzazione con questo tipo di lettura.
Il fenomeno del selfpublishing digitale è stato a lungo denigrato (ancora oggi lo è) come l’estrema forma di vanity press che avrebbe reso tutti
autori a poche spese. Ci si è però resi conto – e chi non l’ha fatto dovrebbe –
che per essere autori autopubblicati, le spese sono necessarie se si vuole ottenere qualcosa di decente.
Ci sarebbe bisogno almeno di una "copertina decente", consiglia Alberto Forni autore del libro Tutto quello che devi sapere per pubblicare
(e vendere) il tuo e-book. Guida al self-publishing, e riuscire a sviluppare una strategia che vada al di là della creazione di una pagina Facebook dedicata al libro, invitare le persone, ma piuttosto che sfrutti le potenzialità del libro.Se non si è capaci bisogna rivolgersi a qualcuno, se non è possibile sviluppare una strategia
intelligente o questo qualcuno non è bravo o adatto o il libro non è buono.
Ciò permette di comprendere due questioni a mio avviso
fondamentali sul selfpublishing. La prima che un fenomeno di questo tipo
richiederà sempre di più il coinvolgimento di professionisti specializzati in
determinati generi di pubblicazioni (in fondo nulla di diverso dall’editoria
tradizionale dove una casa editrice si specializza in alcuni generi e settori),
e inoltre come nel tempo la vanità non sarà più il motore di tante
pubblicazioni.
Il selpublishing, come dice Tombolini, «fa sul serio»
(selfpublishing made serious è lo slogan che accompagna la piattaforma di
pubblicazione Narcissus, uno dei marchi Simplicissimus).
Edoardo Brugnatelli di Mondadori (lavora al progetto di
selfpublishing del gruppo editoriale di Segrate, che ancora non è stato
effettivamente lanciato) sottolinea alcuni aspetti interessanti. Prima fra
tutti l’importanza della qualità di ciò che viene creato: ciò vale per ogni
forma di editoria, tradizionale e cartacea, digitale e autoprodotta. E ciò
rimanda quindi alle professionalità. Come nota Brugnatelli, alla fiera di
Francoforte oggi si possono incontrare figure nuove come i digital editor che
10 anni fa erano impensabili per una fiera del libro. Ciò crea paura in quegli
attori poco flessibili ai cambiamenti e innovazione, come chi si occupa dei
processi produttivi o anche gli stessi autori che mancano di competenze
tecniche per poter intuire forme e potenzialità artistiche, o anche gli editori
che avrebbero preferito mantenere un ruolo senza dover modificare professioni e
sistemi aziendali consolidati che fanno fatica a cambiare, restando così nella
loro confort zone. Molti gruppi
infatti sono scettici e vedono il selfpublishing e l’editoria digitale come «un
incubo da cui ci si risveglia». Ma secondo Brugnatelli non si tratta di un
incubo e non ci si risveglia: è la realtà.
Non a caso, gli editori non
sono stati i primi protagonisti di questa innovazione ma si sono “svegliati”
solo dopo il rumore di Amazon (dall’e-commerce che educa all’acquisto di libri
non presenti fisicamente al Kindle Direct Publishing, il selfpublishing di
Amazon) o il più recente fenomeno Kobo (reader, libreria, selfpublishing con
Writing Life): attori che non hanno una formazione editoriale e che non nascono
editori di libri. ciò sottolinea ulteriormente la già nota importanza nel
settore dei dispositivi di fruizione (e quindi delle occasioni di fruizione) e
della distribuzione. E una riga è utile per ricordare come, lasciando in pace
Gutenberg, la moderna editoria italiana sia nata da tipografi e cartolai.
L’errore che spesso si commette è ridurre il fenomeno alla
sola narrativa e quindi alle velleità artistiche diffuse, rimandando così il
fenomeno alla vanity. Errori che
riguardano anche intellettuali che vedono il selfpublishing come un attacco
all’arte di scrivere, un abbattimento di confini eccessivo e sfrontato. Ciò che
invece si comprende in occasioni come il festival di Senigallia è come il
desiderio principale per chi fa narrativa e di raccontare storie e farlo
liberamente nella forma che più piace, senza la pretesa di voler scrivere un
capitolo nella storia della letteratura. Per quanto il selfpublishing sia già
un importante capitolo nella storia della cultura.
Molti altri sono stati gli incontri del festival che hanno
raccontato le molte sfaccettature del selpublishing.
Giuseppe Landolfi Petrone dopo aver ricordato le riflessioni kantiane sulla proprietà intellettuale inalienabile e dal valore pubblico, propone possibilità di autopubblicazione digitale in ambito accademico che renda più agile la diffusione e la produzione. Senza che l’editoria scientifico-accademica ristagni in forme di finanziamento obsolete dove innovazione e ricerca rimangono imbrigliate.
Molti interessante, inoltre, l'incontro internazionale con Thomas Knip (illustratore e selfpublisher) e
Barbara Reishofer (selfpublisher anche in italiano) che hanno introdotto la
situazione del selfpublishing in Germania, dove tutto è cambiato con l’avvento
di Amazon e la nascita in breve tempo di un mercato di libri e autori digitali.
Ancora oggi Amazon è il distributore più affermato. I tedeschi in più, oltre a
essere notoriamente lettori più forti di noi italiani, si incontrano nelle vari
community per autori per confrontarsi su idee, soluzioni e questioni pratiche
relative alla creazione dell’e-book.
Quest’ultimo è un aspetto molto importante poiché una delle
difficoltà del selfpublisher è certamente quella tecnica della composizione di
un file ePub che rispetti lo standard qualitativo. Molti sono i tool disponibili per facilitare questo
lavoro “tipografico”: Calibre e Sigil tra i più conosciuti, BackTypo di Simplicissimus,
ePubEditor di Espertoweb di Francesco Leonetti o PubCoder dell’omonima azienda
torinese premiata alla Buchmesse
di Francoforte.
Basta “smanettare”
un po’ con uno di questi strumenti per fare un buon libro? Ovviamente no, ma
certamente permette all’autore di relazionarsi alla costruzione della propria
opera i maniera diversa. Per questo sono necessarie professionalità e
competenze che collaborino con l’autore. Nascono quindi nuove realtà
imprenditoriali che rivedono l’approccio distributivo-commerciale del libro.
Per fare due esempi incontrati al Selfpublishing Festival mi riferisco a realtà
come 7write (sede ad Amsterdam, al festival era presente Paul Hayes, uno dei
fondatori) e Narcissus di Simpliccissimus, realtà oramai non operante nei soli
confini italiani. Queste aziende offrono presenza e visibilità di ogni titolo
in molte delle librerie online più affermate, ponendosi quindi come l’unico
interlocutore dell’autore con più soggetti commerciali.
Rinascere. Antonio
Tombolini crede nella possibilità di una rinascita editoriale proprio a partire
dal digitale, e quindi anche con le potenzialità e libertà concesse dal
selfpublishing. In questi casi guardando al futuro si fa sempre riferimento a
quanto accaduto negli Usa dove a partire dal 2007 dove le basse percentuali
rappresentanti l’e-book sono ora diventate percentuali più importanti: sarà
anche questo il futuro dell’Italia?
Forse il diffondersi della lettura e scrittura digitale e
del selfpublishing sarà più lento nel nostro paese, ma non si può fare a meno
di dare ragione a Tombolini quando parla della “crisi come cambiamento radicale”
che impone il dover fare delle scelte e non vegetare. Capire dove schierarsi e
cosa fare: scegliere la nostalgia o lo snobismo oppure guardare alle nuove
possibilità che la crisi apre, prendendosi dei rischi e anche delle
responsabilità. Un approccio, bisogna aggiungere, che riguarda tutti i settori
e più di tutti dovrebbe interessare quello culturale motore di idee e passione
in ogni campo,per crescere insieme e raccogliere i frutti. Questa sarebbe
vera condivisione.