Thingvellir: alle spalle il contrafforte di basalto nero, davanti l’immenso prato ricoperto di lichene dove si svolgeva l’Althing, il parlamento a cielo aperto degli islandesi. Nell’aria fredda e odorosa di zolfo, in questa terra di lava color asfalto, fra dune di pomice e sbuffi di geyser, necessita compiere una classificazione di ricordi e associazioni mentali che ci si affastellano confusi nella testa.
Cominciamo con l’Edda.
Il termine Edda, al
plurale Eddur, si riferisce a due
testi in norreno entrambi scritti in Islanda durante il XIII secolo. L’Edda
poetica, o Edda antica, e l’Edda in prosa, quella di Snorri.
L’Edda antica
trae origine dal Codex Regius,
manoscritto composto nel XIII secolo, di cui si sono perse le tracce fino al
1643. La parte iniziale è la nota Völuspa,
la profezia della veggente, fonte preziosa di conoscenza della mitologia e
della cosmogonia norrena. La veggente parla con Odino e gli narra della
creazione del mondo e del Ragnarök,
il suo catastrofico destino. All’interno
della Völuspa sei stanze sono dedicate a un elenco di nomi di nani, da cui Tolkien ha attinto a piene mani per la
sua trilogia. Nel 2009 la Harper e Collins ha pubblicato un lavoro postumo di
Tolkien sull’Edda poetica, intitolato “La
leggenda di Sigurd e Gudrun”, in un inglese che cerca di riproporre il
metro allitterativo del norreno.
L’Edda in prosa, scritta
attorno al 1220 da Snorri Sturluson, poeta e politico facente parte dl
parlamento islandese, comincia con
una rievocazione dei miti e delle leggende già presenti nell’Edda antica ma poi
evolve in un manuale di poetica, mirato a far capire i meccanismi della poesia scaldica.
Derivata dalla voce islandese skald, cioè poeta, la poesia scaldica è complessa, intricata,
allitterativa, spesso composta in lode di un particolare signore. Abbonda in Kenningar, cioè metafore ermetiche, perifrasi poetiche e immaginative
che sostituiscono il nome di una cosa. L’uso della Kenning è comune nella letteratura norrena, celtica e anglosassone,
se ne ritrovano esempi anche nel Beowulf,
e la poesia scaldica si avvicina a quella trobadorica e provenzale.
Snorri è anche noto per aver sostenuto che gli
dei non fossero altro che capi militari poi venerati (in questo riproponendo la
teoria del filosofo Evemero).
Occupiamoci adesso delle
Saghe degli islandesi.
La forma letteraria più
vicina al romanzo moderno avutasi nel medioevo, capace addirittura di coniare
un termine nuovo, è, appunto, la “saga”,
che ha nella sua radice il verbo “dire”.
Le Islendigasögur sono storie di famiglia - scritte su velli di
pecora in un periodo di che va dal dodicesimo al quattordicesimo secolo - che
parlano di persone realmente esistite, di fatti accaduti alle prime generazioni
di coloni trasferitesi dalla Norvegia in Islanda, di viaggi avventurosi in
Groenlandia e Nordamerica (prima di Cristoforo Colombo), dell’insofferenza
verso i re norvegesi e danesi, delle razzie compiute per conquistare terra,
bottino e indipendenza.
La società descritta è
simile alla borghesia del diciottesimo secolo in cui prenderà piede il genere
del romanzo.
“The society imagined by the Islanding sour is as precisely observed as those of Daniel Defoe and Jane Austen”. (Robert Kellog)
Dalle saghe apprendiamo
la storia, la geografia ma anche dettagli minuti della vita quotidiana dell’epoca,
le complicate relazioni familiari, il concetto di onore, il potere dei godi, a metà fra preti e capi politici.
Sia i due libri dell’Edda
che le Saghe Islandesi sono tentativi di conservare la tradizione del passato pagano
operati durante un medioevo già cristiano.
Contemporanee di Chrétien
de Troyes, di Chaucer e di Dante, non sono scritte per un pubblico
aristocratico ma per gente comune, proprio come il romanzo. Le saghe sono
il prodotto del popolo, di agricoltori e pescatori che sedevano attorno al
fuoco la sera e rievocavano le gesta di antenati e persone famose. I
protagonisti non sono eroi semidivini ma contadini e possidenti terrieri, un
universo maschile di rudi combattenti e fuorilegge, sebbene alcune storie diano
spazio anche ad eroine femminili.
Se in spirito ricordano
l’epica, non sono in versi bensì in una prosa che mescola ironia, umorismo
e nostalgia. Si differenziano dal romance
medievale per la poca attenzione data alla fantasia e all’amor cortese e
per la mancanza del lieto fine.
Ospitano, tuttavia, molti
elementi magici e fantastici, alcuni dei
quali sono stati ripresi da Tolkien: i trolls, i fantasmi, i Berserker, ovvero
feroci guerrieri scandinavi che avevano fatto giuramento a Odino.
La più famosa è l’Egils saga, da molti ritenuta opera di
Snorri. Egil Skallagrimsson fu il più grande scaldo islandese. Molti degli eroi
di cui si narra nelle saghe erano anche poeti, capaci di recitare versi celebrativi, ma non falsamente adulatori, in onore dei loro sovrani. E tuttavia le parole
erano usate anche come armi per ferire e umiliare.
Gli autori delle saghe sono
ignoti e le storie sono state prima tramandate oralmente e poi, solo
successivamente, raccolte in forma scritta, dopo l’ introduzione della scrittura
sull’isola nel XII secolo ma, anche su
questo, non c’è nessuna certezza. Lo stesso concetto di autore è molto diverso
dall’attuale, indicando solo “l’iniziatore” di una storia, che non impronta di
sé e del suo stile personale la materia trattata.
Una prosa come quella
delle saghe era rara nella letteratura del periodo, se si eccettuano il
Decamerone e la vulgata francese del ciclo arturiano.
“The development of a prose fiction in medieval Iceland that was fluent, nuanced and seriously occupied with the legal, moral and political life of a whole society of ordinary people was an achievement unparalleled elsewhere in Europe.” (Robert Kellog)
Le storie non iniziano
mai in medias res ma cercano di raccontare
gli eventi in ordine cronologico. Il linguaggio è diretto e semplice, grande
spazio è dato al dialogo. I personaggi sono introdotti da una complicata
genealogia e dal patronimico, che Tolkien riprenderà e svilupperà nelle
appendici. Una delle funzioni delle saghe era anche la trasmissione di queste genealogie,
ed esse avevano un intento didascalico oltre che d’intrattenimento.
Di solito la saga si
apre bruscamente, con un’introduzione banale: “C’era un uomo di nome etc”. La
precisione nella localizzazione geografica del racconto e nell’individuazione
dell’esatto contesto storico è massima. La storia racconta di un conflitto,
nato per questioni banali e comuni, del suo sviluppo sanguinoso e di faide e
vendette successive. I personaggi, tuttavia, mantengono qualcosa di mitico,
capacità magiche nel loro canto, potere divinatorio.
Sebbene, come abbiamo
detto, siano in prevalentemente in prosa, contengono al loro interno anche dei
versi, inizialmente visti come una fonte d’informazione e autorità storica, in
seguito divenuti mezzo di espressione della mente e dei pensieri dei
protagonisti.
Concludiamo con il molto più
recente Kalevala.
Nel 1835 Elias Lönrot riordina
e pubblica sotto forma di poema una vasta collezione di ballate eroiche in
careliano. La versione successiva, del 1849, è più completa. I Careliani sono finnici che hanno avuto
contatto – guarda caso – con i vichinghi. La loro lingua, appartenente al
gruppo ugrofinnico, non è di origine indoeuropea. Kalevala significa “Terra di Kaleva”,
ossia, appunto, Finlandia.
Anche in questo caso si
tratta del recupero di antiche tradizioni e antichi canti. Il poema è tuttora
cantato da alcuni anziani bardi con valenze sciamaniche.
Fu tradotto da Igino
Cocchi nel 1909 e nel 1010 dal livornese Paolo Emilio Pavolini (padre del
famoso gerarca Alessandro). Quest’ultima versione, in ottonari - il metro
originale del testo finnico - è disponibile in un’edizione curata da Roberto
Arduini e Cecilia Barella per la casa editrice Il Cerchio di Rimini.
La storia dell’eroe e
poeta Väinamöinen, del fabbro Ilmarinen e del guerriero Lemminkäinen ha in
parte ispirato il poeta americano Longfellow, il compositore Sibelius e, infine,
Tolkien con “Il Silmarillion” e la
struttura delle lingue elfiche. Tutto gira intorno alla ricerca di una sposa
per gli eroi protagonisti, e del Sampo, un mulino magico che assicura ricchezza
a chi lo possiede.
Molti gli adattamenti e
riduzioni per ragazzi, in particolare ci piace ricordare quella edita nel 1961
per i tipi di Malipiero, di cui riportiamo uno stralcio:
“L’intrepido vegliardo Vainamonen, immensamente forte, era il cantore di Kalevala” (Per cantore intendiamo uno scaldo, un eroe poeta simile a quelli presentii nell’Edda e nelle Saghe islandesi, che ha nel suo canto anche capacità magiche e taumaturgiche). “Il suo canto era come il cielo: copriva tutta la grande regione di Kalevala, e la copriva di giorno e di notte, come un vento gagliardo capace di profferire parole musicate che tutti udivano anche chiusi dentro le capanne. La sua fama giunse lontano, come un’acqua che si spande nelle pianure. Giunse così fino alle terre di mezzogiorno, nei luoghi di Poiola.”
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Riferimenti
Robert Kellog, Introduzione a “The Sagas of Icelanders”, Penguin 2000