TUTTO IL BENE CHE CI RESTA
(Samuele Editore 2013)
(Samuele Editore 2013)
poesie al papà
di Roberto Cescon, Alessandro Canzian, Arnold de Vos, Alberto Trentin, Rossella Luongo, Sergio Serraiotto, Andrea Roselletti, Guido Cupani. Con 6 poesie di Franco Buffoni. Prefazioni di Roberto Vecchioni e Francesco Tomada.
€ 11
pp. 72
Questo è un volume fatto di
reminiscenze. In particolare, un tipo speciale di reminiscenza. Forse
La Reminiscenza. Quella che porti nel sangue, oltre che nei ricordi.
Quella che potremmo descrivere come «l'archetipo
dell'uomo» (come scrive Roberto Vecchioni in introduzione). La
reminiscenza madre o, per meglio dire, padre.
Il padre.
Forse
non è un caso che il volume Tutto
il bene che ci resta
(Samuele Editore 2013) si apre appunto con questi bellissimi versi di
Roberto Cescon: « È già ricordo quando si allontana / oltre i
confini dei peschi ». Non è un caso perché questa celebrazione del
padre, di ogni
padre, sembra svolgersi passo passo, verso per verso, attraverso la
dinamica di ciò che potrei chiamare “un riconoscimento della
reminiscenza”. O – come scrive Francesco Tomada in prefazione –
un assunzione di responsabilità e contemporaneamente un tuffo nel
vuoto, un affidamento,
« un atto di fiducia assoluta: credo in te, figlio/a che cresci,
credo in me, padre che mi scopro tale nel tuo crescere ».
Ed
ecco il filo conduttore di ogni poesia contenuta in questa raccolta:
il padre cercato, trovato, il padre che resta, il bene che resta.
Alessandro
Canzian ne ricorda i «Grazie che vieni sempre», perché «la
solitudine che abbiamo / dentro dura più della nostra vita».
Rossella Luongo grida: «Tua fui, mia radice / umida marcescente in
terra amara / ti raggiungo», e calca la mano su questo eterno senso
di appartenenza, su questa atavica dolcezza di appartenere al proprio
padre. Alberto Trentin raccoglie l'eco «che contiene il tuo
sorriso». Arnoldo de Vos rievoca il sé stesso ragazzo che si
stagliava «nel vano della soglia», un ragazzo-mostro che non fu mai
all'altezza del confronto con il padre. Guido Cupani svetta
magnificamente con una sola poesia in volume. Ecco, «capirai quando
sarai grande.», scrive, «[...] La mia testa è troppo piccola per
contenere l'infinito». E da una manciata di parole comuni lascia al
sé stesso bimbo la riflessione più profonda sul senso sacro del
tempo: «ma in che senso, per sempre?». Andrea Rosselletti, come de
Vos, rievoca un rapporto sofferto, tanto da «bloccarmi le parole».
Sergio Serraiotto lo cerca, lo trova «in fondo all'anima […]
quando avrò bisogno di nostalgia».
Il
volume si chiude con sei poesie di Franco Buffoni che mi sembrano
agitarsi fra una disputa antica – «Il sogno di lasciarti stremato
/ troppo stremato per urlare ancora» – e una forte necessità di
vicinanza, d'intimità, che s'invera nei versi sempre attraverso il
processo della rievocazione e della reminiscenza: «ti dico: tornerai
a San Siro, / sotto vetro la cravatta a strisce nere / sul triangolo
bianco del colletto / come nella fotografia del cimitero».
Se
le ceneri del post-moderno ci hanno lasciato un manciata di simboli e
miti senza consistenza. Se ci hanno lasciato senza scheletro
spirituale, senza spina dorsale. Nonostante gli dèi non sono mai
stati così lontani. Ci sono ancora imagini
di cui non possiamo sbarazzarci facilmente, ci sono ancora simboli
con cui dobbiamo fare i conti.
In
un'epoca in cui si vorrebbe annullare ogni differenza di genere
sessuale, l'archetipo del padre rappresenta una certezza
indissolubile, una forza preadamitica che, in ogni momento, possiamo
interpellare, rievocare, usare come oracolo e come scudo, come vela
per varcare i confini dell'umano, o come radice per succhiare linfa
dagli anfratti più profondi della terra.
Anche
nel caos, possiamo sempre fare affidamento.