di Dina Nayeri
Piemme, 2013
€ 19,50 cartaceo
pp. 476
“C’è un filo invisibile che tiene unite due sorelle agli antipodi del mondo. Per quanto viaggino, per quanta terra e quanto mare le dividano, persino se una delle due dovesse lasciare questo mondo. E, anche se non si vede, è per quello che non si può sfuggire davvero […]”
Saba e la sua gemella Mahtab sono legate strettamente da quel filo invisibile, complici e affezionatissime, in un paesino sperduto nel nord dell’Iran dove vivono nella bella casa di famiglia, protette dal mondo e dalle persecuzioni contro i cristiani convertiti. È un luogo arcaico e sereno, dove due bambine istruite e privilegiate si mescolano con i coetanei del posto, maschi e femmine giocano tra loro e le amicizie che si formano non conoscono classe sociale. A Cheshmeh gli Hafezi possono condurre una vita sicura, riparati entro le mura di quella casa lussuosa e ottenere protezione e prestigio sociale grazie al denaro che elargiscono generosamente. Saba e Mahtab, nelle ore spensierate insieme a Ponneh e Reza non conoscono i pericoli che minacciano di distruggere quel fragile mondo, ma che di lì a poco stravolgerà anche le loro vite.
Sono gli anni Ottanta e la Rivoluzione Khomeinista partita dalle città allunga la sua ombra fino alle campagne, investendo la vita quotidiana con nuove regole e restrizioni che hanno cambiato per sempre il volto dell’Iran. La Persia, con le sue storie, i suoi colori e la cultura millenaria non esiste più, al suo posto il regime degli ayatollah:
“Era il 1979, l’anno della Rivoluzione. Una volta spodestato lo Scià, erano arrivati i sacerdoti. C’erano state proteste a Tehrān, sulle donne e sui capelli scoperti, e subito dopo il problema era stato risolto. Da quel momento in poi, le bambine erano state costrette a frequentare scuole separate, a coprire il proprio corpo dalla testa ai piedi e ad avere paura della strada. E Saba aveva aggiunto tre cose alla lista di ciò che odiava: gli uomini dalla barba lunga, i graffiti di pugni insanguinati che spuntavano dalle aiuole e ogni genere di velo”.
Ma più profondamente delle rigide imposizioni del nuovo Iran sarà il dolore privato dell’estate del 1981 a cambiare per sempre il destino di Saba: durante un soggiorno nella casa al mare le bambine sgattaiolano nella notte per tuffarsi nelle acque scure del Caspio dove restano in balia delle onde per diverse ore fino quasi ad annegare entrambe, quando finalmente un pescatore le trova; poche settimane dopo quella notte spaventosa, le gemelle vengono separate per sempre, quando Mahtab e la madre segretamente lasciano l’Iran per fuggire in America.
Saba rimane sola con il padre in quello sperduto paesino di campagna a piangere per la sorella e la madre scomparse senza lasciare tracce, sparizione avvolta in un mistero che nessuno nel paese sembra deciso a svelare. Abbandonata e sola, con un padre distrutto dal dolore che sembra incapace di dimostrarle affetto, Saba non smette di pensare alla gemella di cui sente disperatamente la mancanza, un dolore sordo che la accompagna ogni giorno insieme agli interrogativi su quel pomeriggio all’aeroporto quanto ha visto Mathab per mano alla loro madre confondersi nella folla in partenza per una nuova vita. Ed è proprio quella vita che Saba immagina, l’esistenza di Mahtab in America tra le difficoltà dell’essere emigrante in una terra sconosciuta, lontana dall’Iran, lontana dagli affetti, ma soprattutto lontana da lei. Esperta cantastorie, Saba crea con l’immaginazione una vita per Mahtab, tenendo così vivissimo il ricordo della sorella, mentre tutti intorno a lei invano cercano di convincerla della sua morte:
“Come potevano credere alla sua morte senza averne visto il cadavere, senza aver posato l’orecchio sul cuore e averne contato i battiti? Talvolta Saba si desta nel cuore della notte, il corpo sudato e la pelle di nuovo salata, dopo aver visto la salma di Mahtab i sogno, annegata e ripescata dal fondo del mare. È identica a lei e, di conseguenza, doppiamente terrificante. Magari non c’è un corpo perché Mahtab non è mai esistita. Magari Mahtab era soltanto il riflesso di Saba allo specchio.”
Con queste storie della gemella lontana Saba inganna il dolore e la paura, cercando di sopportare la dura vita nel nuovo Iran, insieme agli amici Reza e Ponneh con le gemelle fin dall’infanzia. Un trio unito nonostante i sentimenti che le due bambine sembrano con il tempo coltivare entrambe per Reza, ma ancora insieme nella dispensa di casa Hafezi a raccontarsi storie, ascoltare musica proibita e discutere di quello che accade intorno a loro. Circondata dagli amici e dalle tre madri putative che tentano di crescere Saba sopperendo alla mancanza della sua vera madre, la bambina non smette di credere neanche per un attimo che sua sorella sia viva, lontanissima da lei ed egualmente disperata per la loro separazione, ma fortunatamente libera da un Iran in cui un passo falso può costare frustate o la prigione. Un luogo in cui la bellezza diviene peccato:
“Khānom Basir dice sempre che Ponneh avrà bisogno di una dote per sfuggire alla polizia religiosa. Tra cinque o sei anni sarà una donna. A quanto dicono gli adulti, le donne belle e non sposate finiscono sempre per infrangere qualche regola. Perciò chissà cosa potrebbe succedere a chi osa sfoggiare un volto perfetto come quello di Ponneh?”
Una bellezza che a Ponneh costerà infatti umiliazioni e dolore, mentre matura in Saba il desiderio di abbandonare un giorno quella terra di terrore e volti coperti e raggiungere la libertà in America, alla ricerca di Mahtab, più che mai consapevole che l’“Iran è un Paese finito”. Un sogno proibito che Saba coltiva segretamente e per realizzare il quale è decisa ad affrontare ogni sfida, ogni dolore che la vita le riserverà: sorpresa in atteggiamenti equivoci con Reza, la ragazza è costretta ad accettare il matrimonio con Aghā Abbās un vecchio ricchissimo, musulmano sincero. Messa da parte la delusione per la codardia di Reza, Saba si concentra sulla nuova vita come sposa di un uomo tanto più vecchio di lei, già molti anni prima rimasto vedovo e senza eredi, che desidera soltanto qualcuno con cui condividere quel che resta della sua vita in quella grande casa solitaria. Tenacemente attaccata al proprio sogno segreto, la ragazza scopre una nuova quotidianità nel mondo della donne sposate che godono di una maggior libertà, ma dopo alcuni mesi di pacifica convivenza quel fragile equilibrio si spezza dolorosamente, innescando una serie di eventi che cambieranno ancora una volta il corso della vita di Saba, mettendola alla prova contro le crudeltà degli uomini, i pericoli della vita in Iran, i segreti del suo passato, i sentimenti mai del tutto dimenticati verso Reza e quella sensazione in fondo di estraneità che da sempre la separa dal mondo di Reza e Ponneh:
“Forse gli amici di Saba si amano. Guarda come gli accarezza i capelli. Non soppesa ogni parola per capire se è quella giusta, non finge di saper recitare i testi delle canzoni in inglese. Una forza attrae i loro volti e non hanno nessun controllo su di essa. […] Appartengono allo stesso mondo, una campagna senza padri governata da un plotone di mamme dalla braccia vigorose. Si capiscono al volo”.
Dina Nayeri al suo esordio intreccia un romanzo intenso e malinconico, dove il ricordo di un mondo che non esiste più si intreccia magistralmente con il dramma di due gemelle separate per sempre e le scelte difficili che una giovane donna è costretta a fare nell’Iran post rivoluzione.
Proprio l’ambientazione è uno dei punti di maggior forza di questa storia, capace di conferire originalità ad una trama di cui alcuni elementi appaiono topoi consolidati della letteratura occidentale (uno su tutti le gemelle divise dal destino) e ad un filone di ambientazione mediorientale che negli ultimi anni è stato ampiamente sfruttato, dopo l’enorme successo dei romanzi di Khaled Hosseini (Afghanistan e Pakistan) ad esempio, ma anche di altri titoli come Persepolis, Leggere Lolita a Teheran, Pollo alle prugne e numerosi altri. La particolarità del romanzo della Nayeri invece sta in primo luogo nella scelta di spostare la narrazione dalle grandi città palcoscenico di scontri e rivolte sanguinarie ad un villaggio rurale, ancora avvolto nella magia della Persia perduta, dove consuetudini e quotidiano sono ben diversi dalla vita a Teheran. I mutamenti portati dal regime dei sacerdoti non tardano ad investire anche la piccola comunità di Cheshmesh, ma non possono cancellare completamente e improvvisamente quella cultura fatta di cantastorie, forti matriarche, giornate al lavoro nei campi, superstizioni e credenze, che per secoli sono state l’anima più profonda del mondo persiano. È un villaggio in cui anche la violenza della rivoluzione arriva attutita, nonostante la vita delle donne sia soggetta anche qui a nuove rigide regole da rispettare. Altre forme di violenza sono in atto, ma celate dietro le mura delle case lussuose, i pericoli meno evidenti, le trasgressioni mai del tutto abbandonate. È a Teheran invece che si consuma la violenza nelle strade anche dopo la fine della rivoluzione, è tra quei vicoli polverosi che una giovane donna viene picchiata ferocemente per colpa della sua bellezza, è in queste piazze che un’altra innocente viene impiccata di fronte ad una folla attonita; è nelle sue università che i giovani iraniani studiano già consapevoli che in Occidente la loro laurea ha valore di carta straccia, incapace di assicurare ai poveri emigranti un lavoro diverso da quello di tassista.
Nella campagna dove vivono gli Hafezi invece è ancora possibile struggersi di malinconia per un Paese di storie e poeti, dove la forza delle parole è l’unica cosa in grado di proteggere dal dolore per la perdita di una sorella, dalle nuove regole, dalla crudeltà della vita. Sono le storie il potere più grande di Saba e questo romanzo è un meraviglioso inno ad esse e alla forza salvifica delle parole: ad intervallare la trama si susseguono i racconti della vita immaginata di Mhatab, quelli delle tre madri putative che ognuna a suo modo cerca di dare un senso ai tormenti di Saba, quelle solo accennate dei libri proibiti e dei telefilm americani comprati al mercato nero di cui la ragazza si nutre avidamente sognando di fuggire in America.
È una storia di donne, deboli e forti, crudeli e sensibili, ma sempre coraggiose ed anticonformiste, fulcro della vita di Saba, che sfidano le leggi anche a costo della vita; una storia dove gli uomini sono individui deboli, che si celino dietro la violenza della legge o il timore di infrangere le convenzioni, incapaci di superare la perdita e di amare pienamente, vendicativi e impauriti.
Ma è anche, nella vita che Saba immagina stia vivendo la sua gemella in America, la narrazione di un mondo misterioso, difficile da comprendere appieno per gli occhi di un occidentale falsati da stereotipi ed incolmabili differenze culturali, anche prima dei tragici eventi dell’11 settembre che hanno ulteriormente allontanato questi due mondi e che oggi appaiono tristemente incapaci di comunicare tra loro.
Ed infine è, probabilmente, il ricordo malinconico di un luogo che l’autrice ha realmente conosciuto prima di fuggire ancora bambina insieme alla famiglia alla volta degli Stati Uniti, memoria che si mescola ai racconti di un Iran che non ha vissuto e che più non esiste, ma di cui Dina Nayeri abile cantastorie ricrea personaggi, sapori e profumi, mediante la storia struggente di Saba e Mhatab.
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