Conversazioni sull’educazione di Zygmunt Bauman in collaborazione con Riccardo Mazzeo
Centro di Studi Erickson, 2012
pp. 146.
Centro di Studi Erickson, 2012
pp. 146.
Il volume Conversazioni sull’educazione presenta un dialogo a due voci tra
colui che viene considerato il più grande teorico sociale della nostra
contemporaneità, Zygmunt Bauman e Riccardo Mazzeo suo grande estimatore,
filosofo, critico e intellettuale contemporaneo: il risultato dell’incontro tra
i due, ci introduce in quello che è il
grande campo semantico dell’educazione.
Questo processo di formazione,
che porta ogni persona a un itinerario di crescita, è favorito dall’integrazione
in un sistema che dovrebbe essere omogeneo e che dovrebbe garantire diritti a
tutti sostenendo i momenti di vita associata e di crescita: dal rapporto con la
propria famiglia, alla scuola, ai luoghi d’incontro sociale e di aggregazione
culturale.
Non è un volume che tenta di
semplificare o di spiegare come unicum l’idea
di educazione o, al contrario, di evidenziarne solo gli aspetti problematici,
in una seppur oscurità di prospettive lavorative giovanili scarse e non
sostenute da politiche che risultano poco concrete e proiettate al contenimento
della richiesta più che allo sviluppo e alla risoluzione dei problemi.
Si tratta invece di un fitto dialogo, strutturato e
voluto con passione da Riccardo Mazzeo che cerca di introdurre ed esaminare il
tema dell’educazione avendo la certezza che le competenze di Z. Bauman possono
davvero costituire una grande rete di conoscenze di cui il lettore potrà fruire
e da cui si potranno trarre delle linee guida anche per ulteriori analisi e
lavori interattivi proficui.
Il volume è strutturato in venti capitoli
che illustrano varie tematiche: dai possibili livelli dell’educazione, ai
concetti di rivoluzione culturale e permanente, ai problemi sociali legati alla
deprivazione, fino ai numerosi capitoli che vedono protagonisti i giovani, il
problema della disoccupazione e dell’integrazione scolastica; alla domanda
iniziale di Riccardo Mazzeo segue sempre un’ampia risposta e disamina da parte
di Zygmunt Bauman.
Tra le risposte più interessanti cogliamo sinteticamente
quali siano i livelli di educazione principali enunciati da Bauman:
- Trasferimento
dell’informazione perché possa essere memorizzata;
- Il «deuteroapprendimento» finalizzato a padroneggiare la «cornice cognitiva» in cui l’informazione
acquisita o incontrata nel futuro può essere assorbita e incorporata;
- Insegnamento della capacità di smontare e rimontare la cornice cognitiva ancora esistente o della possibilità di sbarazzarsene del tutto senza rimpiazzarla.[1]
Queste norme, per Bauman, diventano
fondamentali nel percorso di apprendimento, basi per l’impostazione dell’educazione e del valore intrinseco della
conoscenza con le connesse modalità di «produzione, distribuzione, acquisizione,
assimilazione e utilizzazione».[2]
Ponendo la questione sul piano
delle relazioni tra padre/figlio, insegnante/studente/ e adulto/giovane, il
concetto di educazione congiuntamente all’apprendimento, per Bauman, parte quindi da un’interiorizzazione delle informazioni che passano da un individuo già
ipoteticamente “formato” ad un ragazzo da “formare.” Quello che può sembrare un
automatismo controllato dalla propria mente, presuppone invece una capacità
di scomposizione e ricomposizione, quella che in sostanza Bauman definisce «la cornice
cognitiva», tutto ciò che viene considerato ausiliario, ma che svolge un’importante
funzione onnicomprensiva.
Un’educazione che deve essere
nutrita costantemente dal pensiero critico.
Come fare in modo che ciò possa
essere possibile?
Viene affrontata la delicata
questione generazionale: «Se il genitore non pensa criticamente, come può farlo
il figlio?». Qui risulta estremamente difficile non solo indagare a ritroso il
concetto di educazione familiare, ma dare delle risposte assolute. L’educazione
parte indiscutibilmente dalla famiglia che dovrebbe sempre rimanere il punto di
riferimento dell’educazione nel suo significato più ampio, ma sappiamo che
spesso un ruolo altrettanto paritetico viene affidato alla scuola, alle
strutture sociali, alla vita comunitaria e alle relazioni extrafamiliari. La
famiglia certo come pilastro fondativo, ma aggiungiamo, quando “c’è”, è viva,
ed è “operativa” in questo senso.
Bauman risponde alle domande
sempre con estrema competenza ed ampiezza di prospettive: il suo linguaggio,
curiosamente, è denso di metafore che rinviano a situazione prebelliche e
belliche: “terreni minati e campi esplosivi” sono quelli su cui si muovono
soprattutto i giovani alla ricerca di un futuro; “filosofi dell’educazione che
inquadrano gli insegnanti come lanciatori di missili” perché ancora oggi sono
coloro che inviano dei vettori di conoscenze di cui lo studente deve far
tesoro; gli “spazi minati e bonificati” sono forieri per Bauman di “incendi
locali” che possono portare ad un ampliamento dei problemi, ma anche a proficui
dibattiti e lotte culturali.
L’uso di questa terminologia non ha a che fare
solo con la semantica, ha a che fare con il ricordo della nostra storia, il
potere nel mondo globale di oggi, frutto del passato, fa in modo che il
linguaggio stesso diventi un alleato attraverso cui descrivere la situazione in
cui si vive: potere, mass media, politica e le conseguenti relazioni a vari
livelli si interpongono tra il mondo giovanile e quello degli adulti, ma ognuno
mantiene il proprio spazio.
Molti sono i temi enunciati attraverso
il dialogo: il rapporto tra l’istituzione scuola e lo sviluppo economico dei
paesi occidentali e non (spinoso il problema delle tasse universitarie in
costante aumento); la questione educativo-scolastica in Europa (disabilità,
anormalità, minoranza e conseguente integrazione); Bauman cerca di dare una sua
prospettiva su come davvero l’educazione possa risolvere i problemi sociali:
amplissima è la disamina sull’argomento che porta ancora una volta, però
inevitabilmente a fare il punto sulla carenza delle politiche statali in
merito.
Un libro ben articolato che apre le porte soprattutto all’universo
giovanile, un mondo che si presenta cangiante, in movimento, con una grande
consapevolezza odierna rispetto ad un passato genitoriale che non riesce più a
dare certezze future ai propri figli (qui il punto di vista non è giustamente quello
di una gioventù fragile in attesa del sostegno altrui), ma un universo di giovani che protegge le proprie
peculiarità, l’appartenenza politica e il “colore” della propria identità.
L’obiettivo è lo stesso per tutti: l’itinerario che porta alla gratificazione è
la via della collocazione sociale e della realizzazione personale.
«Da più di quarant’anni della mia vita a Leeds vedo dalle mie finestre i ragazzi e le ragazze che tornano a casa dalla vicina scuola secondaria. È raro che camminino da soli per la strada, preferiscono camminare nel gruppo dei loro amici. Questa consuetudine non è cambiata. Tuttavia, quel che vedo dalle mie finestre è cambiato nel corso degli anni. Quarant’anni fa ciascuno di questi gruppi era di “un solo colore; oggi non lo è più quasi nessuno di essi».[3]
Mariangela Lando