Treno di panna
di Andrea De Carlo
Einaudi, 1981
pp. 213
€ 7,23
Il retro di copertina di questo
romanzo, in una edizione Einaudi, ha una firma preziosa: Italo
Calvino. È a tutti noto l'impegno editoriale di Calvino e la sua
collaborazione lunga una vita con la casa editrice torinese, il tempo
passato dall'autore a leggere i libri degli altri
e ad aggiungere qualcosa di sempre intelligenti ad essi. Anche col
romanzo di De Carlo succede la stessa cosa.
Chi, come me, abbia conosciuto De
Carlo con Due di Due non può che rimanere un po' stupito, per non
dire deluso, di fronte a questo libro: c'è un protagonista maschile,
ma che non rimane nella memoria come Guido Laremi. Ci sono i suoi
amici, le sue storie d'amore. La sua esperienza di giovane lontano da
casa, a Los Angles. Ma il tutto è raccontato in un modo diverso, più
distaccato, meno partecipe, così che, se la lettura è piacevole, il
ricordo della storia tende a smarrirsi e il coinvolgimento cala.
La trama racconta di Giovanni, un
ragazzo italiano che, con pochi soldi e poche idee, decide di
trasferirsi in California e iniziare una nuova esperienza di vita.
Sfrutta la sua “italianità” per essere assunto come cameriere in
un ristorante, inizia una relazione con una sua collega, ma è
insoddisfatto. Passa le giornate a vagare per la metropoli, sotto
alla freeway e poi sulle colline di Beverly. Sono gli anni d'oro per
chi, in questa città, vuole farsi strada nel mondo dello spettacolo.
Un giorno cambia idea: si propone come maestro di italiano in una
scuola privata, e la cosa sembra funzionare. Addirittura ha la
fortuna di insegnare alla sua attrice preferita, e a iniziare con lei
una sorta di amicizia. Tutti ci aspetteremmo uno sviluppo amoroso, ma
non succede nulla. E il romanzo si conclude con i due, insieme e
soli, ad una festa lussuosa.
Una conclusione così in calando di
certo non aiuta un romanzo che non tocca alte vette emotive. È in
questo momento che l'interpretazione di Calvino risulta
provvidenziale. Le sue parole infatti sottolineano quanto lo sguardo
di De Carlo sia acuto e come un teleobiettivo si fermi su ogni
particolare dell'esperienza di Giovanni. Non a caso autore e
protagonista condividono la stessa passione per la fotografia. Uno
sguardo che registra un enorme numero di dettagli e sfumature, che
accompagna i momenti di Giovanni, ma senza fermarcisi sopra. Non
traspaiono le sue emozioni, i suoi tormenti: abbiamo solo sensazioni
e reazioni immediate. Calvino non si ferma qui: dice che in un oggi
(1981) in cui domina una scrittura che dà sfogo alla coscienza
interiore, al dramma esistenziale, allo sfogo degli stati d'animo, ma
che inesorabilmente finisce in un repertorio di clichés , De Carlo
fa l'operazione opposta. Anziché concentrarsi sul dentro, guarda al
fuori, ma non è detto che così facendo non riesca a mostrarci
qualcosa di questo dentro. Fosse anche solo il vuoto. E allora quello
che sembrava un libro poco coinvolgente diventa qualcosa che esce dal
coro di voci patetiche attorno alla giovinezza e che ci restituisce
un'esperienza di lettura diversa, acuta.
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