di Albert Camus
Ed. Bompiani, 2013
pp. 245
cartaceo € 10
ebook € 6,99
In occasione del centenario della nascita di Albert Camus, Bompiani propone una riedizione di "La peste", pubblicato per la prima volta nel 1947 (ricordo che la traduzione dell'opera fu affidata a Beniamino Dal Fabbro).
Ambientato negli anni Quaranta del secolo scorso nella città algerina di Orano, durante il periodo della dominazione francese, il romanzo si dipana attraverso lo scenario apocalittico di un'epidemia di peste che si abbatte quasi a tradimento in questa comunità grigia, priva di alberi e di spazi verdi a dispetto della stagione primaverile annunciata dalla sola presenza dei fiori che occhieggiano dalle bancarelle del mercato. Tutti gli abitanti si dedicano spasmodicamente al lavoro, trascurando volutamente qualsiasi cosa non generi profitto e arricchimento materiale. Anche i piaceri della vita vengono vissuti all'insegna di un godimento effimero che scorre in superficie, senza lasciare tracce. Con simili presupposti, si può facilmente intuire come la malattia penalizzi fortemente chi ne è vittima, poiché nessuno avrebbe tempo (e comunque non ne ravviserebbe l'opportunità) per curarlo e sostenerlo con amorevole attenzione. E' dunque vietato soffrire o mostrarsi vulnerabili nel corpo come nello spirito, pena la tacita estromissione dal sistema imperante. L'epidemia di peste bubbonica, che si abbatte come un fulmine a ciel sereno in questa città dopo un'improvvisa moria di ratti, manda in frantumi i suoi ritmi sincopati ed ogni suo schema precostituito all'insegna di una prevedibilità che non ammette eccezioni o scostamenti di sorta.
Come spesso accade dinanzi all'imponderabile, c'è chi attiva il meccanismo della rimozione, rifiutandosi di vedere e affrontare questa nuova realtà, e ostinandosi a vivere come nulla fosse in uno stordimento dove il lavoro frenetico è punteggiato da qualche sosta nei bar e nei ristoranti sempre affollati. Per contro, c'è chi si barrica fra le mura domestiche paventando il contagio.
Bernard Rieux, un medico francese che risiede a Orano, si prodiga come può, grazie anche all'aiuto del giovane Jean Tarrou, fuggito dalla madrepatria dopo aver preso atto della spietata freddezza con cui il padre avvocato aveva chiesto e ottenuto la condanna a morte di un uomo.
Con il progressivo dilagare della peste, affiorano implacabilmente le ombre che affollano il subconscio di questa comunità da sempre sorda ai suoi richiami e abilissima nel reprimere slanci ed emozioni. Su tutti, spicca l'esempio di Cottard, un commerciante che, dopo aver tentato il suicidio, sceglie di sopravvivere speculando sulla penuria dei generi di prima necessità. In questo panorama interiormente raccapricciante, non manca tuttavia chi, come il giornalista francese Raymond Rambert, trova un riscatto personale attraverso una presa di coscienza dei suoi limiti. E dunque l'angoscia, che lo attanagliava al punto da renderlo disposto a tutto pur di fuggire da quel territorio contaminato, cede il passo alla sincera volontà di prendere a modello Bernard Rieux, che si prodiga ad aiutare i cittadini colpiti dal flagello, benché sua moglie sia a sua volta malata e ricoverata in una struttura situata in un'altra città. Quando, finalmente, l'epidemia di peste giungerà all'epilogo, gli abitanti di Orano potranno lentamente reimpostare un'esistenza normale, senza tuttavia trascurare l'importanza di adottare una strategia di prevenzione contro una nuova offensiva dei bacilli che potrebbero risvegliarsi anche a distanza di anni.
In questo romanzo, la peste costituisce una rappresentazione allegorica al tema dell'assurdo, che impedisce di trovare un senso e una giustificazione all'esistenza umana e all'immane fardello di sofferenza generato dall'individuo. Il male, nella sua accezione laica di ombra intessuta di pulsioni spesso ignote che covano nel subconscio, pronte ad esplodere in modo incontrollato in un frangente percepito come impossibile da gestire e insostenibile, si staglia in tutta la sua disperante insensatezza. L'unica possibilità di salvarsi dalla disperazione consiste nella volontà di affrancarsi dal giogo delle proprie istanze irrazionali ed egoistiche e, sulla falsariga di Raymond Rambert, scegliere il sentiero della solidarietà fra i propri simili, come atto di estrema ribellione al destino altrimenti ineluttabile di affliggere il mondo con altro male, e di perpetuare questa epidemia di sofferenza.
Nello specifico, considerando anche l'ambientazione storica del romanzo, la peste è altresì una metafora del nazismo ravvisabile nei suoi continui rimandi all'oppressione della dittatura e alla resistenza (da intendersi come tenace attaccamento ai richiami dell'ego) opposta alla vera libertà, che persegue il bene comune e non del singolo individuo a detrimento degli altri.
Potremmo comunque leggerlo anche come un'allegoria del nostro tempo, dove i regimi dittatoriali, perlomeno nelle nostre realtà "democratiche", sono subdoli e invisibili poiché inneggiano ad una libertà fittizia che affonda le radici sempre e comunque nel Male, dove i privilegi egoistici e materiali di pochi si innestano sulla sofferenza spesso inespugnabile delle masse.
Cristina Luisa Coronelli
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