A Lucca una mostra antologica del grande maestro francese
12 giugno - 3 novembre 2013
“Per me la macchina fotografica è un quaderno degli schizzi, uno strumento di intuizione e spontaneità, il padrone dell’istante che, in termini visivi, interroga e decide nello stesso momento. È attraverso l’economia di mezzi che si arriva alla semplicità dell’espressione”.
In queste parole Henri Cartier-Bresson, il grande maestro francese della fotografia del XIX secolo, spiega in estrema sintesi il senso più profondo della propria arte e dell’approccio che egli aveva nella scelta di quei “momenti decisivi” da catturare con la sua Leica.
Approdato alla fotografia dopo aver esplorato il mondo della pittura e del cinema, amori mai completamente abbandonati, ha attraversato un secolo di storia europea e mondiale vissuta in prima persona a partire dalla prigionia in un carcere nazista durante la Seconda Guerra mondiale, fino ai viaggi in Italia, Urss, Stati Uniti, Messico, Cuba, Cina, India, Giappone.. Viaggi e momenti storici decisivi che ha raccontato attraverso il filtro della lente fotografica, imprimendo per sempre volti e luoghi in quelle opere che gli sono valse l’appellativo di “occhio del secolo” e un posto privilegiato tra gli interpreti del foto-giornalismo.
Fotografo e teorico di quei “momenti decisivi” che sono diventati storia, ha fondato insieme – tra gli altri- a Robert Capa la celeberrima agenzia Magnum, ancora oggi impegnata nella promozione e difesa dell’arte fotografica.
Un genio poliedrico che il mondo dell’arte ha spesso celebrato, dedicando alla sua opera mostre antologiche in cui i lavori di Cartier-Bresson conquistano sempre con pari intensità il pubblico accorso ad ammirare i suoi lavori. Anche Lucca ha scelto di ospitare una selezione delle opere del maestro francese, in un’antologica assolutamente da non perdere ospitata negli spazi del Center of Contemporary Art, in pieno centro storico. Una mostra assolutamente imperdibile che nasce dal famoso volume “Henri Cartier-Bresson. Photographer” contenente 133 scatti scelti personalmente dal maestro, esemplari della sua arte. Fotografie che rappresentano l’occasione perfetta per scoprire o ammirare ancora una volta il lavoro di Cartier-Bresson, seguendolo nei suoi viaggi in giro per il mondo di cui ha saputo catturare con pari intensità momenti privati di personaggi che hanno fatto la storia e uomini comuni, scene di pace e di guerra, paesaggi spaventosi e desolati e attimi di gioia, scenari urbani e zone rurali, raccontando quasi un secolo di storia.
"Fotografare è trattenere il respiro quando tutte le nostre facoltà di percezione convergono davanti alla realtà che fugge: in quell'istante, la cattura dell'immagine si rivela un grande piacere fisico e intellettuale. Fotografare è mettere sulla stessa linea di mira la testa, l'occhio e il cuore. Per me fotografare è un modo di capire che non differisce dalle altre forme di espressione visuale. È un grido, una liberazione. Non si tratta di affermare la propria originalità; è un modo di vivere".
Un grido che sentiamo riecheggiare benissimo in queste sale, dove la forza delle immagini sorprende e lascia senza fiato. Ci sono protagonisti del mondo culturale del Novecento, tra cui Ezra Pound, Sartre, un giovane Truman Capote, Colette, Faulkner, Giacometti e un anziano Matisse colto nel proprio studio intento a disegnare. E accanto ai nomi celebri i volti di uomini e donne comuni, dall’Italia all’Urss, frammenti di ricchezza e povertà, momenti lieti e scene di guerra, di lavoro e di festa, bambini e anziani. Cartier-Bresson immortala quell’attimo perfetto degno di essere trasmesso e divenire immortale, che sia un uomo seduto in terra in un vicolo o la vita dentro e fuori da un bar, dove il confine si va sfocando e sembra di intravedere lo stesso fotografo nell’istante in cui fissa per sempre quel momento.
La forza delle fotografie è assoluta e sufficiente a coinvolgere il pubblico che accorre in questo spazio nel cuore di Lucca, ma nonostante ciò l’organizzazione della mostra lascia un poco perplessi: innanzitutto lo spazio è già di base decisamente spoglio, l’intimità di stanze raccolte da sola non basta a riscaldare il luogo decisamente troppo essenziale, bianco e nero; manca poi una guida, un percorso nel viaggio alla scoperta delle opere, capace di far comprendere anche ad un pubblico non esperto quanto si appresta a scoprire.
Certo, le fotografie di Cartier-Bresson sono immediate ed estremamente coinvolgenti, ma qualche indicazione sul maestro, la scelta antologica, il percorso ideale da seguire per scoprire appieno la forza degli scatti, sarebbe stata una cornice perfetta per godere fino in fondo delle immagini esposte, senza per questo svilirle in termini di immediatezza ed essenzialità. Pur restando affascinati dagli scatti, il pubblico –soprattutto quello meno specialistico- rischia di perdere il senso generale dell’antologica apprezzando certamente l’opera singola ma non riuscendo a comprendere pienamente gli intenti generali, l’accostamento delle fotografie di cui si danno soltanto titolo e luogo dello scatto, finendo forse per non rendersi del tutto conto della straordinaria arte che si ha di fronte.
Detto questo, le immagini sono perfette, esemplari del genio di Cartier-Bresson e passando dall’una all’altra compiamo un viaggio nella storia del Novecento e intorno al mondo, dal muro di Berlino ai funerali di Gandhi, da New York al Giappone, di cui resta l’insoddisfazione di non poter portare via il ricordo concreto in forma di catalogo (andato esaurito a pochi giorni dall’apertura della mostra) o di merchandising vario (la fondazione di Cartier-Bresson concede davvero raramente l’uso delle immagini del maestro, con lo scopo di controllarne la diffusione e tutelarle dalla pirateria).
Immagini sorprendenti, che nulla hanno da invidiare ad altre forme d’arte più canonizzate e che grazie a questa mostra antologica portano il pubblico ad intraprendere un viaggio ideale alla scoperta dell’arte immortale di Cartier-Bresson.
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