Le stelle brillano a New York
di Laura Moriarty
Piemme, Milano 2013
pp. 476
€ 18,50
Nessuna città al mondo è probabilmente nella storia della letteratura occidentale (e del cinema) ambientazione e materia privilegiata dei narratori come New York, di cui di volta in volta ne vengono messi in risalto gli innumerevoli volti: il centro culturale e cosmopolita del Nord America, cuore del mondo secondo alcuni, fucina di mode e idee che presto faranno il giro del globo, meta agognata da molti, ma anche una città difficile, alienante, con quartieri spesso conosciuti per degrado e violenza. E con buone probabilità mai epoca è entrata nell’immaginario collettivo (soprattutto per i suoi aspetti più vivaci e sfavillanti) come i ruggenti anni Venti, sorta di mitica età dell’oro americana in cui lo champagne scorreva inesauribile e inebriante incurante del Proibizionismo, sulle pazze note del jazz. Epoca celebrata con una miriade di libri e personaggi, su cui Il grande Gatsby resta il capolavoro assoluto, capace più di ogni altro di racchiuderne il senso più profondo e le contraddizioni appena celate dietro feste e precaria spensieratezza. Un mondo che recentemente sembra essere tornato ancora una volta materia di spunto privilegiata –se mai avesse conosciuto crisi- anche sulla scia del successo dell’ultima trasposizione cinematografica del romanzo di Fitzgerald, con un Di Caprio in splendida forma.
Un’ambientazione dunque quanto mai familiare, tra luci ed ombre di un’epoca contraddittoria che tuttavia non ha mai smesso di affascinare in ogni suo aspetto e che si è prestata a numerose interpretazioni. Tra le più recenti, la lettura fatta da Laura Moriarty, docente di scrittura creativa all’Università del Kansas e scrittrice, il cui ultimo romanzo “The Chaperone” –il titolo originale, ben più appropriato rispetto alla scelta dell’edizione italiana- è uscito in Italia proprio nei mesi scorsi, dopo un notevole successo di pubblico negli Stati Uniti.
“The Chaperone” ci riporta quindi negli anni Venti, in una storia in cui la fiction narrativa si intreccia allo sfondo storico culturale del tempo e a personaggi reali le cui vite l’autrice cerca di fondere verosimilmente a quelle degli altri protagonisti. Ma a mio parere sono proprio questi ultimi, i personaggi creati per il romanzo e nello specifico la protagonista Cora, ad essere attori principali di questa commedia velata di dramma che da una cittadina della provincia americana porta alla frenetica New York, alla ricerca di risposte e successo; personaggi fittizi che non si limitano a muoversi intorno alla famosa coprotagonista (e personaggio reale) Louise Brooks, come erroneamente si potrebbe intuire dalla quarta di copertina, ma al pari – e forse più- della capricciosa ragazzina che cerca di farsi largo nel mondo della danza sono il vero cuore del romanzo.
Ma quale Garbo, ma quale Dietrich, esiste solo Louise Brooks!
Il fraintendimento è legittimo per una storia che in apparenza sembra confezionata per raccontare sotto forma di romanzo gli anni giovanili di Louise Brooks appunto, futura stella del cinema muto, che nell’estate del 1922 ottiene il permesso di andare a New York per studiare danza alla prestigiosa Denishawn Dance Company e farsi strada verso il successo:
Solo pochi anni più tardi, i giornali avrebbero parlato di lei, dei suoi film e della sua pazza vita sociale. Avrebbe ricevuto più di duemila lettere di ammiratori alla settimana e tutte le donne americane avrebbero cercato di copiare la sua pettinatura.
La giovane viene accompagnata alla scoperta della città da una vicina di casa, Cora Carlisle, trentaseienne sposata e con due figli ormai al college, pronta a fare da chaperon all’inquieta adolescente e proteggerla dai pericoli di New York. In realtà è presto evidente che Cora non è soltanto l’accompagnatrice silenziosa che resta in disparte, ma la reale protagonista della storia, giunta nella grande città per uno scopo personale del quale non fa menzione a Louise ma che ci rivelerà pagina dopo pagina segreti e ombre della vita di una moglie di provincia.
L’intreccio tra realtà e finzione può risultare più o meno riuscito e la delusione coglie il lettore solo nella misura in cui si aspettava di trovare nel libro della Moriarty una sorta di biografia romanzata di una delle stelle più lucenti – ed effimere- della vecchia Hollywood; ma Louise condivide la scena con Cora e seppur non sia difficile immaginarla sedicenne nella sua avventura newyorkese cui presto seguiranno l’irrefrenabile ascesa e un’altrettanto rapida caduta nel mondo del cinema, resta un personaggio che per quanto affascinante non sappiamo fino a che punto far coincidere con la donna reale e non è neanche intenzione dell’autrice fare un ritratto realistico della sua vita, bensì servirsi di ciò che è noto nella sua biografia e adattarlo al volere della storia. La storia, appunto. Opportuno premettere innanzitutto che, a mio giudizio, la trama non è il punto di forza di questo romanzo in quanto, seppure nelle sue complicazioni, risulta presto intuibile e per taluni aspetti scontata, con topoi frequenti nella tradizione del romanzo occidentale moderno e contemporaneo e quindi non proprio originali: segreti di famiglia e compromessi del matrimonio, la ricerca delle radici al fine di comprendere appieno il proprio essere, il bigottismo della vita in periferia, la giovane spregiudicata che si ribella a regole e convenzioni del proprio tempo, la città come luogo ideale dove poter essere liberamente se stessi e trovare il successo.. Tematiche spesso oggetto dell’interesse narrativo che non trovano nel romanzo della Moriarty un’interpretazione nuova ed originale, ma si intrecciano fra loro al fine di creare una trama ricca e, seppur piacevole da seguire, senza reali slanci letterari o personaggi in grado di resistere per più di una stagione nel panorama culturale contemporaneo.
La trama quindi, dicevamo: Cora, moglie e madre devota che ha fatto del compromesso il fondamento del proprio matrimonio, assume per un’estate il ruolo come si è detto di chaperon dell’irriverente Louise nel suo debutto a New York; in realtà la donna scorge in questa circostanza inattesa l’occasione per fare luce sul proprio passato di orfana, i pochi anni trascorsi presso un istituto di carità cattolico prima di essere messa su uno di quei treni che fino agli anni Cinquanta circa hanno portato i bambini abbandonati della grande città verso una nuova vita – non sempre più felice- presso famiglie del Middle West. Cora molti anni prima è stata fortunata, cresciuta con affetto da due agricoltori che le hanno voluto bene come una figlia di sangue, fino al momento della loro tragica scomparsa quando la mancanza di una regolare adozione ruba ancora una volta l’identità alla giovane orfana, sola al mondo senza più famiglia; l’incontro con il giovane affascinante avvocato Carlisle apre la seconda fase della sua vita, ma dove nuove prove di dolore e solitudine la attendono. Una bella casa, due splendidi figli e una rispettabile cerchia di amiche non colmano tuttavia il vuoto che Cora porta da sempre nel cuore, spingendola quindi a cercare a New York presso l’istituto nel quale ha passato i suoi primi anni le risposte che la tormentano. Tra silenzi e delusioni, e tentativi di frenare l’esuberanza della giovane che le è stata affidata per quell’estate, Cora compie un viaggio alla ricerca delle proprie radici, scopre la città e incontra qualcuno destinato a sconvolgere ancora una volta il corso della sua vita per aprire una terza fase del tutto nuova e inaspettata.
Lasciamo al lettore il piacere di scoprire come la trama si sviluppi, quello su cui tuttavia vogliamo qui soffermarci è il vero, a mio parere, elemento di forza del romanzo che va al di là della trama non esattamente brillante o di personaggi di scarsa evoluzione e complessità psicologica; è lo sfondo storico-culturale dell’America degli anni Venti il vero spirito della storia, con le sue luci ed ombre. È un’epoca di enormi cambiamenti e profonde contraddizioni che dietro lo sfavillio cela non pochi elementi di oscurità. Cora, tutt’altro che semplice spettatrice del suo tempo, osserva e prende parte al dibattito sui mutamenti che attraversano l’America, dalle province alla grande città, lo fa con lucida onestà perennemente combattuta tra l’adesione alla morale comune e una latente insofferenza per il rigido codice del tempo. Consapevole dei limiti che ogni uomo ha nel giudicare il proprio tempo presente, indulgente con le amiche dalla mentalità più conformista e conservatrice, capace di riconsiderare le proprie convinzioni e aperta al cambiamento, in questo Cora è un personaggio davvero interessante e vivo. Quando smette i panni della moglie borghese di mezza età – negli atteggiamenti almeno, perché in realtà ha solo trentasei anni- pronta a moraleggiare con l’anticonformista Louise come da tradizionale scontro generazionale in cui gli adulti sono quasi sempre destinati a fallire, allora in quell’esatto momento Cora diventa una donna/personaggio interessante, umano nelle sue incertezze e delusioni come nella sua caparbia determinazione, in grado di mostrarci altri aspetti di quell’epoca d’oro: il Proibizionismo, prima appoggiato per la guerra ai comportamenti immorali e degradanti ed in seguito reinterpretato alla luce del suo fallimento; le nuove mode che stravolgono l’abbigliamento rendendo il gap generazionale straordinariamente evidente così come l’abisso che separa provincia e città; le lotte femminili, per il diritto al voto e ad una partecipazione più attiva nella vita pubblica e politica, per la conoscenza e il controllo del proprio corpo, fino allo “scandalo” degli anticoncezionali esposti nelle vetrine di una farmacia del Mid West. E poi la questione razziale, tema non proprio approfondito ma capace comunque di emergere con forza tra le pagine della storia: dalla nascita del Ku Klux Klan al celebre spettacolo Shuffle Along andato in scena a New York a partire dal ’21, un «musical scritto, prodotto, diretto e interpretato solo da neri» e seguito da un pubblico misto parimenti entusiasta, un momento che Cora ricorderà anche molti anni dopo:
Talento, ambizione, ansia erano così presenti che Cora non avrebbe potuto non respirarli. […] in quella calda sera, sulla Sessantatreesima, nonostante l’incertezza e la paura, a un certo punto aveva smesso di angustiarsi e di prendersela con Louise e aveva cominciato a godersi lo spettacolo, a battere i ritmi sincopati con i piedi stretti nelle scarpe, e a lasciarsi andare con gli occhi pieni di lacrime alla fine della lenta ballata Love Will Find a Way.
Ed è ovviamente Louise che trascina la chaperon in nuove eccitanti avventure cittadine, mentre le differenze tra la giovane in cerca del successo e la morigerata moglie del Kansas si fanno sempre più lievi e il dialogo tra generazioni, infine, non più a senso unico:
Succede quando si sta con i giovani, è il compenso a tutti i dispiaceri che possono dare. I giovani esasperano, spaventano, umiliano, insultano, e tagliano con i loro contorni spigolosi non smussati. Ma, mentre protesti e rimproveri e cerchi di sottrarti, loro ti trascinano davanti ad una porta aperta sul futuro e qualche volta ti spingono anche a varcarla.
P.S. Se la curiosità sul personaggio di Louise Brooks è rimasta insoddisfatta, vale la pena recuperare "Lulu a Hollywod" raccolta di saggi, pezzi autobiografici e considerazioni su cinema e letteratura, scritto dalla stessa Brooks.
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