Vecchi amici e nuovi amori
di Sybil
G. Brinton
Traduzione
di Camilla Caporicci
Jo
March, 2013
pp. 341
14,00
Fin
dal 2009, le edizioni Jo March si occupano di “riportare alla luce narrativa lontana, nel tempo o nello spazio, a
torto dimenticata o mai tradotta in lingua italiana”. La traduzione e la
ristampa di “Vecchi amici e nuovi amori”,
di Sybil G. Brinton, definito “l’antenato di tutti i sequel”, di tutti gli spin
off e derivati austeniani, scritto cento anni dopo “Orgoglio e Pregiudizio” (1813) e tradotto in italiano cento anni
dopo la sua pubblicazione (1913), soddisfa proprio questo criterio.
Duecento
anni ci separano, dunque, dall’originale di Jane Austen e cento da questo
seguito della Brinton, della quale poco si sa, se non che ebbe una vita breve e
non godé mai di buona salute. L’autrice fu
un’appassionata janeite, con quanto
di positivo e di negativo il termine implica. Il janeitismo si sviluppò dopo il 1870, con la pubblicazione di “A
Memoir of Jane Austen” di J.E. Austen - Leigh. Addirittura Rudyard Kypling scrisse un
racconto, intitolato "The Janeites", su un gruppo di
soldati della prima Guerra mondiale appassionati dei romanzi della Austen.
Ai
sei testi canonici si rifà questo sequel, e cioè a “Orgoglio e pregiudizio”, “Mansfield Park”, “L’Abbazia di Northanger”, “Ragione e sentimento”,
“Persuasione”, “Emma”. La Brinton ne interseca i protagonisti, ritrovando,
appunto, “vecchie conoscenze”, favorendo nuovi intrecci sentimentali,
compensando i finali sempre un po’ troppo bruschi della “cara zia Jane”,
basandosi su indicazioni date dalla stessa autrice riguardo possibili sviluppi,
creando una specie di riassunto e di compendio di tutti i romanzi. Seppur
presenti, i caratteri principali restano sullo sfondo, in favore di figure
minori, come Georgiana Darcy, Kitty Bennet, il colonnello Fitzwilliam e Mrs
Crawford, di cui vengono narrate nuove avventure e nuovi amori.“In questo modesto tentativo di rappresentare il seguito delle avventure di alcuni dei personaggi di Jane Austen,” ci dice la Brinton nella prefazione, “ho fatto uso dei riferimenti fatti a essi dall’autrice stessa, registrati nel Ricordo di Mr. Austen- Leigh”
Il
testo ha valore per ciò che rappresenta culturalmente, per il suo essere
capostipite di tutta la fanfiction successiva, non tanto per il contenuto o lo
stile. Di sicuro risponde a quel bisogno che s’impone, prepotente, alla fine di
un libro che abbiamo amato, che ci porta a stringerlo al petto sentendoci orfani,
chiedendoci che cosa i protagonisti faranno adesso che l’ultima pagina è stata
letta e abbandonata.
Ma
forse è perché gli attori principali non sono quelli che tanto ci hanno
coinvolto – leggi Elisabeth e Darcy, ora trasformati, in soli due anni di vita
coniugale, in signorotti di campagna privi di allure, compresi nel loro ruolo di genitori quanto Jo e il
professor Baher in “Piccoli uomini”, ruolo
da cui Elisabeth si distacca solo per addossarsi un’attività di match maker presa in prestito da Emma Woodhouse
– se l’iniziativa riesce solo in una certa misura.
La
storia di Georgiana, i suoi turbamenti,
i suoi rossori, il suo agire da timida paraninfa fra il cugino Firzwilliam, suo
ex promesso, e una Miss Crawford del tutto stravolta dall’originale austeniano,
il suo amore per William Price bramato
dall’amica Kitty, non ci prendono più di
tanto, né ci entusiasma la tecnica che, nel tentativo di imitare quella “conversational” della Austen, non sfugge
a qualche involontaria goffaggine e stempera il witticism in monotonia. Ricorda, semmai, il più piatto stile della quasi contemporanea e rivale di Jane Austen, Maria Edgeworth. Manca l’ironia
tagliente, manca lo studio di un’intera classe sociale e forse non è un caso se
questo “Old friends and new Fancies”
sembra essere rimasta l’unica prova della Brinton.
“Anche i migliori fra i derivati”, ci conferma Giuseppe Ierolli nell’introduzione “rimangono lontanissimi da tutto ciò che ha reso Jane Austen uno degli autori più amati e studiati della letteratura mondiale. La perfezione dei suoi dialoghi, l’ironia e la parodia che pervadono i suoi scritti, talvolta celate in brevissimi incisi che spesso sfuggono al lettore distratto, la finezza di quello che lei stessa definì “il pezzettino d’avorio (largo due pollici) sul quale lavoro con un pennello talmente fine che produce un effetto minimo dopo tanta fatica”, la naturalezza con la quale ci accompagna nelle vicende dei suoi personaggi, la parsimonia con la quale li descrive, lasciando che i loro caratteri emergano molto più da ciò che dicono e fanno che da quello che ne dice il narratore, sono nel loro complesso, inimitabili, e solo qualche sprazzo emerge talvolta nelle opere che si ispirano a lei.”
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