Il paradiso degli orchi
(Au bonheur des ogres)
di Daniel Pennac
Feltrinelli, 1991 (1985)
pp.202
7,50 €
È
Stefano Benni che dobbiamo ringraziare se nel 1991 Pennac sbarca in Italia con la fortunatissima
saga di Malaussène. Benni legge Pennac, rimane affascinato dalla sua scrittura
e lo propone a Feltrinelli. Oggi, nel retro della copertina del Paradiso degli orchi troviamo la sua bellissima introduzione nella
quale lo definisce “uno scrittore d’invenzione, un talento fuori dalle scuole”.
Anche per questo primo romanzo del ciclo di Malaussène, il cui adattamento cinematografico diretto da
Nicolas Bary è uscito nelle sale
lo scorso 14 novembre, nessuna etichettatura è possibile.
È il 24 dicembre, sono le 16 e 15., il Grande Magazzino è strapieno. Una fitta folla di clienti gravati dai regali ostruisce i passaggi. Un ghiacciaio che cola impercettibilmente, in un cupo nervosismo. Sorrisi contratti, sudore lucente, ingiurie sorde, sguardi pieni d’odio, urla terrorizzate di bambini acciuffati da Babbi Natale idrofili.
Questo
il luogo all’interno del quale si svolgerà gran parte del romanzo. La trama che
seguirà è ormai nota: il protagonista, Benjamin Malaussène, nel
grande Magazzino, svolge una professione a dir poco singolare, il capro
espiatorio; la sua mansione è quella di muovere a compassione i clienti furiosi
che presentano i più svariati reclami. Trasformare la rabbia in clemenza,
l’indignazione in commiserazione, ecco il vero lavoro di Benjamin. Il
risultato? Il ritiro di qualsiasi denuncia e reclamo da parte di ogni cliente
inferocito. Questo stato di cose viene sconvolto da inaspettate,
incomprensibili e ripetute esplosioni all’interno del Grande Magazzino. Il
protagonista , suo malgrado, si troverà coinvolto in questi casi e
parallelamente alle indagini della polizia, per legittima difesa, intraprenderà
una personale ricerca della verità.
Gli
ingredienti di una detective story ci saranno tutti: cadaveri, indagini della
polizia, indiziati, ma la contaminazione di generi fa sì che il noir si sposi
con toni comici e ironici, con trovate intelligenti e leggere. Pennac mescola
il crudo realismo con il magico. Le brutture che si stanno consumando al Grande
Magazzino vengono trasfigurate e esorcizzate dai racconti che, la sera,
Benjamin fa alla nutrita banda dei fratelli e delle sorelle. Il racconto e il
raccontare spazzano via ogni genere di preoccupazione sulla proprio sorte,
sulla realtà opprimente. Le esplosioni tragiche vengono viste attraverso una
lente fantastica, giocosa e il tutto diventa un’avventura. La parola prende
vita e Benjamin ogni sera cura la propria famiglia con magnifiche lezioni di
spensieratezza.
La
numerosa famiglia di Malaussène è una delle colonne portanti del romanzo,
famiglia vivace e colorata come il multietnico quartiere di Belleville. La
madre “sintonizzata altrove” mette al mondo figli e poi sparisce; Thérèse ama
l’astro-logica e appassionandosi ai casi delle bombe comincia a prevedere,
seguendo strani calcoli, i momenti delle future esplosioni; Jeremy è vispo,
curioso, intelligentissimo e per dimostrare le sue teorie riguardo alle
indagini costruisce bombe artigianali che fa esplodere, per sperimentare, nella
propria scuola; il piccolissimo disegna spaventosi Babbo Natale antropofagi;
Louna, maggiorenne, infermiera e incinta è attanagliata dal dubbio di “voler
far saltare il suo piccolo inquilino”; e su tutti la prediletta Clara, colei
che “anestetizza l’orrore a colpi di otturatore”.
La
fotografia permette a Clara di porre un
filtro protettivo tra lei e la realtà, le dona il tempo e la giusta prospettiva
per metabolizzare il mondo che la circonda. Ecco, dopo l’immaginazione, un
altro lenitivo alla realtà: la fotografia.
La
risoluzione dei casi sarà scomoda da accettare, emergerà il ritratto di una
parte marcia dell’umanità e un’atmosfera malata che ha radici in un tempo non
molto lontano dal nostro. Avverrà un combinazione pericolosa in cui si giocherà
a mescolare le carte dei colpevoli e degli innocenti, del bene e del male.
La
presentazione dell’intreccio non rende giustizia al romanzo, la cui forza sta
soprattutto nella straordinaria capacità narrativa dell’autore, nel ritmo
veloce della sua narrazione, nelle innumerevoli sorprese che scandiscono la
successione di eventi pieni di suspense. Pennac avrà come carta vincente in questo
romanzo e in tutta la saga un inesauribile spirito inventivo. E come dirà in Signori bambini “L’immaginazione non
significa menzogna”.
Valeria Inguaggiato
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