I miei filosofi
di Edgar Morin
traduzione di Riccardo Mazzeo
Trento, Erickson, 2013
pp. 164
di Edgar Morin
traduzione di Riccardo Mazzeo
Trento, Erickson, 2013
pp. 164
Provo un sentimento mistico davanti al profondo mistero che avvolge la nostra condizione di esseri viventi, che costeggia il nostro ambito di conoscenza il quale si situa in una striscia mediana tra dubbi infiniti (cosmico e microfisico, cosmico e interiore). Provo il bisogno profondo di legare la nostra conoscenza al senso di mistero in cui sfocia qualunque conoscenza.[1]
Edgar Morin, sociologo francese,
fondatore nel 1957 con J. P. Sartre della rivista « Arguments», direttore di
ricerca al Centre national de la recherche scientifique e condirettore del
CETSAS, centro di studi transdisciplinari (sociologia, etnologia, e semiologia)
e attualmente direttore della rivista
«Communications», in questo volume, celebra i filosofi che hanno contribuito
sostanzialmente alla formazione del suo pensiero: Eraclito, Montaigne, Pascal,
Spinoza, Rousseau, Hegel, Marx, Freud, Jung, Heidegger, Piaget e Kant tra i più
autorevoli.
Il corpus teorico della saggistica enunciata da Morin, testimone del
Novecento europeo, rivela il percorso intrapreso attraverso un secolo di «arcaiche
pulsioni distruttive di stampo mitologico e modernissime razionalizzazioni
tecnico-scientifiche economiche» ed enuncia la matrice profonda dei suoi studi.
Nell’analisi delle condizioni, delle possibilità e dei limiti della conoscenza
umana, Morin fortifica le proprie conoscenze filosofiche, concependo ogni cosa e
quindi anche le idee, quale parti fondanti di un contesto più ampio che
comprende le relazioni e le retroazioni che a questo contesto le legano.
La costante ricerca di risposte da dare
riguardo all’idea di fede e di razionalità, accanto ad un misticismo quasi
ostentato, hanno alimentato in Morin l’idea di accostarsi ad alcuni dei
pensatori e filosofi che hanno davvero costituito il nostro patrimonio
culturale, filosofi da cui Morin ha saputo trarre linfa vitale per il proprio
percorso. Idee che si nutrono anche di contraddizioni. Solo l’elaborazione di specifici
modi di pensare adeguati permette all’uomo odierno, secondo Morin, di
continuare a vivere sulla Terra.
Una scienza che, secondo il
sociologo, deve essere guidata dalla ragione in grado di riconoscere la
complessità delle relazioni soggetto-oggetto, ordine-disordine e di pensare in
“opposizione relativa e in complementarità, termini quali intelligenza,
affettività, ragione e de-ragione”.
Morin attinge al pensiero di
Eraclito, quando fa riferimento ad alcune di queste antitesi e contraddizioni filosofiche: pur essendo il logos la ragione familiare
dell’esperienza comune, esso è inascoltato dai più, “l’unione dell’unione e della disunione, della concordia e
delle discordia, il vivere di morte, e il morire di vita permettono di scoprire un sotterraneo di
verità.”
Accanto ad Eraclito, Morin
attribuisce un ruolo importante, nella propria formazione, a Pascal che rifiuta
nettamente il razionalismo teologico e raccomanda invece una prassi estrinseca
che renda fattibile l’accesso ad una fede, un filosofo definito da Morin «uno
spirito scientifico, un adepto rigoroso della razionalità» che coniuga
abilmente l’utilizzo della ragione e quello della sperimentazione.
L’interesse di Morin per il buddismo
gli offre delle risposte riguardo allo stato di sofferenza intrinseca a ogni
essere umano, uno stato che può risolversi conservando una serenità interiore
rispetto al distacco da sé.
L’avversità verso il Cristianesimo
del critico è osservata nel saggio, come stato di improbabilità storica, e
coltivata come sentimento religioso. Morin riesce così a comprendere quanto la
religione sia aperta e indispensabile all’umano.
L’ideale di Rousseau, colto dal
sociologo francese, è quello di una comunità di individui autosufficienti che
creano una sorta di indipendenza primitiva; l’educazione per Rousseau, non si
limita ad un passaggio da una
generazione all’altra, ma deve invece elaborare modelli di vita nuovi e
alternativi: idea che pervade tutta la pedagogia del Novecento.
Hegel affronta le contraddizioni
laceranti legate alla fede, al dubbio, alla speranza e alla disperazione.
Antitesi che si dispongono in una successione ascendente che comprende tutte le
religioni orientali, naturalistiche attraverso il politeismo greco-romano
antropomorfico, fino al cristianesimo. Ogni filosofia del passato si presenta,
per il critico, come erede di tutto il pensiero occidentale. Le letture di
Montaigne rivelano una profonda matrice pedagogica, ben colta da Morin.
Martin Heidegger, attraverso i sentieri
del linguaggio suggerisce a Morin le
dimensioni “multiple, contraddittorie,
generative e autogeneratrici dell’esistenza”; in Essere e tempo il filosofo invita il lettore e quindi lo stesso
Morin a “ripensare, riconsiderare, ricominciare” alimentando bisogni
antropologici e profondamente insiti nell’animo umano.
Un saggio interessante che
ricostruisce fedelmente le letture filosofiche di un Morin autodidatta,
ricerche del sapere che risultano determinanti per il campo degli studi
successivi.
Una sete di verità esistenziale
profonda costantemente alimentata dal sociologo francese attraverso gli
interrogativi di matrice etica e filosofica che coinvolgono l’odierna
contemporaneità: «Chi siamo noi? Da dove
veniamo? Dove andiamo»,[2]
ovvero la dimensione indicibile delle
nostre «origini, del divenire, del reale» e del significato dell’esistenza
umana.
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