Shangri-La
di Mitchell Zuckoff
traduzione di Fabrizia Fossati
Milano, True Piemme, 2013
di Mitchell Zuckoff
traduzione di Fabrizia Fossati
Milano, True Piemme, 2013
È il 13 maggio del 1945. Un aereo
militare statunitense, in volo da New York, con a bordo 24 persone d’equipaggio,
precipita in una zona selvaggia e sconosciuta in Nuova Guinea. Lo schianto è
terribile; il dramma per molti di loro si è già compiuto.
Ai cinque superstiti bastano
pochi istanti per comprendere la portata della tragedia. Ma con le poche forze
rimaste devono lottare per sopravvivere in un ambiente ostile: non c’è tempo
per il dolore.
Ma di lì a poco rimarranno solo
in tre: troppo drammatiche le condizioni di salute di Laura ed Eleonor, le due
ausiliarie che con tanto entusiasmo si erano arruolate nel Women’s Army Corps; rimangono
in vita il caporale Margaret Hastings, il luogotenente McCollom e il maggiore Decker; in un turbinio di
tensione emotiva e di sconcerto, inizia per i tre protagonisti un viaggio
difficile e assolutamente imprevedibile verso la salvezza.
In un’altra parte del mondo il 13
maggio è il giorno della preghiera. La giornata in cui ricorre la festività
della mamma, periodo in cui anche la stagione è mutata, rendendo la natura
rigogliosa e accogliente. Altri luoghi, altre situazioni di vita, altre
esigenze che appaiono in uno stridente contrasto con ciò che invece accade qui,
in questa Valle Perduta, ribattezzata Shangri-La:
Nella parte nord-occidentale scompariva in un enorme anfratto della montagna, una sorta di grotta naturale, il cui arco si innalzava di circa novanta metri sul terreno circostante. Al di là di qualche albero, la valle era ricoperta dalla Kunai, un’erba alta e tagliente che in alcuni punti arrivava fino al petto. La vera sorpresa (era) […] la bellezza mozzafiato del luogo.[1]
I superstiti debbono combattere per sperare
nella sopravvivenza; Margaret riporta gravissime ustioni alle gambe;
miracolosamente riesce a reggersi in piedi, pur se a fatica, ma ha bisogno
urgente di medicazioni. Tra i rottami dell’aereo i due compagni riescono a
trovare una cassetta di pronto soccorso, ma non basta certo a salvarla dalla
cancrena …
I tre si rendono ben presto conto
che l’unica possibilità di sopravvivenza è allontanarsi dal luogo dello
schianto, impossibile da avvistare dall’alto, nascosto com’è tra il folto della
giungla. Ma dove si trovano esattamente? Come fare per farsi avvistare da altri
veicoli di passaggio? Non hanno viveri e l’unica soluzione è di farsi strada in
quella silenziosa giungla, in quel territorio isolato che appare ai loro occhi
impossibile da attraversare. A un certo punto il percorso riserva una sorpresa
decisamente inquietante.
McCollom osservò che gli indigeni stavano allineandosi dietro a un grande tronco caduto ad una ventina di metri di distanza. Secondo i suoi calcoli erano una quarantina, tutti maschi adulti. Margaret, in preda al panico, ne contò oltre un centinaio. Sulle spalle portavano delle asce di pietra aguzze e minacciose. Uno stringeva una lancia lunga e robusta. Le tremavano le mani. […] Aveva il cuore in gola. Il sorriso tirato. Decker sospirò: «Speriamo che almeno ci diano da mangiare prima di ucciderci…». McCollom si girò di scatto. Più che altro incredulo. Di colpo ci fu silenzio.[2]
Sono indigeni dalla pelle scura e
dai corpi resi lucidi dal “grasso di maiale” – forse cannibali - che tuttavia si dimostrano accoglienti e che accettano
il confronto con quegli esseri umani con abiti strani. Colgono immediatamente
le loro necessità primarie.
In quel luogo ignoto e arcaico, si stabilisce
gradatamente un’empatia tra il mondo primitivo (agli occhi dei tre militari) e
il mondo “civilizzato”, un contatto antropologico e sociologico tra due
universi apparentemente distanti e incomunicabili. Le leggende di quella tribù,
tramandate oralmente, raccontano di spiriti che abitavano nel cielo sopra la valle,
anime che secondo la tradizione, sarebbero ridiscese nel giorno del Giudizio.
Sono, forse, i nuovi ospiti?
Intanto, in tutt’altra parte del
mondo la notizia dello schianto ha già dato avvio alle ricerche del veicolo e
degli eventuali superstiti. Vengono organizzate spedizioni e inviati viveri e
medicinali. Dopo mille difficoltà si riuscirà a rintracciare il luogo del
disastro e a darne una prima comunicazione alla stampa. E qui entra in gioco la
sensazionalità della cronaca: le prime pagine dei rotocalchi riportano informazioni
enfatizzate sui presunti superstiti e sul loro salvataggio. Nulla viene
risparmiato. Si calca l’ondata della cronaca, accentuando modalità di recupero
e di salvataggio dei tre militari; le vendite sono assicurate e i protagonisti
vengono assorbiti in un vortice di notorietà, prima ancora di rimettere piede
nel loro paese natio.
E la storia diventa intensa
testimonianza, ma anche merce desueta, verità drammatica e fonte di guadagno,
scoperta di vie dapprima inaccessibili e luoghi con una precisa e nuova
delimitazione geografica; i tre protagonisti reduci da una straordinaria
avventura e da una terribile tragedia devono fare i conti anche con la sopravvivenza
morale futura; rinunceranno a cerimoniali eroici e a condivisioni forzate?
Un libro davvero straordinario,
scritto con una precisa aderenza ai fatti, una storia vera, frutto di una seria
indagine documentaria che coinvolge il lettore perché sente la verità di tutto
ciò che viene narrato. Una testimonianza che invita a riflettere anche sulla
condizione di chi sopravvive rispetto alla morte altrui per ciò che chiamiamo
destino, fatalità o percorso della vita stessa.
Era una terra bella e fertile, circondata dalle vette gigantesche dei monti Oranje e attraversata da un fiume color rame. Era la nostra Terra Promessa.[3]
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