Ripropongo
qui solo parte dell’ultimo capitolo del testo joyciano, quello del monologo
interiore di Molly Bloom. Un capitolo miracoloso e sensuale come pochi, perché
fa di un corpo un testo (o forse di un testo un corpo).
È la fine della
giornata e dal suo letto Molly ricorda: i suoi amanti, la sua Gibilterra natia,
suo marito Leopold. Non mera parodia del modello omerico, ma Penelope moderna, Molly
porta su di sé le bugie del tempo a cui appartiene e vive di passioni.
Esempio
di scrittura femminile (non per niente Hélène Cixous ha scritto di questo
capitolo come caso di linguaggio liberato dal discorso maschile), le parole di Molly
scorrono fluide sulla pagina e si susseguono per analogie e metonimie. Molly
ricorda - e nel ricordo scopre - il mondo oltre il suo letto attraverso un
accumulo descrittivo:
Dio del cielo non c'è niente come la natura le montagne selvagge poi il mare e le onde galoppanti poi la bella campagna con campi d'avena e di grano e ogni specie di cose e tutti quei begli animali in giro ti farebbe bene al cuore veder fiumi laghi e fiori ogni specie di forme e odori e colori che spuntano anche dai fossi primule e violette.
È
una donna carnale Molly, una soprano un po’ grassottella che va a letto col suo
manager e che non capisce di grecismi e di raffinatezze intellettuali
(Metempsicosi? “Oh sorbe! Diccelo in parole povere” aveva detto a Leopold nel
quarto capitolo). Il suo essere carne e donna macchia la pagina al punto che
durante il suo pensiero che scorre le arrivano le mestruazioni:
Aspetta Gesù aspetta ci siamo di nuovo non ci manca altro per forza con tutto quel razzolare e sgrumare e grufolare dentro di me ora cosa devo fare venerdì sabato domenica roba da sputar sangue ammenoché non ci trovi gusto qualcuno ce ne trova Dio lo sa che c’è sempre qualcosa che non va in noi 5 giorni ogni 3 o 4 settimane la solita svendita mensile
Molly
è esempio del ribaltamento di genere presente nel testo joyciano: se nel
capitolo di Circe Leopold aveva immaginato di essere una prostituta, ora è sua
moglie a reinventarsi sessualmente: ‘Dio non mi dispiacerebbe d’essere un uomo
e cavalcare una bella donna’.
Una metamorfosi continua è presente nel testo: alla
fine del suo monologo Molly stessa diventa natura (‘ero un Fior di Montagna’) e
contemporaneamente il luogo si fa donna (‘Gibilterra da ragazza’).
Un
capitolo che cambia allo scorrere dei ricordi, senza punteggiatura, ma cadenzato
da ‘yes’ martellanti e sempre più insistenti. Molly dice sì al suo passato e al
suo corpo, sì al suo mare, all’amore e alla vita. Con l’ultimo Sì, maiuscolo, conferma
la parola (‘yes I said’) e il volere femminile (‘yes I will’). Ma ‘will’ in inglese
non è solo il verbo che esprime una volontà, è anche l’ausiliare dei tempi
futuri. Un futuro circolare come il mare e come il mito quello di Molly, che
accoglie, che torna e che tornerà lei – Penelope fedifraga – dal suo Ulisse per
dargli ancora e ancora un’altra possibilità.
Oh e il mare il mare qualche volta cremisi come il fuoco e gli splendidi tramonti e i fichi nei giardini dell'Alameda sì e tutte quelle stradine curiose e le case rosa e azzurre e gialle e i roseti e i gelsomini e i gerani e i cactus e Gibilterra da ragazza dov'ero un Fiore di montagna sì quando mi misi la rosa nei capelli come facevano le ragazze andaluse o ne porterò una rossa sì e come mi baciò sotto il muro moresco e io pensavo beh lui ne vale un altro e poi gli chiesi con gli occhi di chiedere ancora sì e allora mi chiese se io volevo sì dire di sì mio fior di montagna e per prima cosa gli misi le braccia intorno sì e me lo tirai addosso in modo che si potesse sentire il petto tutto profumato sì e il suo cuore batteva come impazzito e sì dissi sì voglio Sì.
Serena
Alessi
Edizione di riferimento: James Joyce, Ulisse,
trad. di Giulio de Angelis (Milano: Mondadori 2009).
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