di Antonia Cosentino
Villaggio Maori, 2013
pp. 136
€ 13,00
Avevamo incontrato Antonia
Cosentino in quanto coautrice di Dividua.Femminismo e Cittadinanza.
La riflessione storica e femminista di questa giovane scrittrice catanese
continua con Al posto della dote,
uscito a dicembre 2013 per la Villaggio Maori Edizioni. Un saggio che nasce dal
lavoro svolto dalla Cosentino per la sua tesi di laurea, e che si traduce in
uno scritto godibilissimo da leggere, fruibile anche ai ‘non addetti al
lavori’.
Attraverso un uso consapevole e
maturo delle fonti, il libro ripercorre la storia delle Case delle Donne – della
loro presenza sul territorio o della loro assenza – attraverso cinque
esperienze italiane: Milano, Roma, Bologna, Pisa e Catania. Spazio femminile conquistato,
la Casa della Donna tramuta il luogo simbolo dell’isolamento femminile della
donna/angelo del focolare – la casa,
appunto – in luogo pubblico, dove far convergere esperienze e servizi.
Uno spazio poliedrico che rispecchi le capacità delle donne di lavorare contemporaneamente su più temi: informazione, salute, diritti; aperto alla contaminazione di tutte le donne, anche quelle non organizzare e apparentemente lontane; luogo di saperi, ma anche di servizi: biblioteche, centri di documentazione, sportelli di consulenza legale, consultori.
La Cosentino intervista le
protagoniste delle battaglie che hanno portato alla realizzazione delle Case
delle Donne, e – attraverso le loro parole e importanti inserti fotografici – lascia un
prezioso e unico contributo, punto di partenza di una questione su cui c’è
ancora tanto da ricercare e da dire. Battaglie non certo facili, condotte da
collettivi femministi che si sono scontrati con delle istituzioni non sempre
lungimiranti.
Le domande dell’autrice da un
lato indagano il percorso storico di queste conquiste, dall’altro interrogano le
relazioni tra le femministe degli anni Settanta e Ottanta e quelle che le Case
delle Donne le hanno ricevute in eredità, confermando così che quello del
passaggio della memoria è un tema cruciale della riflessione della Cosentino. L’esigenza della storica e l’esigenza della
femminista vanno di pari passo e si nutrono a vicenda fin dalle pagine di Dividua, e il risultato di questi due
discorsi è una commistione stilisticamente matura ma anche soggettivamente
inqueta. In quanto soggetto femminile la Cosentino si chiede quale sia il suo
posto oggi, quali gli spazi ricevuti e quali quelli per cui si deve ancora
lottare. Problema non facile quello del "passaggio di testimone", perché "a
troppe sembrano bastare le briciole" dice Edda Billi da Roma, mentra da Pisa Giovanna
Zitiello risponde che “è in un autentico ‘corpo a corpo’ tra femministe
storiche e nuove femministe che può aver luogo la ‘rivoluzione necessaria’”.
Ma lo spazio per compiere questa
rivoluzione non sempre è garantito, come nel caso di Catania, città che non ha
e non ha mai avuto una Casa della Donna. Le donne del Coordinamento per
l’Autodeterminazione della Donna di Catania rispondono in maniera collettiva
alle domande dell’autrice, analizzando le "ragioni della sconfitta" e giungendo
a conclusioni aperte che – attraverso le parole di Emma Baeri – rimettono in
gioco l’intera questione della Casa della Donna e del soggetto femminile
all’interno dello spazio pubblico.
Quale sarebbe oggi il senso di una Casa delle Donne in una società apparentemente normalizzata anche attraverso un uso diffuso, paradossalmente generico, di molte “politiche di genere”? […] Casa delle Donne per me oggi è sinonimo di Città, una città vista, pensata, governata dal punto di vista delle donne.
Una riflessione che si allarga,
quindi, e che – amaramente consapevole della frequente cecità delle amministrazioni
– ingloba altri problemi politici e civili dello spazio urbano ("penso ai
bilanci di genere" – dice l’autrice – "al monitoraggio della pubblicità
sessista con un codice deontologico per le affissioni, ai finanziamenti per i
centri antiviolenza e per i progetti di educazione di genere nelle scuole e
nelle università").
"La Casa della Donna /non l’aveva
mia nonna / l’avrà invece mia nipote / al posto della dote" gridavano le
femministe catanesi negli anni Ottanta. Un grido che rimane uguale e inascoltato
anche trent’anni dopo, uno slogan ripetibile oggi come allora. Forse la strada da percorrere per
cercare almeno in parte di colmare questa carenza, è quella di appropriarsi di
piccoli spazi – come del resto fanno a Catania la Cosentino, Emma Baeri e altre
femministe, che si riuniscono alla libreria Voltapagina – e da lì lavorare
per compiere quella "rivoluzione necessaria" per confermarsi (o imporsi
finalmente) come soggetto politico.
Serena Alessi
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