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"Delitto e Castigo" di Fëdor Dostoevskij

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Delitto e castigo
di Fedor Dostoevskij
Mondadori, 2012

€ 10,50
pp. 763

A volte l'uomo è straordinariamente, appassionatamente innamorato della sofferenza.
Delitto e Castigo si colloca fra quei romanzi che, seppur nati nella dimensione letteraria russa, sono riusciti ad assumere i caratteri dell'universalità e della trasversalità a livello internazionale.
Nel mio romanzo vi è inoltre un'allusione all'idea che la pena giuridica comminata per il delitto spaventa il criminale molto meno di quanto pensino i legislatori, in parte perché anche lui stesso, moralmente, la richiede.
Un classico d'altri tempi, tale in nome delle potenzialità riflessive in esso contenute e della capacità di rendersi psicologicamente e culturalmente attuale anche a distanza di quasi 150 anni.
Pubblicato da Fëdor Dostoevskij nel 1886, Delitto e Castigo, sulla scia di Ricordi dal sottosuolo e de I fratelli Karamazov, ci colloca nella condizione di osservatori esterni di una scena narrativa ben definita dal punto di vista spazio temporale, oltre che dal punto di vista dei personaggi e dell'intero contesto che la genera. Una situazione potenzialmente realistica, all'interno della quale l'autore russo porta avanti,con costanti e sottili riferimenti alla propria dimensione religiosa, una riflessione esistenziale inconsapevolmente necessaria per il lettore.


Gran parte della narrazione si svolge nel corso di un'estate pietroburghese particolarmente calda. Protagonista degli eventi, narrati in terza persona e al passato, è Rodion romanovic Raskol'nikov, o semplicemente Raskol'nikov, un giovane studente di 23 anni, di bell'aspetto e condizioni economiche non agiate, che ha deciso di abbandonare il suo percorso di studi in legge più per pigrizia che per mancanza di capacità.
La condizioni fisica, economica e sociale del protagonista risulta determinante per comprendere, nel corso dell'intero romanzo, i motivi che lo portano a compiere il gesto inconsueto, e solo in parte impulsivo, che di fatto rappresenta il motore narrativo del libro: l'omicidio, premeditato, nei confronti di Alëna Ivanovna la vecchia usuraia, proprietaria, fra le altre cose, della stanza in cui vive Raskol'nikov:
 La donna che gliel'aveva affittata, compresi il vitto e il servizio, abitava da sola nell'appartamento un piano più in basso, per cui il giovane, quando usciva di casa, doveva inevitabilmente passare davanti alla cucina la cui porta era quasi sempre spalancata. E ogni volta che passava davanti a quella porta avvertiva una sensazione di malessere e di profondo fastidio di cui provava vergogna e che gli contraeva il volto i nuna smorfia. Dovendole dei soldi faceva di tutto per non incontrarla.

E quello, contemporaneo ma imprevisto, nei confronti di Lizaveta Ivanovnasorella più giovane di Alëna, ritrovatasi nel posto sbagliato al momento sbagliato.

La meticolosa preparazione dell'omicidio nei confronti di Alëna cui si assiste nei primi capitoli, ci presenta un Raskol'nikov sicuro, intenzionato a compiere il reato e, soprattutto, motivato da ragioni etiche e di ingiustizia sociale che, egli ne è convinto, gli permetteranno di riuscire a sopportare le conseguenze delle sue azioni.
La vecchiarella è una bazzecola! – pensava con foga ed a scatti. – La vecchia sarà stata un errore, ma non è di lei che si tratta! La vecchia è stata soltanto una malattia... io volevo al piú presto scavalcare l'ostacolo... io non ho ucciso una persona, io, io ho ucciso un principio! Il principio, sí, l'ho ucciso, ma quanto a scavalcare, non ho scavalcato, son rimasto da questa parte... soltanto uccidere ho saputo. E anche quello non l'ho saputo fare, si vede... Un principio? Per che cosa quello stupidello di Razumichin poco fa criticava i socialisti? Sono gente laboriosa e trafficante; si occupano della "felicità generale"... no, a me la vita è data una volta sola e poi non l'avrò mai più: io non voglio aspettare la "felicità universale". Voglio vivere anch'io, se no è meglio non vivere addirittura. [...] 

Nei capitoli successivi all'evento tuttavia, fanno scricchiolare fin da subito i muri fermi delle convinzioni del protagonista che, di fatto, diventa vittima di se stesso e somatizza in tutte le forme possibili il suo senso di colpa. Angoscia, rimorsi, paure, pentimento, tormenti e continue turbe mentali, si uniscono ad una condizione psicologica devastante e irrimediabilmente invasa dal timore di dire, fare e addirittura pensare qualcosa, qualsiasi cosa, per timore di essere scoperto.

Egli aveva compiuto quel delitto convincendosi del fatto che fosse per una giusta causa, aveva preventivato di utilizzare il denaro e gli oggetti rubati alla defunta usuraia per fare del bene e redimere la sua colpa. Giorno dopo giorno, invece, si renderà conto di quanto questa condizione lo logori e darà avvio a quella profonda analisi esistenziale di cui il lettore è partecipe e protagonista insieme.
La colpa si potrà espiare solo attraverso la sofferenza e il dolore più profondi e di questo Raskol'nikov, prenderà consapevolezza soltanto più tardi. Forse troppo tardi...

Ad articolare le vicende di cui Raskol'nikov è protagonista c'è, poi, una lunga serie di personaggi di contorno, quindi di storie parallele, che si intrecciano con quella principale aiutandone lo svolgimento.
Fra questi, un ruolo di primo piano va senz'altro riservato alla famiglia di Raskol'nikov, rappresentata da sua sorella Avdotja Romanovna Raskolnikova, detta anche Dunja o Dúnečka, e da sua madre Pulkherija Aleksandrovna Raskolnikova, entrambe speranzose di risolvere le loro difficoltà economiche con il matrimonio fra Dunja e Pëtr Petrovič Lužin. 
Avvocato, di buona famiglia, benestante e apparentemente innocuo, Lužin immagina la sua unione con Dunja come un atto di beneficenza, piuttosto che d'amore, nei confronti di chi non gode delle sue stesse condizioni economiche. In realtà, dietro il suo "viso d'angelo" si nasconde l'animo perverso e meschino del dominatore.  Rakol' nikov non riesce a sopportarlo e intuisce fin dalle prime parole ricevute per lettera da parte di sua madre, che Lužin non è esattamente quello che invano finge di essere.

L'esito di un colloquio volto a mettere “pace” fra i due, quindi a “benedire” l'unione fra Lužin e Dunja, si rivelerà fatidico nel mostrare che Raskol 'nikov aveva ragione. L'uomo verrà pertanto allontanato sia da Dunja che da sua madre finendo per rappresentare, all'interno del romanzo, una sorta di alter ego per Raskol'nikov. Rispecchiandone alcuni caratteri, in senso fortemente negativo, come ad esempio la volontà di fare del bene per gli altri, anche Lužin parteciperà, insieme con tutti gli altri personaggi, al processo di redenzione del protagonista.

Raskol'nikov dunque, all'indomani del duplice omicidio, scopre il complesso dinamismo psicologico che domina la sua vita, le sue emozioni, la sua passione e le sue colpe, e non riesce a mantenerne il controllo. Non prima dell'incontro con Sonjia, una ragazza giovane, povera, costretta a prostituirsi per provvedere a sua madre (malata di tisi) e ai suoi fratellastri, ma ricca nell'animo e nel cuore, animata dalla fede profonda e da un amore puro nei confronti di Dio. La sua fiducia totale nel Signore, la speranza della salvezza e della redenzione cristiana saranno gli elementi che consentiranno a Raskol'nikov di trovare una sua “pace”.



Attraverso l'amore per lei , Raskol'nikov ritroverà l'amore nei confronti della sua vita, riscoprirà lentamente la sua fede, deciderà di costituirsi, di scontare la sua pena in Siberia e, soprattutto, di riscattare il suo futuro insieme a Sonjia pronta a seguirlo ovunque.

Rakol'nikov, un aspirante avvocato, di levatura intellettuale considerevole che, seppur interiormente propenso al bene e vicino alla dimensione cristiana, è dominato da una rabbia tale nei confronti della società che lo circonda, da condizionare la sua vita, le sue abitudini e le sue convinzioni, in senso negativo, e arrivare a compiere un gesto inconsulto e totalmente privo di logica...Morale. Questo è Raskol'nikov.

All'origine delle dinamiche interne al romanzo non vi è quindi la “semplice” ricostruzione di un delitto e delle sue conseguenze ma, più in generale, la ricostruzione di un evento peccaminoso in grado di generare riflessioni e pensieri estendibili a livello esistenziale, religioso, morale, giuridico, psicologico e anche politico.

In Delitto e Castigo non si trova una ragione, una risoluzione definitiva; non ci si interroga sul perché del delitto, ma sul come l'autore del delitto si comporta a partire dall'istante successivo al delitto. Si studiano le sue reazioni e ci si specchia nei suoi occhi, partecipi di una sofferenza che, seppur non originata da un atto grave quanto un delitto, può appartenerci e avere su di noi le stesse conseguenze, se non anche più gravi. 
Ne deriva una lettura scorrevolissima, piacevole, intrigante e curiosa; capace di lasciarci in balia del nuovo e dell'imprevisto al pari di un giallo ma in termini decisamente superiori. 


Lettura come analisi di una storia, la nostra storia, e come comprensione, metabolizzazione dei propri sbagli, dei propri errori; lettura come bilancio di quello che si è, di quello che si è stati, di quello che si è fatto o meno, di quello che non si è.  

La sofferenza cristiana, pertanto, pur imponendosi come chiave di lettura principale del romanzo di Dostoevskij, non è l'unica e va necessariamente fatta interagire con una serie di spiegazioni e di complessi ragionamenti di stampo freudiano, se vogliamo, in grado di mantenere viva l'attualità del libro oltre che di aumentarne il valore storico letterario. 
Nel mio romanzo vi è inoltre un'allusione all'idea che la pena giuridica comminata per il delitto spaventa il criminale molto meno di quanto pensino i legislatori, in parte perché anche lui stesso, moralmente, la richiede.
Delitto e castigo è un invito a misurarsi con le proprie paure, i propri errori, con la società, la legge, il mondo, perché si pone nei termini polivalenti del romanzo psicologico e introspettivo, del giallo, della storia d'amore, dell'individualismo, dell'egoismo, della fede cristiana e di tutto quanto possa contribuire a far comprendere al lettore che la colpevolezza e l'errore appartengono all'animo umano, tanto quanto ad esso appartengono l'intelligenza, il sentimento, la capacità di imparare, di chiedere scusa, di perdonare e di redimersi  anche a costo di perdere quella che tutti chiamiamo vita.