Pulizie di primavera "letterarie", dal libro d'ore di Marguerite d'Orléans (1)
L'idea che un libro, inteso come oggetto fisico (il supporto) e come prodotto intellettuale (il testo), possa avere un valore non è più tanto scontata. Puoi accendere il computer, andare su uno dei tanti portali che mettono a disposizione e-book di opere su cui non vige più il diritto d'autore et voilà, sul tuo schermo appare un'edizione di ottima qualità, per citare un titolo a caso, dei Malavoglia di Giovanni Verga. Pigiando sullo schermo del tuo e-reader puoi acquistare un volume a tua scelta per pochi euro, e puoi sempre lamentarti che costi troppo, perché suvvia, è sempre un libro digitale, mica il cartaceo. Puoi scovare su una bancarella quel classico nella vecchia tascabile Newton Compton a mille lire, contrattare per averlo a un euro, se la giornata è propizia puoi avere un tre per due: conosco persone che leggono solo libri acquistati così, edizioni curate da nomi oscuri, economiche dimenticate, titoli scomparsi dagli scaffali. Puoi aspettare che un bestseller esca in economica, perché quel libro vuoi leggerlo, ma francamente un cartonato è eccessivo. E invece no, quel titolo lì lo vuoi adesso, subito, nella gloria delle sue fascette e sovraccoperte scintillanti, dritto dalla pila delle novità editoriali. Ma ci si può spingere anche oltre...
Libro d'ore delle Dame di Oudenaarde (2) |
Questa parentesi, romantica, se volete, racconta soltanto la parte di un mondo. Perché ce n'è un'altra, un po' più misteriosa e voluttuosa, fatta di pagine così belle da valere migliaia di dollari, di volumi così preziosi da essere venduti all'asta come opere d'arte. Il caso più famoso, se si fa eccezione di certe pagine d'autore, è rappresentato dai cosiddetti libri d'ore.
I libri d'ore sono manoscritti, prodotti durante il medioevo e la prima età moderna, che contengono preghiere, scandite, per l'appunto, secondo le horae della giornata, come voleva la consuetudine medievale, dalle lodi mattutine a compieta (passando per i ben più noti vespri). Ma la particolarità di questi volumi non è il loro contenuto testuale. Le parole, in un certo senso, contano poco, e questo racconta tanto di un'epoca in cui possedere un libro era un raro privilegio, un tesoro inestimabile, e il libro era un oggetto - sì, un oggetto - tanto prezioso che, se una donna possedeva un manoscritto, lo inseriva tra i beni portati in dote o nel proprio testamento. Tra tutti i manoscritti - forse soltanto i salteri, le raccolte di salmi, possono contendere il podio - i libri d'ore sono i prodotti più preziosi: ogni pagina è una vera opera d'arte, intessuta di miniature coloratissime e in filigrana d'oro, di dimensioni così piccole da far invidia all'arte orafa. Questi libri erano commissionati da regine, duchesse, donne di alto rango, che non disdegnavano di ammirare, tra una preghiera e l'altra, profili di amanti e giochi nei giardini, animali fantastici, giochi floreali dipinti su pergamena. Sono gli stessi elementi che forniscono, a distanza di oltre cinquecento anni, un mercato - non sempre legale - a questi manoscritti.
Che ci sia un mercato nero di manoscritti non è una sorpresa: così come i quadri, questi preziosi volumi appaiono e scompaiono dai cataloghi delle biblioteche da secoli. Come mi ha detto una volta una bibliotecaria, poteva (può) capitare che a un certo punto, volumi di un certo pregio... sparissero (spariscano). E non stupisce, certo, ma fa inorridire, un'altra pratica: quella di smembrare i manoscritti, di staccarne cioè le carte miniate per venderle come prodotti separati. Una pratica, badate bene, non illegale. La biblioclastia (letteralmente: distruzione di libri) è stata in uso in ambienti accademici almeno fino agli anni Quaranta del Novecento: a questo periodo risale l'allestimento del "Fifty Original Leaves from Medieval Manuscripts" dello storico dell'arte Otto Ege, che ritagliò, per l'appunto, una cinquantina di carte miniate da manoscritti medievali di una sua collezione per allestire un portfolio per educare a un più puro senso estetico il mondo editoriale con cui aveva continui contatti. La cosa, certo, fa accapponare la pelle, adesso che disponiamo di photogallery e manoscritti digitalizzati: resta però il fatto che, a tutt'oggi, soltanto per una piccola parte di quei fogli è stato individuato il manoscritto di provenienza (qui qualche informazione in più, e qui, per farvi un giretto negli States).
Che ci sia un mercato nero di manoscritti non è una sorpresa: così come i quadri, questi preziosi volumi appaiono e scompaiono dai cataloghi delle biblioteche da secoli. Come mi ha detto una volta una bibliotecaria, poteva (può) capitare che a un certo punto, volumi di un certo pregio... sparissero (spariscano). E non stupisce, certo, ma fa inorridire, un'altra pratica: quella di smembrare i manoscritti, di staccarne cioè le carte miniate per venderle come prodotti separati. Una pratica, badate bene, non illegale. La biblioclastia (letteralmente: distruzione di libri) è stata in uso in ambienti accademici almeno fino agli anni Quaranta del Novecento: a questo periodo risale l'allestimento del "Fifty Original Leaves from Medieval Manuscripts" dello storico dell'arte Otto Ege, che ritagliò, per l'appunto, una cinquantina di carte miniate da manoscritti medievali di una sua collezione per allestire un portfolio per educare a un più puro senso estetico il mondo editoriale con cui aveva continui contatti. La cosa, certo, fa accapponare la pelle, adesso che disponiamo di photogallery e manoscritti digitalizzati: resta però il fatto che, a tutt'oggi, soltanto per una piccola parte di quei fogli è stato individuato il manoscritto di provenienza (qui qualche informazione in più, e qui, per farvi un giretto negli States).
Un libro d'ore smembrato nel 2010-2013 (Elaine Treharne) |
Ma ci sono fatti ben più recenti, che hanno attirato anche l'attenzione della stampa internazionale. Nel gennaio di quest'anno un articolo del New Yorker ha ricostruito la storia di un libro d'ore. La vicenda in breve è andata così: il volume, transitato in diverse case d'asta, è stato venduto da Sotheby's a 25,000 sterline (più di trentamila euro) nel 2010 a un anonimo compratore. Finisce infine alla Stanford University, sulla scrivania di Elaine Treharne. La docente pensa in un primo momento che il manoscritto sia stato smembrato, per l'appunto, proprio nell'età d'oro della biblioclastia. Una ricerca negli archivi delle case d'asta rivela però che il manoscritto sembrava completo al momento della vendita: lo smembramento del codice dev'essere dunque avvenuto subito dopo la vendita nel 2010, periodo in cui, con sua enorme sorpresa, la docente (che ha documentato la scoperta sul suo blog nel novembre 2013) scopre peraltro che alcune gallerie d'arte hanno messo in vendita su eBay proprio carte tratte da quel libro d'ore.
Ecco le prove, citate dall'articolo di Ben Mauk (New Yorker, 7 gennaio 2014) |
Non ci vogliono grandi calcoli per capire che vendere singolarmente ciascuna carta permette di guadagnare molto più che vendere un intero manoscritto. Resta un dato fatto, tuttavia, che oggetti che sono in tutto e per tutto parte del patrimonio culturale della civiltà occidentale vengono così irrimediabilmente distrutti: come se della Cappella Sistina pian piano fossero staccati dei pezzetti per farne dei quadretti da salotto. Chi è favorevole questa pratica adduce come obiezione il fatto che il libro è un oggetto mobile, che i libri si distruggono, smembrano e ricompongono press'a poco dall'invenzione della scrittura. Certo, aggiungiamo noi, c'è qualche piccola differenza tra un monaco medievale che, per carenza di pergamena, raschiava le pagine dei codici che reputava inutili per scriverci sopra dell'altro, o che staccava qualche carta per proteggere codici più importanti, e l'antiquario che distrugge un manoscritto per poterlo immettere più facilmente (e con un significativo profitto) sul mercato... dopo che la comunità civile, negli anni, ha compiuto difficili passi nella definizione del patrimonio artistico, dei beni culturali e, specialmente, nella necessità della loro tutela.
(1) Parigi, Bibliothèque nationale de France, ms. Lat. 1156B, c. 135r.
(2) Utopia, armarium codicum bibliophilorum, Cod. 104, p. 14r.
(2) Utopia, armarium codicum bibliophilorum, Cod. 104, p. 14r.
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