Nell’immaginario collettivo, il poeta romantico di primo
Ottocento ci appare forse un poco stereotipato nella figura dell’artista
tormentato e ispirato in contemplazione di una natura selvaggia e solitaria,
spesso ai margini di un mondo a lui contemporaneo che non ne comprende la
carica poetica e lo mortifica con i nuovi ideali dell’utilitarismo che vengono
applicati ad ogni aspetto della vita umana.
In Inghilterra la comparsa dei
primi poeti identificati in seguito come romantici, quella prima generazione
composta ad esempio da Wordsworth e Coleridge (la cui prefazione alla seconda
edizione pubblicata nel 1800 delle Lyrical
Ballads è tradizionalmente considerata appunto come manifesto del
Romanticismo) e soprattutto la generazione successiva - con Shelley, Byron e
Keats - si muove in un mondo complesso, età di rivoluzioni, fervente dibattito,
istanze democratiche ed enormi mutamenti sociali uno su tutti la prima fase
della rivoluzione industriale che investe il Nord del Paese e che genera
enormi mutamenti sulla struttura e la
mentalità stessa della società inglese tra la fine del Settecento e il primo
Ottocento.
Ognuno di questi grandi poeti meriterebbe di trovare qui lo
spazio dovuto a quei giganti della letteratura che come pochi hanno saputo
attraversare epoche e luoghi e giungere fino a noi con i loro versi ancora
intatti e potenti, di quella forza che è concessa solo a pochi.
Oggi, San Valentino, scegliamo di lasciarci trasportare
dalle meravigliose parole di Keats poeta amatissimo dalle generazioni
successive e da pochi stimati contemporanei appartenenti alla sua cerchia (i
quali lo ritenevano a ragione una promessa della poesia inglese), che nel
brevissimo tempo della sua vita ha consegnato ai lettori pagine immortali,
capaci ancora oggi di toccare le più profonde corde del nostro cuore.
Considerato uno dei maggiori poeti in lingua inglese, come è noto non conobbe
in vita che una millesima parte del successo che pochi decenni dopo la sua
scomparsa gli sarebbe stato riconosciuto; figlio di un’umile famiglia
proprietaria di una locanda a Londra, grazie ai sacrifici del padre riesce ad
essere ammesso in una buona scuola dove si concentra sullo studio dei classici
e della storia, scoprendo un precoce interesse per la letteratura inglese
rinascimentale, soprattutto per Spenser che diventerà uno dei modelli di
riferimento nella sua produzione poetica. Ma la prematura scomparsa dei
genitori lascia i ragazzi Keats in una situazione di povertà per ovviare alla
quale John, il maggiore che allora aveva 14 anni soltanto, sceglie di mettere
da parte gli studi classici e diventare apprendista di un farmacista e chirurgo
allo scopo di intraprenderne un giorno la professione. I problemi economici lo
tormenteranno tutta la vita, insieme alla malattia che presto lo colpisce: uno
dei fratelli muore infatti di tubercolosi e probabilmente è nel prendersi cura
assiduamente di lui che poco dopo anche John inizia a manifestare i primi
sintomi di quella malattia che in pochi anni lo ucciderà. Frattanto, il lavoro
come farmacista si fa sempre più oppressivo per Keats che parallelamente agli
studi medici presso un ospedale di Londra non aveva mai smesso di dedicarsi
alla poesia, scoperta in giovanissima età e da allora sempre più viva dentro di
lui; divorato dal fuoco sacro dell’arte, sceglie quindi di abbandonare la
professione di farmacista per dedicarsi completamente alla composizione
poetica, nonostante le prime opere pubblicate abbiano ricevuto pesanti
stroncatura da parte della critica ma incontrando allo stesso tempo il favore
di quella piccola cerchia di amici artisti che come si accennava ne intuiscono
immediatamente il talento, individuando in lui la promessa della nuova scuola
poetica dei romantici. Trasferitosi alla periferia di Londra con il poeta ed
amico Charles Brown per dedicarsi totalmente alla sua arte, compone e pubblica
in questi anni (tra il 1810 e il ’20) la maggior parte dei suoi lavori tra cui
il poemetto Endymion, anch’esso duramente stroncato dalla critica. Quella casa
immersa nella natura è anche il luogo dove, insieme alla più fervida
ispirazione compositiva, scopre l’amore: l’incontro con Fanny Brawne da nuovo
impulso alla vena creativa di Keats e in breve i due si fidanzano, nonostante
le ristrettezze economiche del giovane poeta e soprattutto dell’aggravarsi
della malattia. A questo periodo della vita del poeta è dedicato il bel film
Bright Star (2009) di Jane Campion, con protagonisti Ben Whishaw ed Abbie
Cornish, in cui natura, musica e struggimento si fondono perfettamente con
alcuni dei più celebri versi del poeta.
Il finale della breve vita di Keats è tragicamente noto: su
consiglio di dottori e amici a lui molto affezionati, si prepara ad un
soggiorno in Italia dove spera di riacquistare le forze per superare la
malattia; ma giunto nei pressi del golfo di Napoli la nave sulla quale è
imbarcato è costretta a restare bloccata nel porto 40 giorni in seguito allo
scoppio del colera e quando infine giunge a Roma non è il dolce autunno
mediterraneo ad accoglierlo ma l’inverno, che porta all’aggravarsi della
sofferenza di Keats. Poco dopo muore quindi di tubercolosi, poche lettere
avvisano i suoi cari amici della prematura scomparsa del poeta; sulla lapide
nel cimitero inglese di Roma l’epitaffio cita:
« This grave contains all that was mortal, of a YOUNG ENGLISH POET, who on his death bed, in the bitterness of his heart, at the malicious power of his enemies, desired these words to be engraven on his tombstone: Here lies one whose name was writ in water »[1]
Ma il suo nome e soprattutto le sue parole restarono invece
scolpite nella pietra, così come la sua figura che più di altri incarna
l’ideale del poeta romantico, completamente dedito all’arte anche nei giorni
più bui. È infatti la poesia per Keats l’unico mezzo in grado di aiutarci a
tollerare le cose spiacevoli dell’esistenza e ricavarne quindi bellezza. Essa ha
un potere salvifico assoluto: spesso è sacrificio e sofferenza per la mancanza
di riconoscimenti ma anche per l’ambivalenza che genera nel poeta diviso tra
amore borghese e dedizione all’arte e allo stesso modo colpevole, la poesia, di
sviare dal quotidiano che diventa così nel confronto con l’arte solo una
macchia grigia sullo sfondo. È una poesia complessa, a tratti oscura, difficile
da rendere in traduzione, attraversata da profonda musicalità e spesso di
conseguenza ricca di enjambement con versi che è impossibile contenere, parole inconsuete e neologismi, predominanza
della musicalità sulla regola sintattica.
Esemplare di tale complessità poetica e del significato
della poesia stessa per Keats, è l’incipit di Endymion, il poemetto in
pentametro giambico ripreso dalla tradizione teatrale shakespeariana ma adattato
al distico rimato (una tipologia metrica di lunga tradizione nella storia
poetica inglese, usato per esempio anche da Chaucer nei Canterbury Tales) e
anche questo stravolto dalla creatività di Keats che non può limitare la frase
ad un singolo distico, ma la lascia libera di strabordare:
A THING of beauty is a joy for ever:
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Its loveliness increases; it will never
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Pass into nothingness; but still will keep
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A bower quiet for us, and a sleep
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Full of sweet dreams, and health, and quiet
breathing.
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Therefore, on every morrow, are we wreathing
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A flowery band to bind us to the earth,
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Spite of despondence, of the inhuman dearth
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Of noble natures, of the gloomy days,
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Of all the unhealthy and o’er-darkened ways
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Made for our searching: yes, in spite of all,
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Some shape of beauty moves away the pall
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From our dark spirits. Such the sun, the moon,
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Trees old and young, sprouting a shady boon
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For simple sheep; and such are daffodils
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With the green world they live in; and clear rills
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That for themselves a cooling covert make
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’Gainst the hot season; the mid forest brake,
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Rich with a sprinkling of fair musk-rose blooms:
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And such too is the grandeur of the dooms
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We have imagined for the mighty dead;
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All lovely tales that we have heard or read:
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An endless fountain of immortal drink,
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Pouring unto us from the heaven’s brink.
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Se la poesia non ha il potere di cambiare il mondo (come invece era convinto Shelley) essa è tuttavia capace di donarci qualcosa di altrettanto meraviglioso: nonostante tutte le cose che non vanno, la poesia è infatti quella «thing of beauty» che è una gioia per sempre, capace di rendere questo mondo tollerabile, alleviando la pena dell’esistenza, diventando per noi rifugio tranquillo e sonno pieno di dolci sogni. E proprio Endymion sarà oggetto delle più pesanti critiche da parte dei recensori del tempo, opera attaccata con egual ferocia da entrambe le parti, whig e conservatori. Tra i progressisti è John Lockhart[2] il più accanito che prende in giro il giovane poeta per essere stato anch’egli contagiato dalla “metromania” dilagante in quegli anni e che non risparmia davvero nessuno, dai domestici alle signore non sposate, perfino un uomo come lui di scarsa cultura classica che avrebbe fatto meglio a proseguire nella professione di farmacista. Lockhart, sprezzante, chiama Keats e quelli della sua cerchia «cockney rhymesters» poetastri che senza diritto (di istruzione, ma anche di classe) osano scrivere poesie spingendosi perfino a riprendere un argomento classico come quello del bellissimo pastore Endimione amato da una divinità, un mito antico deturpato da qualcuno che poco conosce della cultura greca e classica. Nella critica di Lockhart, progressista moderato che ci tiene a distinguersi socialmente dal gruppo di Keats e secondo cui il progresso doveva essere portato da aristocratici illuminati, il senso di classe è estremamente forte e influenza il giudizio sull’opera del giovane poeta. Ma non è solo l’estrazione sociale a costare a Keats feroci stroncature; per altri critici, come John Croker[3] (conservatore) ad esempio il giudizio negativo si basa strettamente sulle scelte stilistiche da lui operate soprattutto su quell’oscurità che rende incomprensibili i versi, l’uso di parole inconsuete e al limite della correttezza sintattica.
Profondamente scosso dalle critiche ricevute e indebolito
nel fisico a causa della malattia, l’estro creativo di Keats tuttavia non si
arresta, spaziando da un tema all’altro, da una forma ad un’altra, ispirato
dall’amore per la giovane Fanny e per la poesia stessa, dal gusto antiquario
tanto in voga al tempo insieme all’interesse romantico per il medioevo inglese
di cui esempio poetico è la forma della ballata, che Keats prende a modello per
esempio in La belle dame sans merci (anche questa lirica recitata in Bright
Star):
Dal genere medievale Keats riprende il topos misogino
dell’amore che svilisce l’uomo, incarnato dalla Dame bella e crudele che con il
suo fascino ammalia i cavalieri allontanandoli dalle loro imprese; topos in cui
vi possiamo leggere l’ambivalenza del giovane poeta di fronte ai sentimenti per
Fanny, tra slancio sentimentale e timore per ciò che un amore borghese può
sottrarre alla sua vena poetica (in termini pratici anche, con una moglie a cui
pensare sarebbe dovuto tornare probabilmente alla professione di farmacista,
economicamente più sicura rispetto a quella del poeta sfortunato). Ma possiamo
leggerla anche in modo contrario, pensando che la Belle Dame sia invece la
Poesia che allontana dalla semplice e chiara vita quotidiana mediante l’incanto
dei suoi versi strani e ammaliatori capaci di rendere di conseguenza il mondo
un posto grigio. La tensione del rapporto arte/vita traspare quindi in tutta la
ballata ed è evidente in molte altre opere di Keats: se l’arte, la poesia,
rende tollerabile la vita e la arricchisce con la sua bellezza è anche vero
però che sembra svuotarla di significato e trovare un compromesso tra questi
due mondi risulta davvero arduo, soprattutto nel breve tempo dell’esistenza del
poeta romantico.
Non ci è dato sapere quale sarebbe stata la scelta di Keats,
se cedere all’amore o all’arte o se ad un possibile compromesso fra i due
sentimenti; nel giorno degli innamorati (ma anche negli altri 364 in fondo),
personalmente scelgo di pensare che una cosa non avrebbe escluso l’altra, che
la passione per Fanny alimentava una già brillante creatività di nuovo fuoco e
che il poetastro di Lockhart di lì a poco avrebbe conosciuto il favore del
mondo, grazie anche a versi come questi:
BRIGHT Star! would I were steadfast as thou art—
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Not in lone splendour hung aloft the night,
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And watching, with eternal lids apart,
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The moving waters at their priestlike task
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Of pure ablution round earth's human shores,
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Or gazing on the new soft fallen mask
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Of snow upon the mountains and the moors:—
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No—yet still steadfast, still unchangeable,
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Pillow'd upon my fair Love's ripening breast
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To feel for ever its soft fall and swell,
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Awake for ever in a sweet unrest;
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Still, still to hear her tender-taken breath,
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And so live ever,—or else swoon to death.
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Debora Lambruschini
[1]
«Questa tomba contiene tutto quanto resta di mortale di un giovane poeta
inglese che sul letto di morte, nell’amarezza del suo cuore, di fronte al
potere maligno dei suoi nemici, desiderò che fossero incise queste parole sulla
sua lapide: Qui giace qualcuno il cui nome era scritto nell’acqua»
[2]
Per la stroncatura di Lockhart, vedi l’articolo “Cockney school of poetry”
pubblicato sul Blackwood’s Edinburgh Magazine
[3]
Giudizi espressi nella recensione apparsa sul Quarterly Review
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