Sarà perché ci sente un po’ come la protagonista, tra storie
finite, nuovi posti di lavoro e traslochi vari, ma Adelante, il romanzo
d’esordio della genovese Silvia Noli, è un libro che sembra riuscire a donare un po’
comprensione, un po’ sollievo. Non a caso, se son cozze si apriranno si legge nell'epigrafe.
Sono pagine quasi comiche se si prova ad immaginare la giovane protagonista catapultata da un lavoro all’altro,
dalla rappresentante di surgelati alla baby sitter di un bambino autistico alla
massaggiatrice e tanti amori impossibili. Per non parlare delle case cambiate
di continuo: l’appartamento di Mario l’argentino nel centro storico, un attico,
un bed&breakfast, i vari alloggi in
cui condivide disgrazie con Silvestro il siciliano .
Ma c’è anche tanta ironia in Adelante, quell’ironia che serve a sdrammatizzare
i momenti più dolorosi provando a riderci su anche quando le cose iniziano
davvero a mettersi male.
C’è una situazione familiare dalla quale ci si cerca di liberare, l’urgenza di
un lavoro senza poter contare su nessuno, l’instabilità emotiva, i problemi
alimentari, il freddo, una malattia. Un ritratto che, nonostante il piacere di
queste pagine, riesce a far sentire che cosa si provi davvero a doversela
cavare da soli. Sensazioni che forse non tutti conoscono sul serio malgrado la
tendenza a rispecchiarsi nelle vicende della protagonista.
Adelante, Rossa Consuelo! Sempre avanti e quando la buriana sembra passata
arriva il bisogno di capire. E chissà che l’esperimento di riappacificarsi con
se stessi non sia riuscito. Il romanzo è infatti un viaggio a ritroso della
protagonista allo scopo di dare un senso e una collocazione al passato grazie
all’aiuto di una psicologa, Daniela, che la sprona a scrivere e scrivere fino a che
le parole si fanno sempre più leggere e la rabbia si plachi
Il romanzo di Silvia Noli invita ad affrontare la vita respirando passo dopo passo non risparmiando la durezza che ogni prova da sostenere, ogni traguardo da raggiungere, ogni sogno in cui credere portano con sé.
E intanto che scrivevo un po’ ho lasciato andare, un po’ mi sono guardata intorno (‘azzo quanti siamo), e ci ho messo così tanto a concludere perché avevo paura.E perché, abbiamo detto, quando si abbandona una storia, un modo d’essere, una veste, si soffre sempre per via dell’attaccamento. Ci si attacca al dolore.Il dolore è un ottimo paraculo, e sguazzare nel solito brodo è una manna per chi non ha il coraggio di cambiare e preferisce sempre dare la colpa agli altri, alla storia, al destino. Tipo io. Che mi arrabatto perché ho paura. Che non faccio ciò che mi piace perché ho paura. Che non so amare perché ho paura. Che mi stringo addosso il peso del passato perché ho paura di essere leggera, e quindi libera [...]