La dignità ferita
di Eugenio Borgna
Feltrinelli, 2013
L'ultimo volume pubblicato dal professor Eugenio Borgna (primario emerito di Psichiatria a Novara e libero docente presso l'Università di Milano)
traccia - con la consueta, acuta, sensibilità e con esemplare attenzione a vari
e arricchenti contributi letterari - una mappa delle ferite apportate
alla dignità umana, “in emblematiche situazioni fenomenologiche e
antropologiche, come quelle della malattia, della solitudine e
dell'immigrazione”, ma anche negli stati d'animo più fragili e nei momenti emotivi di più scalfibile
sofferenza, quali le attese deluse, le speranze infrante, le terrificanti
risonanze dell'ignoto, o lo spettro nullificante della depressione. Seguendo
l'intuizione offerta dal titolo di un volume di Simone Weil (L'ombra e la
grazia), Eugenio Borgna indaga sia la pesantezza del dolore, della sventura,
della malattia mentale, sia le “stimmate luminose” della grazia, nelle
declinazioni in cui essa sa offrirsi e consolarci: gentilezza, mitezza, sorriso
e lacrime. E in questa sua esplorazione
degli “abissi dell'anima” si avvale della testimonianza della poesia, che più
delle gelide e spesso indifferenti indagini psichiatriche, è in grado di
descrivere “il cammino friabile e oscuro” di ogni sofferto sentire umano:
quindi i versi di Leopardi, Hölderlin, Rilke, Dickinson, Montale, Celan, Sachs
sono alternati a riflessioni altrettanto emotivamente partecipi di grandi filosofi,
medici, mistici come Sant'Agostino, Kierkegaard, Heidegger, Guardini,
Binswanger, Hillesum, Bonhoeffer, e della stessa Simone Weil. Proprio la
letteratura, con il suo “linguaggio rabdomantico e fosforescente” può
consentire alla psichiatria di avvicinarsi al senso profondo della vita,
esprimendo “l'inconoscibile e l'inesprimibile” di ogni oscura e tragica
esperienza esistenziale.
Le tre parti in cui si articola
il volume (dignità lacerata, dignità perduta, dignità salvata) affrontano da diverse e complesse
prospettive i molteplici modi in cui la dignità di una persona può essere
sfregiata dalla noncuranza, dall'egoismo, o addirittura dalla crudeltà e dal
sadismo del mondo: ma anche in che maniera questa stessa dignità ferita possa
venire curata e portata in salvo.
Nella prima parte, Eugenio Borgna
si confronta con gli elementi formali, filosofici e giuridici che definiscono
le fondazioni etiche dei diritti umani, riflettendo con amarezza sulle colpe
morali di una psichiatria che spesso si è asservita (come nella Germania
nazista) a un potere politico oppressivo e discriminante, o che tuttora si
riduce a curare l'infermità mentale con metodi brutali, nell'esibito
disinteresse verso la soggettività e l'autodeterminazione del malato. Con
estrema empatia, l'autore denuncia l'insensibilità (il disprezzo, il
pregiudizio) con cui la società contemporanea disattende le speranze di
riscatto degli immigrati, degli anziani, delle donne, degli ultimi: “ogni uomo,
al di là di ogni altra sua connotazione filosofica, conta”, “solo l'uomo
è persona, e questo significa che non è mai sostituibile”. E il suo richiamo a
una deontologia medica che metta in primo piano il dovere di “aiutare a vivere”
il paziente, considerando dotata di senso ogni sua sofferenza, è forte e chiaro,
“al di là delle selvagge associazioni farmacologiche oggi dilaganti”, e delle
terribili pratiche della contenzione.
La seconda parte del volume si
occupa delle ferite inferte alla dignità in situazioni vitali più umbratili e
meno facilmente definibili, quali le attese e le speranze deluse, gli incubi
derivati dall'esperienza dell'ignoto, la malinconia e la fatica depressiva di
vivere. Ecco allora pagine vibranti e commosse sull'attesa della morte (o di
Dio, di una risposta, di un riconoscimento sociale e morale) e sull'aspettativa
frustrata di un aiuto; sull'illusione di chi lascia il suo paese in cerca di
riparo e salvezza, non solo economica, scontrandosi invece con i fantasmi
perturbanti dell'ignoto; sui destini contrassegnati dalla tristezza, dalla depressione,
dall'anoressia e dalla volontà di suicidio, esemplificati da Borgna in una
stretta relazione simbiotica intrattenuta con una sua giovane paziente, dalle
dolorose esperienze emozionali.
Infine, la terza sezione, forse
la più ispirata e lirica del libro, descrive “forme di vita che cambierebbero
davvero il mondo, rendendolo più umano e più capace di ascolto, e di attenzione
agli altri”: la gentilezza e la mitezza, il sorriso e le lacrime. L'invito
pressante dell'autore, in queste pagine che lui stesso definisce “errabonde e
nomadi”, e “extraterritoriali” rispetto alla psichiatria più ortodossa, è a
volerci educare alla gentilezza, che “non costa nulla”, per cui “non contano
davvero la cultura, la lettura di libri, o la formazione psicologica”. Una gentilezza
e una mitezza d'animo che sappiano esprimersi in gesti discreti, in carezze, in
incontri di sguardi, in accettazione della sofferenza altrui: “virtù deboli”
che hanno forse un'inconsistenza mondana ma splendono di una loro “trascendenza
oltremondana”, spirituali e non materiali, estranee alla violenza, alla
sopraffazione e all'offesa. Virtù inattuali, quindi, disusate: ma che secondo
Eugenio Borgna “siamo chiamati a conquistare faticosamente ogni giorno; e
questo è possibile se usciamo dai confini del nostro io”, perché “non siamo
prigionieri del nostro destino”. Imparando o reimparando a sorridere, e a non
vergognarci delle lacrime, quando sorriso e lacrime (“queste nuvole del volto
umano”) siano espressione di delicatezza, e di “luce interiore dell'anima”.
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