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Billy Budd: tra echi biblici e sconfitta dell'innocenza, ancora il grande Melville della sea story

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Billy Budd
di Herman Melville
Bompiani, I grandi tascabili, 2012

€ 7,50
pp. 163


Melville e il profondo amore per il mare e l’avventura: da un animo vagabondo e inquieto come il grande scrittore americano sono nate alcune tra le pagine più belle della letteratura di cui Moby Dick, il suo capolavoro, resta un caposaldo della sea story non solo per quella straordinaria cifra stilistica capace di evocare tutta la maestosità dell’oceano e della creatura contro cui Achab si batte ma anche per l’immenso substrato di rimandi, simbologie, motivi e temi che rendono il romanzo ad ogni rilettura sempre fonte di scoperta. Un estro creativo che, nonostante una vicenda letteraria altalenante segnata da successi e fallimenti non si è mai arrestato, con altri lavori notevoli nei quali alterna forma romanzo e racconto di cui solo alcuni esempi sono Typee (il primo romanzo accolto da immediato successo di pubblico), Benito Cereno, Bartleby lo scrivano o Chicchirichì. 
L’ultimo lavoro, pubblicato nel 1924 decenni dopo quindi la morte di Melville, è ancora una volta una sea story che seppur incompleta dal punto di vista della revisione autoriale resta comunque un racconto esemplare presto inserito nel canone dell’autore e spunto per diversi adattamenti teatrali e musicali. Inevitabile quindi che un’opera rimasta incompiuta ci sia restituita in una forma incerta, che non ha mancato di suscitare dubbi (ad oggi l’edizione critica più accurata e vicina alle intenzioni dell’autore sembra essere quella del 1962 con il testo come lo conosciamo) e più in generale inserendosi nel dibattito sulla legittimità di opere postume e incomplete. 

Tuttavia, al lettore resta il piacere di ritrovare la maestria di Melville nel suo ambiente di osservazione privilegiato, il mare, in quel microcosmo di una nave sia essa baleniera o come in questo caso vascello della marina inglese, entro i confini della quale scandagliare l’animo umano, i dubbi che lo angosciano, confrontarsi con la Storia e il sovrannaturale. E Billy Budd, ancora una volta si presta a molteplici letture, con la sua ricchezza allegorica che ispira numerose riflessioni. Messa da parte la baleniera, Melville ci porta su una nave della marina inglese (chiamata in alcune versioni Indomitable e in altre Bellipotent) in un luogo non troppo precisato del Mediterraneo, nell’estate del 1797 durante la guerra quindi tra l’Inghilterra e la Francia napoleonica. Ma soprattutto, la vicenda si svolge alcuni mesi dopo il Grande Ammutinamento del Nore, cui sono seguiti durissimi provvedimenti e il timore per atti di ribellione simili si aggira come uno spettro su ogni nave della flotta reale inglese, anche in seguito agli arruolamenti forzati cui la marina è costretta a ricorrere per cercare di resistere nella guerra in corso. 

Billy Budd, il bel marinaio ventunenne protagonista della vicenda, è stato a sua volta obbligato a lasciare il mercantile sul quale prestava servizio (e con enorme dispiacere del capitano e di tutto l’equipaggio affezionato al giovane) per diventare gabbiere di parrocchetto sulla nave di Vere, serio e valoroso comandante attento alla disciplina, riservato e dall’indole sognatrice. Un uomo poco incline al cameratismo forse, ma onesto e giusto, che come il resto dell’equipaggio prende fin da subito in simpatia il buon Billy, trovatello analfabeta che nulla sa del suo passato se non di essere stato lasciato ancora in fasce in un cesto foderato di seta appeso alla porta di un brav’uomo di Bristol che lo ha allevato come un figlio. Le nobili origini traspaiono dal contegno e da quella finezza di lineamenti che ne fanno il “bel marinaio”, giovane e innocente, la cui perfezione è rotta solo da un lieve difetto di balbuzie che lo coglie nei momenti di tensione. 

Se Billy è in generale benvoluto per il buon carattere e la serietà con cui attende ai propri compiti, non trascorre molto tempo senza che susciti l’invidia di un membro della nave, il perfido sottoufficiale John Claggart: maestro d’armi (colui che ha il compito di mantenere la disciplina), di aspetto gradevole ma di quella bellezza velata da un’indole malvagia, misterioso, ossequioso nei riguardi dei superiori, fa del bel marinaio oggetto di attenzione particolare nei suoi compiti di garante della disciplina. Billy, semplice e ingenuo, inizialmente non crede alle parole amichevoli di chi lo vuol mettere in guardia dall’invidia di Claggart ma presto il caso e la malizia del sottoufficiale conducono il giovane marinaio verso la rovina. Quando, ingiustamente accusato di ammutinamento, Billy reagirà violentemente in un folle avventato gesto, questa sarà la causa ultima della tragica caduta. Mentre il capitano Vere è straziato dal dilemma sulla sorte di Billy, il marinaio va incontro al proprio destino forte della sua integrità morale, preservando fino all’ultimo l’innocenza e la bontà del suo cuore. In una vicenda piuttosto semplice e lineare, Melville costruisce il suo universo simbolico allegorico per raccontare la triste storia del bel marinaio, già questo topos ben radicato nella cultura occidentale, e della leggenda che intorno a lui si creerà celebrata anche dalla ballata finale. Il background viene delineato piuttosto precisamente, con continui riferimenti alla situazione storica nella quale la vicenda è calata, dove più della guerra contro la Francia è il fantasma degli ammutinamenti dopo i già citati fatti del Nore a rendere tesa la situazione a bordo di una nave in cui buona parte dell’equipaggio era stata arruolata a forza (come nel caso di Billy, ma non tutti prendono ovviamente la cosa di buon grado); inoltre il narratore si lancia in numerose digressioni e riflessioni personali che spesso riportano ad episodi gloriosi della storia inglese per mezzo della celebrata figura di Nelson, il grande ammiraglio che ha dato la propria vita per sconfiggere Napoleone. E sempre dal punto di vista inglese Melville riprende un certo sguardo anglicano nel presentare per contrasto l’antagonista di Billy, il cattivo della storia, associandolo a personaggi o eventi di stampo papista. Se l’antagonismo tra Billy e Claggart è in fondo un po’ stilizzato e non molto approfondito, imputabile forse alla mancata revisione dell’autore, nel presentare il dilemma morale del capitano Vere a proposito della sorte del marinaio sventurato, Melville regala invece al lettore un personaggio molto interessante che dimostra una già notevole complessità psicologica pur nello spazio del romanzo breve. Come il resto dell’equipaggio, anche Vere accoglie Billy con simpatia pur restando ad osservarlo da lontano nel ruolo di Capitano e le accuse di Claggart che dipingono il giovane marinaio come un ribelle che complotta per rovesciare l’autorità colgono il capitano di sorpresa e si dimostra fin da principio certo dell’innocenza di Billy. Il punto focale infatti nella tragica caduta di Billy non è l’accusa di ammutinamento, presto liquidata, ma il folle gesto da lui compiuto: quando il giovane, incapace di rispondere a parole alle accuse, colpisce a morte il suo antagonista sarà proprio questa azione ad essergli fatale. In tempi come questi e secondo un integerrimo capitano quale Vere, la mancanza di rispetto della disciplina e dei superiori deve essere punita duramente, anche se a farne le spese è un’anima pura come Billy: «Colpito a morte da un angelo del Signore, e tuttavia l’angelo va impiccato». E nell’universo biblico-simbolico di Melville, Vere diviene al tempo stesso Dio che sacrifica il Figlio prediletto per salvare l’umanità (quello stesso figlio che aveva mandato tra gli uomini affinchè la sua anima innocente fosse luce in quegli anni oscuri, allo stesso modo di Billy) ma anche Abramo pronto ad immolare Isacco. Sicuro della necessità di punire con la morte l’infrazione della legge, Vere è moralmente dilaniato e terribilmente dispiaciuto della sorte toccata al bel marinaio, e contradditorio: egli chiama infatti a decidere la corte marziale (e in effetti è strano che il capitano anziché aspettare di trovarsi di fronte all’ammiraglio, come la legge prevede in casi simili, affretti la decisione sulla sorte di Billy verso una celere conclusione) in un gesto che inizialmente pare dettato dal desiderio di non prendersi la responsabilità dell’atto e in generale rimettere ad altri la decisione sul destino del marinaio, ma poi di fronte all’indecisione degli ufficiali lascia il posto di testimone per suggerire quale sia l’unica decisione possibile, seppur a malincuore. In quel breve tempo intercorso tra la morte di Claggart e la decisione della corte marziale, Billy è rimasto calmo nella sua cella consapevole del funesto destino che lo attende, di lì a poco confermato dal capitano stesso venuto personalmente a parlare con il prigioniero; ed è lo stesso spirito con il quale, si è detto, il marinaio va incontro al suo destino all’alba del giorno dopo pronto anche a perdonare coloro che, seppur rosi dal dubbio, lo hanno condannato a morte: «Dio benedica il capitano Vere!» sono infatti le ultime parole di Billy. La scena dell’impiccagione è il cuore della storia: il carattere soprannaturale di Billy reso ancor più evidente dall’uso di un vocabolario biblico-cristiano che lo accompagna dal momento della condanna fino alla morte, dove il corpo del giovane è prima “trafitto” dalla luce rossa dell’alba e pochi istanti dopo appare come “crocifisso” per la straordinaria immobilità subito seguita all’impiccagione e che lascia esterrefatti i marinai chiamati ad assistere, i suoi abiti divengono “sudario”. 


Il buon carattere di Billy, ma soprattutto questo suo aspetto spirituale infine manifesto contribuiscono ad alimentare la leggenda intorno al bel marinaio la cui storia, accenna l’autore nei capitoli finali, si è tramandata sui giornali seppur un poco discosta dai fatti reali e che ha ispirato una ballata messa a chiusura del romanzo (ma che pare sia stata la prima cosa su cui Melville ha lavorato e da cui quindi è nata la storia). Ballata dolce e struggente sull’ultima notte di Billy, passata ai ceppi in attesa della morte tra delirio e rassegnazione. La storia dello sfortunato gabbiere di parrocchetto nonostante la pubblicazione postuma e incompiuta, divenuta un classico del canone di Melville, non ha ancora esaurito le possibilità di rilettura e ha ispirato anche una celebre trasposizione teatrale inglese con le musiche di Benjamin Britten rappresentata con successo per la prima volta negli anni ’50, oltre ad una traduzione della ballata finale ad opera di Vinicio Capossela. Vale la pena quindi lasciare l’ultima parola proprio a Billy, nella ballata scritta da Melville: 
 BILLY IN THE DARBIES Good of the Chaplain to enter Lone Bay And down on his marrow-bones here and pray For the likes just o' me, Billy Budd.--But look: Through the port comes the moon-shine astray! It tips the guard's cutlas and silvers this nook; But 'twill die in the dawning of Billy's last day. A jewel-block they'll make of me to-morrow, Pendant pearl from the yard-arm-end Like the ear-drop I gave to Bristol Molly-- O, 'tis me, not the sentence they'll suspend. Ay, Ay, Ay, all is up; and I must up to Early in the morning, aloft from alow. On an empty stomach, now, never it would do. They'll give me a nibble--bit o' biscuit ere I go. Sure, a messmate will reach me the last parting cup; But, turning heads away from the hoist and the belay, Heaven knows who will have the running of me up! No pipe to those halyards .--But aren't it all sham? A blur's in my eyes; it is dreaming that I am. A hatchet to my hawser? all adrift to go? The drum roll to grog, and Billy never know? But Donald he has promised to stand by the plank; So I'll shake a friendly hand ere I sink. But--no! It is dead then I'll be, come to think. I remember Taff the Welshman when he sank. And his cheek it was like the budding pink. But me they'll lash me in hammock, drop me deep. Fathoms down, fathoms down, how I'll dream fast asleep. I feel it stealing now. Sentry, are you there? Just ease this darbies at the wrist, and roll me over fair, I am sleepy, and the oozy weeds about me twist.