Di Hanne-Vibeke Holst
Mondadori, 2014
pp. 420
€ 19 cartaceo
La danese Helena Tholstrup, direttrice dell'Opera di Berlino, è in procinto di ricevere un prestigioso premio e chiede alla sua unica figlia Sophie, che ha sempre trascurato in nome della carriera, di condividere questo momento importante. Sophie si presenta poche ora prima della premiazione col fidanzato, musulmano, Khalil, sorprendendo e imbarazzando la madre che non era stata informata della relazione. La sorpresa e l'imbarazzo si trasformano in angoscia quando Khalil, dopo la premiazione, prende in ostaggio madre e figlia.
Inizia così "La madre assente" di Hanne-Vibeke Holst, un romanzo in cui nulla è come sembra. Innanzitutto perché si è convinti di avere a che fare con un thriller ma ben presto ci si accorge che la vicenda si svolge su due piani spazio-temporali diversi: la Berlino di oggi e la Danimarca dagli anni '40 agli ultimi palpiti del XX secolo. Quindi il romanzo prende anche connotazioni storiche molto interessanti, tra l'altro, per conoscere le vicende più recenti di quel paese, in particolare durante e subito dopo la seconda guerra mondiale.
Ma la destabilizzazione, assai piacevole, del lettore, avviene anche e soprattutto man mano che si delineano i personaggi: ogni volta che si elabora una precisa opinione su uno di essi si è costretti a ricredersi perché vengono continuamente rimescolate le carte in tavola e ci troviamo di fronte a caratteri psicologici complessi (è questo a mio avviso uno degli elementi che conferisce valore al romanzo). Persino "la madre assente" che dà il titolo al libro nella traduzione italiana, e che inizialmente crediamo di avere identificato nella protagonista Helena, man mano che si dipana la vicenda passa il testimone ad altre madri, punta il dito su altre assenze.
I livelli di lettura non terminano qui: la Holst affronta tematiche assai dense come l'integralismo islamico, la diffidenza degli occidentali verso i musulmani, la resistenza, il rapporto genitori - figli. Insomma un bel calderone di spunti di riflessione che danno spessore ad una trama avvincente e ben costruita, raccontata con una scrittura scorrevole e interessante, almeno a giudicare dalla traduzione di Maria Valeria D'Avino e Eva
Kampmann.