Liala. Una protagonista dell’editoria rosa
tra romanzi e stampa periodica
Atti
del convegno di Milano, 19 aprile 2011
a cura di Luisa Finocchi e Ada Gigli Marchetti
FrancoAngeli. Milano 2013
«Io non ho bisogno che i critici parlino di me: di me parla bene il mio pubblico, è al mio pubblico che io devo rendere conto di ciò che scrivo. Ma vorrei che molti critici, prima di criticare, facessero almeno la fatica di leggere quello che hanno deciso di criticare»
Questi auspici di
Liala trovano realizzazione nel convegno milanese che, nell’aprile del 2011,
riabilita gli studi sulla scrittrice che dal lago di Como ha incantato milioni
di lettrici e migliaia di lettori. Il convegno muove dalla più recente apertura
agli studi sulla letteratura di consumo, al fine di stabilire le ragioni del
duraturo “sortilegio” lialesco. Imprescindibile, il taglio trasversale degli
studi, che fin da una prima scorsa all’indice testimoniano l’impiego di
strumenti critici molteplici e diversissimi, per mettere in luce gli angoli più
reconditi di quello che non è stato solo un fenomeno editoriale. Infatti, negli anni Liala ha attirato più critiche che analisi dedicate e approfondite: è finalmente ora di cambiare lo sguardo prospettico, e grandi accademici si sono misurati con la scrittrice comasca.
In ogni caso, è inevitabile un approccio alternato di studi tematici ed editoriali (che forse avrebbero giovato di maggiore consequenzialità), per passare quindi allo stile, alla frequentazione di para-letteratura con i fotoromanzi, al giornalismo. Infine, una sezione un po' ardita prova ad analizzare la ricezione dell'opera lialesca.
Dopo questo primo efficace inquadramento, Ada Gigli
Marchetti si dedica al rapporto travagliato di Liala con l’editoria, dal primo Signorsì (Mondadori) del 1931 fino al
parziale raffreddamento dei rapporti con il grande padre dell’editoria milanese;
quindi, passa attraverso i contratti non pienamente soddisfacenti con
Vitagliano, Sonzogno, Cappelli, Rizzoli.
Si torna allo studio tematico dell’opera con Giovanna Rosa
che, già autrice di un’indagine sulla scrittrice nel 1985, rileva la
propensione lialesca a sfruttare la «legge del ritorno» quale strategia
narrativa, come nella trilogia su Lalla Acquaviva. Le allusioni fantasmatiche e
il ritorno di coppia, trattate con uno stile simil-dannunziano, sembrano a Rosa
il trait d’union di un successo
innegabile.
Bruno Pischedda si dedica quindi alla collaborazione tra
Liala e Arnoldo Mondadori, che da Signorsì
ha dato il via al romanzo rosa-aviatorio e a una meno scontata satira di costume.
Secondo Pischedda, la popolarità di Liala è da rapportarsi alla modernizzazione
del panorama tra gli anni Venti e Trenta: nel progressivo allargamento del pubblico, Liala si incunea con
precisione, introducendo e influenzando il genere aviatorio in Mondadori. Da
non tralasciare, inoltre, il legame dei romanzi di Liala con l’italiano del
regime, attestato nella prima edizione di Signorsì
da motti, simbologie e scene, che saranno poi espunti nelle riedizioni.
Inevitabile a questo punto parlare di stile: Silvia Morgana attesta la notevole
letterarietà della grammatica e del lessico, quasi impermeabile alle
innovazioni novecentesche, come pure la mimesi del parlato. Fa da contraltare
una sintassi semplice, per accattivarsi un pubblico variegato.
Accanto all’ipertrofia aggettivale e alla ripetitività inter- e intratestuale di
formule, in netto contrasto si trovano dialoghi aforistici e lapidari, che
sfiorano la sentenziosità del narratore onnisciente e giudicante. D’altra parte, l’influenza dannunziana è palese: ad Arturo Carlo Quintavalle basta analizzare Signorsì e Donna delizia per trovare, a distanza di oltre dieci anni, costanti
nello stile e nei modelli: una strutturazione a feuilletton; personaggi di cartapesta che rispecchiano nel
carattere il loro aspetto fisico; un giudizio morale evidente; ambientazioni
che ruotano attorno agli interni e alle note paesaggistiche; l’assenza di una
trama forte; un’attenzione “dal basso” al lavoro; la moda; e tra le due guerre
la tendenza ad assecondare le mitologie del regime (patria, famiglia e
religione).
Sempre a proposito delle ambientazioni, Enzo Laforgia
sfrutta Signorsì per muovere un più
ampio studio sulla penetrazione dell’idea di Africa nella letteratura tra 1926
e 1935, ovvero quando si rinnova l’interesse per l’esotico e risorge il romanzo
coloniale. L’analisi tematica prosegue con le figure dell’amore, che per Gloria Bianchino hanno delle
costanti ravvisabili fin dalle copertine, di cui si offre un apparato
iconografico a colori. La scelta del disegno al posto della fotografia, in uno
stile semplificato e mitizzante, nonché imparentato con il manifesto
cinematografico, non è casuale: le donne solitamente sole e più raramente in
coppia segnalano la focalizzazione lialesca sull’eroina, secondo una «comune
regia» che resiste al passaggio da un editore all’altro.
La seconda ideale sezione del volume fuoriesce dai romanzi,
per dedicarsi alle altre esperienze para-letterarie e giornalistiche di Liala.
Silvia Cassamagnaghi studia la parabola discendente delle «Confidenze», rivista
fortemente voluta da Mondadori, che dal 1946 segna un percorso accidentato
nella carriera giornalistica di Liala.
In parallelo, la scrittrice si misura con i
fotoromanzi: Giuseppe Sergio gliene
attribuisce certamente due, Piccole mani
colme d’addio e Una fiaba per Rose
May: oltre a delineare utilmente le
caratteristiche peculiari del genere, si riconoscono stereotipi e motivi,
nonché scelte linguistiche e stilistico-retoriche dei romanzi di Liala.
L’ultima parte degli atti vira verso la ricezione dell’opera e delle
tematiche lialesche. Patrizia Caccia e Sabina Ciminari si cimentano a
ricostruire le strategie di Liala per accattivarsi il pubblico femminile.
Centrale, in questo processo, la corrispondenza: attraverso un ottimo apparato
documentario, prezioso e piacevole, le studiose verificano la funzione di
scrittura su «Intimità» come «antidepressivo» per Liala stessa e per le
lettrici, nonché la profonda interdipendenza tra lettere e narrativa.
Piuttosto deludente perché frettolosa e poco incentrata su
Liala, la rassegna di Carlo Pagetti sulla letteratura rosa (da Austen a Brönte)
fino all’esperienza di Betty Neels di An
Unlikely Romance e alla più recente chick-lit.
Nonostante l’organizzazione e la successione dei saggi non
siano particolarmente soddisfacenti, il volume ha l’innegabile merito di
sfatare un doppio pregiudizio paludato: ovvero che per la letteratura di
consumo e il romanzo rosa non si spendano energie e strumenti ermeneutici di
primordine. Se avesse potuto leggere gli atti, la stessa Liala avrebbe
addolcito parzialmente la sua opinione severa sulla lettura corriva da parte
della critica.
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