Capita di rendersi conto – può essere in un giorno
specifico, o grazie ad un evento singolo – che i propri genitori abbiano
imboccato il sentiero della vecchiaia e si ha una strana paura, quella di dover
cambiare il proprio ruolo: da figli da sostenere, a sostegno. È una
responsabilità vaga e quotidiana che cresce al crescere degli ostacoli
fisiologici che s’imbattono su di loro, ma è anche una possibilità di
riscoprire delle persone vicine, ma quanto mai ignote: di questo parlano Geologia di un padre e Vita e morte di un ingegnere.
Le situazioni di partenza sono lontane: Magrelli
s’incammina per un percorso di riscoperta che si basa su ricordi per lo più
positivi, un avvio che è segnato dalla lontananza certo, ma non da un’esplicità
alterità. Albinati, invece, ha a che fare con uno straniero sferzante e
ironico, un titano refrattario e distante: un autorità monumentale.
Magrelli ha così la possibilità di portare a
maturazione un percorso rituale, quasi metamorfico in cui Giacinto diventa un
lare custode e consigliere delle soglie da varcare, un «disco che […] colpisce»
(p.137) per renderlo simile e uguale al genitore. Un cammino di fusione tra le
generazioni per preservare la propria persona, le proprie radici, e quindi non
essere più orfani.
Albinati invece, sembra essere da subito orfano,
senza alcuna possibilità di contatto con il proprio padre, Carlo (nome che viene
scritto molto raramente, quasi incidentalmente). La sua strada è di combattere
contro questa dimensione in maniera impaurita e incerta, fino all’ultimo
momento, ma fallendo per un pervinace rifiuto di contatto della controparte. Il
percorso porta l’autore a rinchiudersi in un lancinante nichilismo (alcuni
sostengono che ci sia una dipendenza tra il rapporto con il proprio padre e
quello con la divinità), una figliolanza che rimane irredenta e perdurante,
perché senza confronto reale.
Da una parte proprio i brevi dialoghi e i ricordi si
fanno anelli di una catena, materiale filamentoso in cui intrecciare passato e
presente; dall’altra diventano residui organici da bruciare in una pira di lacerante
disagio. La forma frammentaria è piuttosto simile quanto i contenuti, ma le
prospettive sono antitetiche e quanto mai produttive: gli stessi temi, passaggi
delle malattie quasi identici e ricordi a tratti sovrapponibili vengono
rifratti in opposte coscienze. Quello che per uno è un contatto con la scarna e
sacrale umanità paterna (Magrelli cita persino passi biblici), per l’altro è
carnale e purulento decadimento: leggendo in parallello i libri si ha la
sensazione di un canto e controcanto che dà alla riflessione la possibilità di
estendersi in un uno sguardo sinfonico.
Alla conclusione si hanno due distanti prospettive:
da un lato un orfano che non è più tale perché si è riapropriato del proprio
genitore; dall’altro un uomo da sempre orfano e che non riesce a superare la
propria condizione di figlio solo, oppresso dalla fatica di una obbligata
mutazione in adulto («Malgrado mio padre non ci sia più e io abbia i mie
bambini e tutto faccia ritenere che il tempo della mia giovinezza sia
trascorso, sento di essere rimasto un
figlio, e rimarrò figlio per sempre» p.88).
Sia Geologia di
un padre, sia Vita e morte di un
ingegnere sono opere molto riuscite che possono divenire un sostegno e un
confronto molto fruttuoso in momenti difficili, magari compagnia riflessiva in
un percorso di riavvicinamento al proprio genitore: una luce per mettere meglio
a fuoco una fisionomia, come quella del padre che spesso sfugge, alle volte
incombe, ma da cui sempre dobbiamo passare (drammaticamente o no) per divenire
adulti.
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