La presentazione dell’ultimo libro di Marco Belpoliti, tenutasi
lunedì 10 marzo alla Feltrinelli di piazza Duomo a Milano ha avuto come tema principale il punto di
vista estetico con cui l’essere umano spesso, forse troppo o forse troppo poco,
guarda, quindi giudica, l’evolversi del mondo, lo svolgimento ordinario ned
extra ordinario degli accadimenti e di ciò che lo circonda.
Viviamo sotto la minaccia continua di due
prospettive egualmente spaventose, anche se apparentemente opposte: la banalità
ininterrotta e un terrore inconcepibile. Susan Sontag lo scriveva nel 1965, ma
quasi cinquant’anni dopo le cose non sono cambiate. Al contrario, ogni giorno
ci dispensa dosi massicce tanto di banalità quanto di terrore: dal kitsch
televisivo e politico alla fantascienza catastrofica che trionfa al cinema,
dalle devastazioni di Cernobyl’ e Fukushima alle tragedie delle Torri gemelle e
di Bali.
Così L’età dell’ Estremismo
(Guanda, 15,30 euro) si presenta al lettore. Così Belpoliti ci incuriosisce ci
spinge all'incontro/scontro con una realtà agghiacciante ma esteticamente
attraente in virtù della sua drammaticità.
“Scrivere questo libro è stato
difficile. Gran parte di quello che viene raccontato, è stato trascritto e
tradotto a partire dalle parole di altre persone che, pertanto, sono state tradotte
in forma prosaica, forse l’unica forma in grado di trasferire sul piano della
lettura il piacere che si prova nel guardare qualcosa che scorre, il piacere leggero che si avverte quando si guarda l’acqua di un fiume che scorre…”
Un libro che scorre,
dunque, sul filo dell’estremismo inteso senza declinazioni, al singolare come fenomeno che tutti crediamo di
conoscere, come dinamica che l’uomo è in grado di vedere solo negli altri e nell'altro ma che, di fatto, domina il nostro quotidiano.
Anche nella verità
della nostra vita, come ad esempio nella verità e nella profondità dell’arte,
si cela qualcosa di estremo; questo libro ha come obiettivo quello di spingerci
a guardare nell'estremismo della vita umana, dall'esterno, per consentirci di
trasformare il nostro punto di vista estetico, in giudizio sostanziale in
insegnamento morale, in ammonimento.
È un po’ quello
accadeva, e che accade, se si pensa all'età medievale: un’epoca buia, dominata
dal senso cupo della religione, ma invasa, al contempo, da un dominio estetico
di natura altrettanto religiosa che in trasmette una sorta di istinto alla rivolta. Quella stessa rivolta che, nella sua istantaneità, si traduce in performance estetica, in messa in scena,
in dinamica teatrale. Quel momento in cui i rivoltosi si sentono padroni del mondo, padroni del
tempo, dotati di un potere distruttivo che attrae la vista dell'uomo, al pari delle cattedrali del Medioevo: un culmine di estetismo che dietro di sé, nasconde solo cenere.
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