C’è una certa propensione ad attribuire le cause del femminicidio alla sfera dell’inconscio e precisamente alla follia d’amore e alla malattia; bisogna ragionare, invece, sulle radici culturali del fenomeno, che vengono da molto lontano nel tempo; l'odio per le donne, la così detta misoginia, ha le sue radici nella religione e nella filosofia, da Platone a Nietzschein, che hanno sempre tentato di inculcare lo stato di subordinazione della donna all’uomo e l’avversione verso il genere femminile per il solo fatto di essere tale.
Fondamentalmente
perché la donna fin dai tempi più antichi è stata identificata in un ruolo,
nei casi più estremi concepito solo per la procreazione, altre volte nella funzione di
madre, moglie, figlia e così via.
Chi uccide una
donna, è principalmente, un uomo tradito, abbandonato, rifiutato, non ubbidito,
che arriva all’atto violento quando la donna esce fuori dagli schemi
predefiniti della nostra società, non
uccide per amore o malattia, lo fa perché non riesce a concepire la donna
“fuori dalla sua funzione”.
Bisogna cominciare
a cambiare (e già molta strada è stata fatta!) il concetto stesso di donna; non
funzione ma equazione, non ruolo subordinato ma individualità.
Benvenuta Rosanna!
Il tema centrale
della tua ultima opera è il femminicidio. Giacomo Devoto lo spiega come “qualsiasi
forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una
sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale”, mi pare tu sia ben cosciente
di questa “sovrastruttura”, dandone prova nella tua ultima pubblicazione Lo scettro del re, edita il mese scorso per
Edigrafema Editore. Da dove nasce la tua opera?
Grazie!
Lo Scettro del re nasce dalla mal
sopportazione che una donna debba difendersi proprio nella sua casa, dove offre
se stessa ogni giorno, e dalla persona cui sta dedicando la
vita, portando su di sè il peso di ricatti, soprusi, sopraffazioni;
costretta a rimanere col proprio aguzzino, perché se osa reagire, semplicemente
opporsi a una condizione di disagio che il partner le procura e le impone,
viene minacciata, intimidita, ostacolata, perseguitata dalla furia ossessiva di
un uomo che non sa amare. Un uomo che ha scambiato e confuso l'amore con il
senso del possesso, col pensare che una donna sia di sua proprietà e che ella
non può disporre liberamente del suo essere se non dietro il suo consenso.
Come mai hai scelto
la strada del teatro?
Il teatro è
un'Arte che mi appartiene intimamente, la sento come canale giusto per
trasmettere emozioni e, attraverso queste, giungere alla riflessione.
Auspico che
parlare della sofferenza custodita nelle coscienze di troppe donne, possa
essere d'aiuto a quella stessa donna che si trovi in una particolare
situazione, che si riconosca in una parola, un concetto, una sofferta emozione;
che trovi un'affinità, una similitudine nella propria situazione e ritrovi,
quindi, quello slancio, quella forza frenata da se stessa o da altri, una
intuizione che la conduca alla riflessione per prendere le distanze tra sè e la
violenza subìta, a cui si è, forse, anche adattata, abituata.
Mi
pare che la tua opera sia una ricerca sperimentale sul linguaggio: la
povertà della punteggiatura, il
non-detto, l’enjambement, le dislocazioni, sono tutti elementi volti a comunicare
le sfumature espressive, tuttavia il rischio in cui si cade è l’arbitrio della
punteggiatura.
Tu
sei anche registra teatrale, che tipo di impostazione dai ai tuoi attori,
libertà della performance o un ritmo serrato tipico del flusso di coscienza dei
personaggi?
Lo
scettro del re,
come anche Quando il vento soffia forte
- la mia precedente pubblicazione - adottano lo stile della omissione della
punteggiatura, poiché sostengo l'idea che tra narratore e narratario vi sia un
interscambio, un rapporto simbiotico, dove ciò che dice l'uno sia accolto in sè
dall'altro e arricchito della propria esperienza culturale e quotidiana. Il
lettore si impegna così a trovare le pause, le interrogazioni, le esclamazioni,
i momenti di forte tensione da quelli di scontata leggerezza, quelli dei
tormenti dell'anima dagli altri di apparente rassegnazione; se si accorge di
aver sbagliato, torna indietro e riformula la frase e la parola; in questo modo
entra nel testo coinvolgendosi sempre più.
Il non-detto serve
a dare spazio al lettore nell'inserire la propria storia, l'emozione che
l'accompagna, il silenzio del non racconto, le storie taciute e custodite
nell'intima anima.
Nella performance
do spazio alle ripetizioni, intense o sussurrate, alle pause che ogni attore
stabilisce, ma non alla sostituzione delle parole poiché ognuna di esse è
inserita per restituire un concetto, che si perderebbe se si cambiassero i
suoni che esse contengono. D'altronde il mio è un teatro di parola, fondato
quindi sulla drammaturgia e non necessita di accorgimenti o trovate
scenografiche o registiche per tenerlo in piedi: necessita, invece, di un
ottimo lavoro attoriale, quell'attore che ha la capacità di attirare su di sé
le energie dell'ascolto, incentrando sulla variazione di tono tutto l'intreccio
narrativo. Il ritmo è lento ma non senza momenti di concitato flusso evocativo,
poiché ciò che risiede all'interno si è sedimentato e, divenendo
consapevolezza, lo si tira fuori nella massima coscienza di sé, concedendosi il
tempo giusto per argomentare, in un'alternanza tra un'apparente normalità
liberatoria del racconto e un isterico passaggio alla rabbia dell'incredulo e
assurdo accaduto.
Nel tuo libro il
“vuoto maschio separato dall’uomo” è l’uomo privo di umanità; l’arte è senza
dubbio un’arma di denuncia, può essere anche un’arma di cambiamento(non solo
delle vittime ma soprattutto del carnefice)?
Io
me lo auguro vivamente; le donne devono riappropriarsi della loro identità
sottomessa alle regole degli altri, imparare ad essere umilmente orgogliose di
se stesse, amando la propria natura, aspirando alla propria gratificazione e
appagamento dell'anima, impedendo e non accettando la sopraffazione subdola e
sottile che si insinua nei rapporti di coppia; non annientarsi nell'altro e
vivere il proprio sé indipendentemente dalle relazioni amorose. Gli uomini devono imparare che una donna va
amata innanzitutto in quanto essere umano, che ella non è una cosa di cui essere
proprietari, non un oggetto del quale si può fare ciò che si vuole. Ma un io
pensante che ha la stessa dignità di esistere al pari di quello dell'uomo, che
non c'è differenza sul piano emotivo, intellettivo e culturale.
La
donna non deve essere separata dalla sua interezza, è al contempo corpo e
anima, al pari dell'uomo. Occorre un ripensamento del modello educativo cui ci
siamo riferiti finora, u.na rivoluzione culturale da cui nessuno è escluso.
Altra lettura consigliata
sul tema è il libro di Serena Dandini, Ferite
a morte, che è anche un progetto teatrale, in cui l’autrice parte da storie
vere su vittime di femminicidio. I personaggi de Lo
scettro del re sono inventati o si è ispirata a delle storie realmente
accadute?
Mentre
la Dandini presentava il suo progetto nei teatri, io avevo già custodito i miei
testi, pronti per essere inviati alla valutazione della Casa Editrice
Edigrafema. Due donne contemporaneamente hanno avuto la necessità di parlare di
femminicidio e provato l'analoga indignazione per ciò che una donna è costretta
a subire, sentito il forte bisogno di doverne parlare attraverso l'arte del
teatro.
Io, umile serva dell'Arte, mi esprimo
attraverso la funzione sociale del teatro, usando la "finzione" come
espediente per rendere ancora più credibile ciò che già lo è nella realtà e da
cui non si può prescindere.
I
racconti delle quattro donne delle mie piéces non appartengono alla sfera della
straordinarietà, ma si incanalano in una ordinaria quotidianità. Non si tratta
di racconti confidenziali o di interviste, e neanche di confessioni strappate
alle donne. Ma piuttosto di naturali testimonianze che le donne si concedono,
racconti che passano di bocca in bocca tra le generazioni, racconti spontanei
serviti a molte donne per stemperare ansie e tensioni accumulate all'interno
delle loro famiglie e trovare ascolto, comprensione, sostegno al di fuori
delle anguste mura delle loro prigioni: le loro case.
Come scrivevo nella
mia recensione, il tuo saggio teatrale è un’opera del riscatto del genere
femminile. Qual è la direzione in cui bisogna andare perché si raggiunga una
parità dei diritti e delle opportunità?
Senza il dialogo
nessun rapporto è destinato a generare il bene per l'altro. E come faccio a
conoscere chi sei, il tuo essere, le tue aspirazioni, se non me ne parli?
La libertà è il
fondamento del rispetto che si desidera per se stessi, è' più facile di quanto
si creda: se si guarda e pensa all'altro come a noi stessi non sarà difficile
averne rispetto e desiderare il suo bene.
Non consentiamo a
nessuno di ignorare, offuscare, immiserire i nostri sentimenti, le nostre
qualità, le nostre ambizioni, perché essi valgono, vivono in noi e hanno
bisogno di essere espressi: Diamo ad Essi la Voce che Meritano!