di Leo Longanesi
Longanesi, 2005
1^ edizione - 1953
€ 12
pp. 116
Il Dopoguerra è stato segnato da tante solitudini di moralisti (per parafrasare il titolo di uno studio Palermo e Giammattei). L'aspetto più interessante è che ognuno ha vissuto a suo modo la corsa alla rinascita e l'incontro con la nuova generazione borghese: se Flaiano ha scelto la via dell'aforisma e dell'aneddoto pungente del Diario notturno (tanto pe dirne uno), Alvaro non contemplava l'ironia per criticare sempre più seriamente società, politica e religione in Ultimo diario.
Dove si colloca questo Ci salveranno le vecchie zie? di Longanesi? In parte aiuta il sottotitolo, (i borghesi stanchi), che fin da subito indica due aspetti del libro: il profondo dubbio di Longanesi sul salvataggio da parte delle vecchie generazioni, ma anche lo sconforto verso una borghesia stanca, abbarbicata dietro tante parole. Il tutto, poi, denunciato con l'ironia salace e provocatoria, quasi irridente, che si conosceva già per gli aforismi longanesiani di Parliamo dell'elefante, che nel 1947 aveva scatenato grandi gozzoviglie sui quotidiani.
Ma veniamo al libro: si tratta di una raccolta di capitoli dai titoli tematici, a volte giocosi (come "I borghesi in gelatina" in apertura), che trattano i diversi aspetti della borghesia italiana del Dopoguerra, che esce massacrata a suon di causticità fin dalle prime pagine: incapace di grandi passioni amorose e conoscenze letterarie, becera nell'accostarsi alla cultura (sempre una cultura di riporto, mai acquisita con fatica), e tutta dedita alla esibizione di un io costruito in base ai dettami contemporanei della moda. Come risultato,
il prestigio della borghesia tramonta; ora, al sostantivo "borghese" tocca il ruolo di aggettivo dispregiativo. (p. 53)
Persino la conversazione, di cui il borghese si fa promotore con incontri e serate, langue, fino a questa nota che fa decisamente sorridere (ma con la solita amarezza):
La conversazione si svolge come un rotolo di carta igienica velour, da cui si strappano con mano leggera i fogli: Marx, Hegel, Proust...Le signore odorano, annusano: il pensiero è anche odore; un'idea ha un odore, come ha un colore.... Rosso, rosso Marx; rosso Proust, rosso mestruazione, rosso sofà Café de Paris... Odore di Proust, di rosso melmoso, mondano, che si decompone nell'analisi di nebbiosi peccati in casa Swann. (p. 63).
Non c'è pietà né schermo buonista: Longanesi affronta di petto la questione, sempre infarcendo di cronaca e di aneddoti le sue argomentazioni su uno status quo inquietante e, purtroppo, colto nel suo declino. La letteratura spesso è particolarmente longeva; anzi, a volte anacronisticamente "sembra scritta oggi". Facciamo un esperimento:
Tutto, in Italia, procede nel peggiore dei modi, a giudizio del piccolo borghese, ma egli crede di potervi porre rimedio; è certo di riuscirvi spendendo di meno, lavorando di più e meglio. Le riforme le compirà lui, di persona, a sue spese, con la sua fatica. Egli crede in sé [...] La storia non è trascorsa invano: qualcosa hanno lasciato in lui le rivoluzioni e le guerre, le idee e i miti. La sua cultura è generica, ma egli vi crede [...]. E possedere una vocazione è la sua vera ricchezza, il suo vanto, il suo segno di distinzione. (pp. 108-109)
Leggere oggi, certe frasi, e fare un copia-incolla sulla contemporaneità dà un piacere sadico. Anacronistico, certo, ma come non rivedere consonanze con uno dei personaggi politici più discussi di questo 2014?
GMGhioni
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