Tardo
pomeriggio. Il cielo è quello anonimo che si stiracchia tra lo zenit e il
tramonto. Via Alessio di Tocqueville, pieno centro della movida milanese. Una
piccola sala riunioni, ideale per raccogliere una mezza dozzina di blogger
letterari. Tutto molto riservato. Quasi segreto, che bella parola. In quel po’
di anticamera che precede l’incontro ci guardiamo tutti negli occhi con l’aria
smarrita delle prime volte. Nessuno ha mai incontrato un ex agente segreto.
Nessuno è mai entrato in contatto diretto con la storia che si nasconde sotto
la storia.
Dentro la sala
ci sono già Luigi Carletti e l’agente Kasper, gli autori di Supernotes, il romanzo di spionaggio internazionale
pubblicato da Mondadori per la collana Strade blu. Entriamo e ci stringiamo le
mani. Hanno dei volti molto accoglienti. Breve introduzione. Poi ci dovrebbero
essere le nostre domande.
L’incontro è
stato organizzato da Mondadori per coinvolgere il mondo dei blog letterari
nella promozione di una delle loro ultime pubblicazioni. Il romanzo che è un
romanzo, un thriller, ma è anche una storia drammaticamente vera, una
testimonianza fortissima. L’agente Kasper è il coautore del libro, ma è
soprattutto il personaggio principale. L’uomo che ha vissuto in prima persona
quelle vicende. L’uomo riemerso dall’inferno per raccontarle. Da carabiniere
del Ros Kasper – nome in codice utilizzato durante l’operazione – stava
indagando sui “supernotes”, i dollari “veri ma falsi”, stampati in estremo
oriente sotto il controllo dei servizi segreti americani e poi immessi nel
mercato mondiale. È stato scoperto, fatto arrestare con un pretesto fasullo e
spedito nel campo di concentramento di Prey star in Cambogia. Lì è stato
prigioniero per tredici mesi. Ha vissuto esperienze terribili. Kasper doveva
sparire e invece è riemerso dall’abisso. E ha raccontato la sua storia.
«Convincerlo a
scrivere il libro non è stato facile» ci dice Carletti, che è scrittore e giornalista
d’inchiesta di lunghissimo corso, «Kasper era poco convinto della proposta».
Non tanto per il pericolo a cui si sarebbe esposto, quanto perché raccontare
avrebbe significato rivivere quell’esperienza, avrebbe chiesto uno sforzo
enorme. Ma per fortuna
«il libro ha avuto un effetto terapeutico. Se non lo avessi scritto non sarei capace oggi di parlare tranquillamente di quelle vicende».
Supernotes si legge come un romanzo di spionaggio,
ne ha tutte le caratteristiche, forte è avvincente. Eppure è tutto reale. «Come
reagisci al fatto che alcuni lettori possano considerarlo solo una bella
storia?»,
«Il libro procede su un doppio binario, da un lato c’è la spy story, dall’altro il romanzo-inchiesta. Noi lo riteniamo un’operazione verità. Però sappiamo che spetta al lettore, in autonomia, decidere come leggerlo e interpretarlo».
Qualcuno cita quegli intellettuali che sostengono quanto ormai la realtà sia spesso più irreale della letteratura. Deformazione personale. Inevitabile. Mi viene in mente un saggio di Carla Benedetti in cui si parla del caso Saviano. Quando qualche giornalista andò a chiedere in giro per Scampia cosa pensasse la gente del libro, la maggior parte di loro si limitò a rispondere «è letteratura». Bastava quello a squalificare l’argomento di discussione. È letteratura. È una favola, una cosa lontana dal mondo reale, un gioco per i bambini e gli sciocchi. Eppure noi siamo qui in questa stanza. Perché qualcuno ci ha raccontato il suo orrore personale, ci ha parlato delle sue paure e del suo coraggio, delle quattro donne che hanno lottato per tirarlo fuori. Perché forse, dopo l’abisso, rimane solo la follia o il racconto dell’abisso stesso. Questo fece Ulisse a metà del suo viaggio. Un bisogno inesauribile. O forse solo un pretesto retorico-letterario.
Il mondo davvero
non si cambia con la letteratura. Eppure non possiamo fare altro che continuare
a provarci nonostante tutto. «La letteratura, i romanzi servono a seminare.
Sono la piccola particella di un’onda lunga che prima o poi arriva da qualche
parte. Prima o poi qualcuno batte i pugni sul tavolo e le cose iniziano a
cambiare. Anche se forse per noi non è ancora questo il momento». E cosa
cambierà con Supernotes?
«Probabilmente nulla. Supernotes tocca argomenti troppo importanti. Le forze in campo sono ancora troppo forti e attive e nella nostra società tutti sono corruttibili».
Non è un caso
che nessun giornalista sia ancora entrato nel merito della questione, nessuno
ha indagato, poche testate parlano del libro, mentre il web è pieno di post e
articoli.
«Quello che possiamo sperare è che chi legge capisca un po’ meglio alcuni meccanismi della nostra società. Il libro ha più piani di lettura, ci sono più voci. Da un lato c’è la vicenda terribile vissuta da Kasper, la paura, la sofferenza, il dolore, la rassegnazione. Dall’altro lo scenario politico-economico del mondo in cui viviamo. Spetta sempre a ciascun lettore scegliere quale di questi due aspetti debba avere la prevalenza».
Il tempo passa
velocissimo. Kasper è disteso e sereno. Raccontare gli è servito davvero. Ma
probabilmente gli è servito anche il cinismo che investe quelli che fanno il
suo mestiere.
«Dal mio punto di vista non c’è niente d’incomprensibile. I servizi segreti americani hanno fatto quello che dovevano fare, hanno agito come si chiedeva loro di agire».
Kasper non dovrebbe esistere più eppure è qui.
«Facendo questo lavoro perdi il senso della realtà e del pericolo. Ti senti invincibile. La Cambogia ha fatto da spartiacque. Ora ho iniziato una seconda vita».
Niente da fare.
Realtà e finzione sono destinate a essere parte dello stesso diabolico gioco,
due rette parallele che sfrecciano sfiorandosi, senza riuscire a toccarsi e
senza potersi allontanare l’una dall’altra.
Gli autori del
libro metteranno, a breve, on line tutti i documenti e le testimonianze che in
esso sono raccolte, in modo che chiunque voglia possa verificare la veridicità
dei fatti. Che chiunque voglia indagare, scendere nei dettagli, capire, abbia
modo di farlo. Questo perché Kasper doveva sparire ma è tornato. È riemerso
dall’abisso e dall’inferno. E ha scritto la sua storia.
«Rifaresti quello che hai fatto?»«Per certi aspetti non sapere quello che so oggi sarebbe stato meglio. Si vive meglio. Però io credevo in alcuni valori oggi perduti. Penso che rifarei tutto d’accapo. Anche se non so se stavolta riuscirei ad arrivare a cinquant’anni».
La sua è una bella risata. Vera e
sincera.
Ci stringiamo le
mani e ci salutiamo tutti come vecchi amici reduci da una rimpatriata. Fuori
c’è il grattacielo Unicredit che riflette gli ultimi scampoli del giorno. Sto
ancora riflettendo. Cerco di capire se ciò a cui ho appena assistito sia stata
la presentazione di un libro o una conferenza stampa top secret. Forse nessuna
delle due cose. Più probabilmente entrambe.
Emiliano Zappalà
Riproduzione delle immagini autorizzata dall'ufficio stampa della casa editrice
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