Tra
il 1963 e il 1965, in un tour italiano
in compagnia di telecamere e microfono, Pasolini concepisce un format
televisivo sui generis,
non riconducibile ad alcun genere cinematografico specifico,
piuttosto vicino – citando Moravia – al cinemaverità francese ma
senza alcuna pretesa di rielaborazione artistica. Vediamo secondo
quali sequenze cronachistiche si snoda questo filmato in due tempi
con titolo Comizi d'amore (durata:
90' circa):
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1 - Grande fritto misto all'italiana. [didascalia: Dove
si vede una specie di commesso viaggiatore che gira per l'Italia a
sondare gli italiani sui loro gusti sessuali: e ciò non per lanciare
un prodotto, ma nel più sincero proposito di capire e di riferire
fedelmente.]
Come
gli italiani accolgono l'idea di film di questo genere?
Come
si comportano di fronte all'idea d'importanza del sesso nella vita?
Ricerche
2 - Schifo o pietà?
Fine
primo tempo [didascalia: (Vi
consigliamo di approfittare dell'intervallo, per pensare a
tutt'altro. Non c'è niente
di più faticoso infatti che parlare del sesso – e il peggio deve
ancora venire!)]
Ricerche
3 - La vera Italia?
Comizi
nelle spiagge romane o il sesso come sesso
Comizi
sulle spiagge milanesi o il sesso come hobby
Comizi
sulle spiagge meridionali o il sesso come onore
Comizi
al lido o il sesso come successo
Comizi
sulle spiagge toscane (popolari) o il sesso come piacere
Comizi
sulle spiagge toscane (borghesi) o il sesso come dovere
Ricerche
4 - Dal basso e dal profondo
Il
materiale documentario comprende interviste ad alcune categorie di
cittadini italiani contemporanei: proletari urbani e figli; contadini
e figli; borghesi urbani e figli; a queste interviste in strada o
sulla spiaggia o nelle campagne, si alterna il confronto con alcuni
intellettuali, scrittori e giornalisti non in strada, non sulla
spiaggia, non nei campi, a cui viene – per così dire –
sottoposto il prodotto non grezzo ma già in parte scremato delle
interviste. Si chiedono, inoltre, opinioni sull'argomento anche a
personaggi dello spettacolo, attrici, cantanti e calciatori.
L'argomento centrale su cui insistono le domande di Pasolini è una
sua fissazione, il Sesso, attorno a cui ruotano altri
argomenti-satellite (che altrove nella sua opera, invece, sono principali)
come lo Scandalo, la Religione, la Prostituzione (la legge Merlin,
con cui si chiudevano le cosiddette “case di tolleranza”, è del '58), il
Matrimonio e il Divorzio (sul cui tema il Partito Radicale si era già
mobilitato ma la cui introduzione nell'ordinamento giuridico italiano
sarebbe avvenuta solo nel 1970), e il Femminicidio.
In
genere le risposte delle persone comuni, si capisce bene, sono
evasive e non dicono chiaramente. Quando incalza con le domande,
Pasolini è indiscreto e masochista, ma è un'indiscrezione e un
masochismo che travalicano l'esigenza dichiarata del film di
scardinare il tabù sessuale: laddove, ad esempio, richiede un
maggiore sforzo di approfondimento della risposta su argomenti come
le “anormalità” sessuali, egli sa benissimo che genere di
risposta otterrà, in ispecie da coloro che si professano “padri di
famiglia” e dai soldati. Interviene, inoltre, negli intervistati
incolti un timore quasi reverenziale dinanzi all'interlocutore, un
uomo di cultura che certo dovevano sapere piuttosto discusso. Non
così i bambini, che accolgono le domande come giochi davanti la
telecamera, rispondono cioè per esibizionismo; e in parte le giovani
donne e i giovani uomini incontrati nelle balere, che dimostrano una
certa impudenza, che altro non è poi che una reazione uguale e
contraria al tenore delle interrogazioni, una imbranata difesa della
propria intimità che intuiscono come terribile. Sulla questione
dell'anormalità sessuale, è dirimente l'intervista a Ungaretti. Il
poeta delle trincee raffredda la smania di scandalo che riscalda lo
stesso Pasolini:
Senta, ogni uomo è fatto in modo diverso, dico, nella sua struttura fisica e nella sua combinazione spirituale. Quindi tutti gli uomini sono a loro modo anormali, tutti gli uomini sono in un certo senso in contrasto con la natura, e questo fin dal primo momento; l'atto di civiltà, che è un atto di prepotenza umana sulla natura, è un atto contro natura.
La
anormalità è un fenomeno dell'umanità tutta, non riducibile al
problema esclusivo di una biografia, non alla vita di Pasolini, non
alla vita di un qualsiasi dongiovanni calabrese, non alla vita di una studentessa universitaria di estrazione borghese. Ma è un fenomeno che,
nell'Italietta democristiana di quegli anni, non si pone di per sé
come riconosciuto elemento di tutte le dinamiche sociali ed
economiche. Sono ancora vibranti, d'altronde, i toni aspri – di
un'asprezza che già più non è accoramento – de La religione
del mio tempo (1961 – Alla nazione: Sprofonda in questo tuo
bel mare, libera il mondo).
Perché
la Mostra del cinema di Venezia ha deciso di segnalare
Comizi d'amore tra “le 100
pellicole che hanno cambiato la memoria collettiva del Paese tra il
1942 e il 1978”? Il documentario, che è una presunzione di realtà
perché non intercetta tutta
la realtà ma allude soprattutto all'Italia che ha preferito tacere,
viene tradotto nella lingua del cinema d'autore soltanto in un
secondo momento. Pasolini aveva altri progetti: stava girovagando per
la penisola alla ricerca del luogo in cui girare il Vangelo
secondo Matteo, quando maturò
il proposito di misurare la temperatura della società sulle
parole-chiave della sua esistenza violenta: dall'abnormità del
conformismo nei postumi del miracolo economico alla prestoricità
dell'eros e al fallimento della sacralità confessionale (Moravia
taglia corto: “Cristo non s'è mai scandalizzato”).
Tutte queste
persecuzioni del poeta delle ceneri sono, ancora una volta,
riconducibili al conflitto con il Sé medesimo, al disagio di
dichiarare a questo Sé medesimo il "dramma" dell'omosessualità che è
divenuta covo del disamore, (di “inversione”, lo
ripete ossessivamente!), e poi di riscattarsi agli occhi della madre – che sarà
la Vergine Maria nel Vangelo,
ovvero l'incarnazione, definitivamente suggellata nel linguaggio
dell'arte, della Pietà.
I
Comizi sono comizi nel
senso etimologico della parola: la gente si raduna attorno al
giornalista, smaniosa di esporsi e non dire (che è un abito di
distinta foggia italiana) o di esporsi e dire poco o niente, e il
niente è tutto quello con cui sono stati equipaggiati, il niente
come esercizio catechistico a non sconfinare in se stessi.
Guardare il film, di per sé, non apporta alcunché di rilevante o di rivelatorio; forse gli assidui frequentatori del giornalismo d'inchiesta vi attingeranno come a una discreta fonte di immagini di repertorio, ma i moralisti se ne laveranno le mani come una questione archiviata e superata da anni. Eppure così non è.
Andrea Gatto
Per approfondire:
P. P. Pasolini, Empirismo eretico, Garzanti (1972)
A. Ferrero, Il cinema di Pier Paolo Pasolini, Milano, Mondadori (1979)
M. Giori, «Parlavo vivo a un popolo di morti». Comizi d'amore, cinema-verità e film a tesi, in 'Studi Pasoliniani' 6 Pisa-Roma, Serra Editore (2012) pp. 99-112
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